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Musica

Stampa alternativa, Il mucchio selvaggio (II)

Continua da Mucchio selvaggio e mucchiofili (I)

Copertina de Il mucchio selvaggioLa storia de Il Mucchio Selvaggio comincia da lontano (nasce infatti nel settembre 1977) e in un periodo completamente diverso dall’attuale, caratterizzato da un forte fermento politico ed intellettuale che coinvolgeva i giovani, universitari e non, in ogni parte del pianeta, che aveva portato a lotte per ottenere diritti che prima erano negati e ad una visione del mondo completamente diversa, ma anche a movimenti violenti per ottenere che questi ideali divenissero realtà.

In un’atmosfera molto vivace e in uno straordinario fermento culturale nacquero negli anni settanta del ventesimo secolo moltissime riviste che cercavano di essere voce di questi ragazzi e molte di esse erano a sfondo musicale, in quanto la musica costituiva uno degli strumenti più efficaci con i quali esprimere la ribellione e il cambiamento dei tempi di cui parlava Bob Dylan (The times they are a-changing), riviste che cercavano di affrontare gli argomenti in modo diverso dal passato e dalla tradizione[1]. “I movimenti di quegli anni lasciano in eredità anche una politica della comunicazione, la quale rivendica: la radicale democratizzazione del diritto alla parola (diritto all’accesso); lo sviluppo di forme di comunicazione dal basso — in grado di rompere con le gerarchie del sistema dei media dominante —, rottura di canoni, tabù linguistici, distinzioni tra cultura alta e popolare un’istanza di diversificazione: differenziare i pubblici, costruire circuiti, rendere plurali le emittenti. Interattività, frammentazione, rifiuto delle gerarchie”[2].

Tutte queste riviste (anche se parlare solo di riviste è limitativo, in quanto si trattava anche di molte altre forme di comunicazione) si ponevano al margine dell’editoria rivolta alla massa e si rivolgevano a quei lettori che volevano avere un’informazione diversa, un altro punto di vista che differisse da quello predominante: cercavano in qualche modo di presentarsi come un’alternativa (a volte l’unica alternativa) alla cultura mediatica dominante. E sebbene non sia facile definire cosa si intende quando si parla di stampa alternativa[3], queste riviste si presentavano proprio come alternative.

Il Mucchio Selvaggio nacque sull’onda di questi entusiasmi, per sopperire a quella che sembrava essere una mancanza, cioè la non esistenza in Italia di una rivista musicale che si occupasse di un determinato tipo di musica e che non fosse “politicizzata” come la maggior parte delle riviste erano all’epoca, che si occupasse di musica “e basta”, anche se da un punto di vista diverso. Ma se si vuole definire una rivista come alternativa che cosa è necessario considerare, quali caratteristiche dovrebbe avere? Atton, nel suo studio al riguardo, propone un modello di stampa alternativa che non riguarda semplicemente i contenuti proposti dalla rivista in questione, ma che tiene in considerazione anche il modo in cui essa è organizzata e il contesto socio-culturale in cui si trova ad operare[4].

In una qualsiasi rivista che si vuole definire come alternativa e che si propone come tale non sono presenti solo critiche riguardo gli argomenti trattati dalla stampa ufficiale, piuttosto ci si trova di fronte ad un diverso approccio alle stesse notizie, “i messaggi tendono ad una riformulazione dei contenuti in maniera differente da quella propria del circuito ufficiale dell’informazione”[5], un approccio basato sull’utilizzo di valori alternativi e fonti alternative[6]. “Albert, critico dei media, esperto, attivista decennale in ambito di progetti mediatici indipendenti, spiega con chiarezza che un media non può essere considerato alternativo semplicemente osservando i suoi contenuti — il suo output editoriale. Si devono prendere in considerazione le modalità organizzative, il modo in cui questo nostro media che diciamo alternativo opera”[7].

Stephen Duncombe punta l’attenzione proprio su questo, secondo lui non basta il solo contenuto di un testo per far sì che esso e la rivista in cui è pubblicato possano essere considerati alternativi, mentre Noam Chomsky parlando di stampa alternativa si riferisce a quei media che sono o possono essere “controllati” dai cittadini e che si oppongono così a quei media che sono invece controllati dalla Stato e da corporazioni. Downing, dal canto suo, pone invece l’accento sulla mera dimensione politica dei media alternativi, considerati appunto per la loro valenza in quel campo e come oppositori del pensiero dominante[8]. “Per ritornare al significato, che può ricoprire il termine “altra stampa”, può essere inteso come quel tipo di stampa che arriva nel momento inatteso, da un emittente inatteso e propone contenuti inattesi.

Copertina de Il mucchio selvaggioNon va, però, dimenticato che “l’altra stampa” è l’effetto di una combinatoria originale tra elementi dati dalla società, la medesima società che questa produzione rifiuta e mette continuamente in discussione. […] Di comune tra tutti questi prodotti emergono una ricerca all’estraneità al circuito distributivo della stampa ufficiale, un rifiuto all’omologazione che la società dei consumi determina. L’unica caratteristica che sembra ricorrere in tutte queste diverse forme di stampa è la ricerca di comunicazione “libera” e diretta: la comunicazione della massa per la massa”[9]. Molto spesso le riviste alternative hanno una maggiore libertà proprio perché destinate ad un pubblico di nicchia.

Questo permette loro di avere la possibilità di pubblicare cose che la stampa cosiddetta mainstream non pubblica o a cui essa dà un rilievo minore: “Alternative media is the home of stories that, for wathever reasons […], do not appear in mainstream media”[10], ma anche la possibilità di raccontare le stesse cose secondo una prospettiva diversa e da un differente e a volte più critico punto di vista, nonché analizzare le stesse notizie in modo più approfondito. I media alternativi sembrano dunque porsi come l’unica vera fonte di informazione credibile in un mondo in cui la maggior parte dei media cerca di vendere ai lettori pubblicità, dando loro solo le notizie che si ritiene opportuno sia giusto dargli, non permettendo così di farsi un’idea che sia il più completa possibile.

La stampa alternativa dovrebbe però cercare di essere il più credibile e attendibile possibile, non cadendo nell’errore del dogmatismo e dell’ideologia: “La costruzione di un’alternativa alle storture dell’attuale sistema economico-politico ha le sue basi nei media alternativi. Ma è fondamentale che questi media siano credibili. […] La vera informazione deve essere costruita sul rigore e su fatti concreti: l’insicurezza internazionale in cui siamo piombati crea nelle persone un bisogno spasmodico di media organizzati in questo modo”[11]. La stampa cosiddetta alternativa ha quindi un ruolo importante e ben determinato all’interno del mondo della comunicazione e della diffusione delle informazione e, nonostante sia destinata a un numero esiguo di persone, rischia a volte di essere più affidabile delle altre pubblicazioni.

Questo fatto è dovuto principalmente ai suoi diversi canoni, al diverso modo che ha di approcciarsi alle notizie, ma anche al diverso metodo con il quale è concepita e prodotta. Spesso all’interno dell’organizzazione di una rivista alternativa i ruoli sono confusi e, nei casi più estremi, chi scrive di frequente è anche direttore ed editore, in certi casi pure grafico e distributore. A volte questi ruoli sono intercambiabili, ovverosia vengono rivestiti a seconda della necessità da persone diverse facenti parte della redazione della rivista in oggetto[12], cosa che, se da un lato rende la produzione non eccessivamente professionale, permette comunque un risparmio nei costi. Tutto questo agevola tali riviste, dal momento che non hanno grossi introiti pubblicitari, specie quando sono di settore e riescono, di solito, ad avere solo pubblicità proveniente dal quel settore di cui si occupano.

Ciò che è certo è che il modo in cui sono organizzate e prodotte le riviste alternative spesso non mira al guadagno, cosa che le porta sempre ad avere problemi e spesso le costringe a chiudere. “Un media va considerato alternativo, quindi, nella misura in cui non si pone come obiettivo la massimizzazione dei profitti, non punta a vendere i propri utenti alla pubblicità, cerca di opporsi alle relazioni gerarchiche esistenti a livello sociale, si struttura internamente nel modo più diverso possibile da una grande impresa, e si percepisce come parte di un progetto più ampio per il cambiamento sociale, a cui guarda — il suo orizzonte non é la propria individuale sopravvivenza, o benessere”[13].

Vecchie copertine de Il mucchio selvaggio

Per questo motivo quelle riviste che invece sono sopravvissute nel tempo hanno dovuto imparare dalla stampa ufficiale come lavorare, hanno preso dalle riviste non alternative il modo di organizzarsi dal punto di vista economico, cosa che non implica il non continuare a trattare gli argomenti che si vuole trattare, né cambiare l’approccio della rivista stessa, ma permettere ad essa di sopravvivere avendo maggiore visibilità e considerazione anche nell’ambito non alternativo[14].

Copertina de Il mucchio selvaggioDifficile trovare davvero qualcosa che accomuni le molte pubblicazioni che si possono definire alternative, dato che nella maggior parte dei casi sono molto diverse tra di loro, si occupano di campi completamente differenti e affrontano gli argomenti ognuna dal suo punto di vista, ma se si vuole trovare una caratteristica comune, sicuramente si può dire, come afferma Downing (2001), che tutte queste pubblicazioni cercano di rompere le regole imposte dal mercato[15] e proprio rompendole si pongono al margine del mercato stesso, anche se non sempre, e non tutte, lo fanno rispettando gli altri.

Nel mondo globalizzato di oggi l’informazione spesso muove i fili di tutto: “l’informazione è potere, l’informazione è business, l’informazione è un’arma di guerra, l’informazione è disuguaglianza, ma è anche fatta di libertà, passione, impegno sociale, rapporti umani, curiosità, voglia di esserci e di capire la storia del proprio tempo”[16] e proprio per questo motivo è sempre più importante che non ci sia una solo fonte di informazione “ufficiale”, ma che continuino ad esistere alternative ad essa, e spesso sono proprio queste alternative a proporre valori più “positivi” rispetto a quelli che ci prospetta normalmente la stampa mainstream. Se c’è una cosa che bisogna assolutamente riconoscere ai media considerati alternativi è la loro straordinaria capacità di sfruttare appieno le nuove tecnologie e di avere capito, prima degli altri, le grosse opportunità che la rete stava fornendo alla diffusione di informazioni.

“Le nuove tecnologie, internet in particolare, rappresentano una risorsa concreta per consentire ai media alternativi la creazione di reti mediatiche di tipo partecipativo, informate da logiche di produzione e processi decisionali realmente innovativi”[17]. Questo è dovuto al fatto che questo tipo di informazione cerca sempre il migliore canale per arrivare a quanta più gente possibile: “La comunicazione alternativa può avere luogo su qualsiasi canale, non è caratterizzata dall’impiego di uno di essi in particolare, perché è il messaggio che essa propone a determinare nuove condizioni comunicative e quindi in fondo un nuovo medium”[18]. Attraverso la rete l’informazione alternativa si è sviluppata ulteriormente, sono moltissimi i blog nati con questo scopo e i siti di riviste alternative che cercano attraverso la rete di raggiungere un maggior numero di persone, nonché cercano così di diventare in qualche modo interattive, attraverso la creazione di forum e community on line, in cui coloro che contribuiscono alla realizzazione delle riviste entrano in contatto coi lettori.

La nascita di mezzi di comunicazione alternativa è dovuta nella maggior parte dei casi al bisogno dei gruppi e degli individui di avere un determinato tipo di informazione che si differenzi da quello dominante, divenendo loro stessi comunicatori e cercatori di notizie, trovando un modo di dare espressione ai propri punti di vista e alle proprie esperienze. Questa stampa alternativa e non allineata ha un approccio completamente differente rispetto alle altre riviste, spesso dovuto ad una ideologia di base che tende a seguire, cosa che la porta spesso ad avere maggiormente a che fare con la ricerca di una comunità che in tali valori si identifichi e che sia quindi poi portata alla costruzione di un sistema di valori alternativo a quello dominante[19].

Il Mucchio Selvaggio racchiude in sé molte delle caratteristiche proprie appunto della stampa alternativa, di cui si può ben dire che sia una delle esponenti di prestigio, essendo riuscita a sopravvivere quasi trent’anni e quindi molto di più di quanto di solito possa accadere ad una rivista del genere, viste le premesse su cui si poggia la stessa idea di “alternativo”. Per capire meglio, però, in che modo questa rivista sia alternativa e che cosa le ha permesso di crearsi un suo pubblico nonché di arrivare fino ad oggi, è necessario analizzare quella che è stata la sua storia e la sua genesi, capire quali caratteristiche abbia ed ha avuto e anche il tipo di pubblico a cui è da sempre stata destinata e per cui è nata.

La storia de Il Mucchio Selvaggio

Il primo numero de Il Mucchio Selvaggio esce nelle edicole nell’ottobre del 1977. È una rivista indipendente la cui mente è Max Stefani, che oltre ad esserne il direttore ne è anche l’editore nonché una delle firme principali. Nasce dall’esigenza di avere una rivista che parlasse di un tipo di musica che le altre pubblicazioni dell’epoca non trattavano e che fosse inoltre esclusivamente musicale, visto che tutte le altre pubblicazioni del settore erano invece estremamente politicizzate, data l’epoca di fermento in cui ci si trovava[20]. I primi numeri sono,come logico che fossero, molto ingenui e poco organizzati, ma come afferma Federico Guglielmi, giornalista musicale e firma storica della rivista: “attorno al Mucchio si creò subito un alone mitico, mi ricordo che comprai i primi due numeri ad una mostra di alta fedeltà dopo averli cercati senza speranze nelle edicole. Circolava la voce della nascita di un giornale con un nome strano e Neil Young in copertina”[21].

Copertina de Il mucchio selvaggio con Neil YoungI primi numeri sono in bianco e nero e la grafica è molto elementare, dato che non si poteva certo ricorrere ad un professionista: solo i titoli, disegnati da Valerio Marini[22], cercano di movimentare un po’ le pagine e sono scritti in stile western (ricollegandosi al nome della rivista, preso da un film western di Sam Peckinpah). Nonostante la difficoltà a farsi conoscere, Il Mucchio Selvaggio acquista un discreto numero di appassionati, colpiti da una rivista nuova che parla di musica alternativa, appassionati che la seguono con assiduità e che instaurano con essa un rapporto molto stretto. Questo rapporto diventa pubblico nel quinto numero (febbraio 1978), quando viene istituita la rubrica della posta, dove il direttore o i collaboratori chiamati in causa rispondono alle domande e alle critiche degli affezionati.

Negli editoriali del direttore, fin dall’inizio, si sentono le tematiche che in seguito verranno sempre più affrontate nel giornale e che non riguardano solo la musica; sono editoriali pungenti che colpiscono un po’ tutti, dallo stesso progetto alle nefandezze di cui si accusano gli altri. La rivista aumenta a poco a poco il prezzo per riuscire a sopravvivere, in quanto, pur essendo le vendite discrete, le spese sono spesso superiori agli incassi. Nel 1980 cominciano a vedersi le prime avvisaglie di un’estensione degli argomenti al di là della musica, con i primi interessamenti al cinema e ad altre forme d’arte. Questa apertura si concretizzerà nel 1982 con l’inserimento all’interno della rivista di una rubrica, “Platea”, definita di cultura leggera, che si occupa anche di cinema, letteratura, fumetti, ecc.

La grafica si sta evolvendo e si passa dal bianco e nero a qualche nota di colore e la parola cultura comincia a capeggiare nel sottotitolo della testata. Nel 1984 l’apertura all’extra-musicale è consacrata da due copertine cinematografiche. La cultura rock di cui si parla in copertina va molto al di là della sola musica, ma è anzi un panorama assai ampio e complesso, fatto di “arte” in genere sotto ogni punto di vista. Il 1988 è l’anno più difficile per Il Mucchio Selvaggio. Quasi il 50% dei collaboratori abbandona la rivista, e insieme all’ex caporedattore Federico Guglielmi, allontanatosi l’anno precedente, fondo “Velvet”, altro giornale di musica, che ha come casa editrice la SDM (acronimo che sta per Stefani Deve Morire): “l’obiettivo primario era prenderci tutti i lettori del Mucchio.

In fondo il Mucchio eravamo noi, credo che Max non avrebbe problemi ad ammettere che in quegli anni le sue principali occupazioni erano giocare a tennis e pensare alle donne. Lo sbaglio, visto con il senno di poi, è stato proprio quello di prendere troppo come modello il vecchio Mucchio invece di realizzare un progetto completamente diverso”[23] afferma al riguardo lo stesso Guglielmi. Nonostante tutto la rivista resiste e sopravvive al terremoto interno. Sempre più si parla, oltre che di arte sotto ogni forma, anche di attualità, da sottolineare a proposito un pezzo pubblicato nel 1989 riguardante lo sgombero del Leoncavallo (storico centro sociale milanese).

Si comincia sempre di più ad essere impegnati dal punto di vista socio-politico, anche se si cerca comunque di parlare degli avvenimenti di attualità che hanno un qualche legame con la musica (ad esempio si affronta la notizia di David Crosby e Joe Strummer al quarantacinquesimo congresso del partito socialista e la si presenta con un’immagine di quest’ultimo con un garofano rosso al petto). Il 1992 è un anno abbastanza statico per la rivista cartacea, ma non per le sua future evoluzioni. Stefani istituisce su Videotel (il papà di Internet) un’edizione telematica della rivista con la possibilità di chattare in ore stabilite con i redattori[24].

Guglielmi

Nel 1996 si ha la vera rivoluzione dal punto di vista editoriale: il passaggio dal mensile al settimanale, che avviene col numero 224 che esce il 24 settembre, edito dalla neonata casa editrice Stemax, proprietà di Stefani stesso ( il nome viene dall’unione di Stefani e Max), che affida alla Lakota (fino ad allora casa editrice della rivista) il diritto d’uso della testata[25]. Nel sottotitolo in copertina ci si apre a tutti quegli argomenti che già da tempo capeggiavano all’interno della rivista e recita “settimanale di musica rock, cinema, libri, video, politica…”. Il lancio ufficiale del sito collegato alla rivista è datato febbraio 2000, anche se la mancanza di fondi e difficoltà organizzative lo lasceranno in sospeso per circa due anni[26].

Max Stefani

Il rilancio in grande stile si avrà infatti nel 2003, anno in cui debutta anche il forum, la community on line in cui i lettori e i giornalisti della rivista si incontrano per discutere di tutto, dalla musica alla politica, ma anche per parlare della rivista stessa, un’occasione in più, oltre alla posta, per i lettori di criticare ciò che non va, secondo il loro punto di vista, e complimentarsi di ciò che invece apprezzano. Però, nonostante il tentativo di aprirsi a un pubblico maggiore, la situazione non è delle migliori: il giornale resta appannaggio di un esiguo numero di appassionati e manca l’apporto delle pubblicità non di settore.

Per questo motivo, alla fine del 2004, dopo un anno passato cercando di andare avanti nel migliore dei modi, la periodicità de Il Mucchio Selvaggio torna ad essere mensile. Il primo numero di questa nuova avventura arriva in edicola nel gennaio 2005, con una nuova veste grafica e con un rinnovamento completo anche per quel che riguarda i contenuti. Si continua a parlare di musica, ma non si può più parlare di una rivista esclusivamente musicale. Il Mucchio Selvaggio, infatti si presenta diviso a metà: la prima si occupa di musica, la seconda è denominata “Altro” e ogni argomento ha una sua ben definita rubrica, sia che si tratti di cinema sia che si tratti di politica.

Le caratteristiche che rendono Il Mucchio Selvaggio una rivista alternativa

Fin dalla sua nascita Il Mucchio Selvaggio si è posto come qualcosa che nasceva per colmare una lacuna all’interno del panorama editoriale italiano. Dal punto di vista dei contenuti, quindi, c’è sempre stato un modo di proporsi alternativo a quanto il panorama italiano proponeva, la musica trattata è sempre stata definita, anche da coloro che della rivista erano anima e ideatori, come musica “alternativa”. Ma se si considera valida la teoria di Atton, per il quale non bastano i semplici contenuti a rendere una rivista alternativa[27], è necessario analizzare le altre componenti della rivista stessa e vedere in che modo queste possano essere considerate come elementi che permettano che la rivista in questione venga definita, e a ragione, come alternativa.

Una delle prime caratteristiche de Il Mucchio Selvaggio, che la rendono alternativa, è il suo essere “figlia” di un unico individuo, quel Max Stefani che a tutt’oggi ne è, oltre che proprietario, direttore ed editore[28], nonché una delle firme più polemiche ed assidue, che si occupa, a seconda dei casi, degli argomenti più disparati (musica, cinema, attualità, performance). Intorno a questa figura centrale, vera e propria anima del tutto, ruotano comunque poche figure che sono la base portante della redazione (tra queste Federico Guglielmi, che si occupa in pianta stabile dell’organizzazione della parte musicale e Daniela Federico, vice-direttrice), che si avvale poi di vari collaboratori esterni, spesso giornalisti che lavorano solo per passione e non con un regolare contratto e soprattutto non retribuiti.

Alla sua nascita lo staff della rivista è fatto di una quindicina di persone che ruotano tutte intorno a Stefani e a Paolo Carù e Aldo Pedron (che poi abbandoneranno per altri progetti), ma Stefani è amministratore della Lakota Edizioni S.r.l., cosa che lo rende anche editore. Mancano veri e propri professionisti, il gruppo è fatto principalmente di appassionati. Oggi come allora, seppur a 29 anni di distanza, la situazione, pur essendo diventata leggermente più professionale, continua ad essere simile. La redazione è costituita principalmente di appassionati che sono cresciuti insieme alla rivista e che hanno acquisito competenza solo lavorando all’interno di essa, nonché di ex lettori la cui passione è diventata una sorta di lavoro.

In secondo luogo, Il Mucchio Selvaggio ha sempre messo in primo piano la sua voglia di far conoscere cose che era difficile conoscere attraverso la stampa ufficiale e ha sempre cercato di “vendere” la sua immagine di rivista che si pone ai margini e che tratta cose che gli altri non trattano[29]. Ai suoi lettori il Mucchio vende se stesso e non la pubblicità[30], anzi molto spesso, e sempre di più, è difficile per la rivista trovare introiti pubblicitari che non vengano dal settore di cui si occupa, proprio per questa immagine “alternativa” e per le scarse vendite che registra (anche se con l’ultimo passaggio da settimanale a mensile le cose sembrano essere migliorate).

Ciò che Il Mucchio Selvaggio cerca di dare ai suoi lettori è una visione ampia della realtà che li circonda attraverso le varie forme d’arte che caratterizzano il presente, ma anche un sistema di valori fatto di “sincerità”, di dire ciò che si vuole senza problemi, di portare avanti le proprie idee, giuste o sbagliate che possano essere, senza vergognarsi di esse. Inoltre questa rivista ha sempre cercato di portare avanti i suoi valori al di là di ogni logica di mercato[31], ha puntato su artisti spesso sconosciuti o che hanno un pubblico di nicchia fatto di “intenditori”, se ha presentato in copertina un personaggio diverso dal solito per i propri canoni è stato spesso con intento ironico e diffamatorio (ad es. c’è stata una copertina dedicata a Laura Pausini, cantante non apprezzata né dalla rivista né dai suoi lettori).

Copertina de Il mucchio selvaggioPer quel che riguarda la politica e l’attualità, hanno trovato spazio all’interno del Mucchio argomenti a volte scottanti o che difficilmente possono essere trattati dalle riviste ufficiali. Argomenti che vanno dalla vivisezione alla mafia, dalle droghe all’arte di strada, dagli psicofarmaci alle comunità sociali, spaziando un po’ in tutti i campi. Negli ultimi anni c’è stata una campagna, forse eccessiva, contro la politica in generale in Italia, con attacchi, spesso molto duri, non solo verso il governo in carica, ma anche verso l’opposizione, anche se molto spesso, specie negli ultimi tempi, si è preso di mira Silvio Berlusconi, con articoli riguardanti sia la sua politica sia la sua storia, articoli che possono avere un fondo di verità ma che comunque non avrebbero di certo trovato spazio in altre riviste che possono avere maggiore visibilità[32].

Si è comunque cercato di parlare di svariati argomenti, spesso bistrattati dagli altri media[33], o che secondo il loro ordine di valori e secondo la loro idea necessitano di una maggiore visibilità rispetto a quanta ne possono avere in tutte le altre pubblicazioni destinate ad un pubblico più ampio. L’aver saputo, infine, utilizzare al meglio l’evoluzione delle nuove tecnologie, sfruttando Internet e tutto il suo potenziale per raggiungere un maggior numero di utenti, è un’altra caratteristica che la identifica[34]. Tramite il sito è infatti possibile sapere cosa c’è nella rivista, vedere la copertina e farsi un’idea degli articoli, ma anche leggere ciò che non si è potuto pubblicare e che — proprio perché non ha trovato spazio su carta — viene riversato sul sito, essendo comunque ritenuto materiale valido.

Nonché alcune rubriche, che prima del passaggio al mensile figuravano periodicamente sul cartaceo, sono ora diventate appannaggio solo di quegli utenti che navigano in Internet: un esempio su tutti è la rubrica “Fuori Dal Mucchio”, dedicata ai giovani artisti italiani emergenti. Quindi, quelle che fanno di una rivista come Il Mucchio Selvaggio alternativa sono caratteristiche che la rendono ciò che è e ciò che è stata, caratteristiche che le appartengono e che vanno appunto dagli argomenti trattati al modo in cui la rivista stessa è prodotta, nonché dal modo in cui si pone nei confronti della stampa ufficiale, dalla quale cerca in tutti i modi di differenziarsi.

Una rivista alternativa, quindi, che però ha saputo sfruttare al meglio ciò che la rende tale e che è riuscita, evolvendosi, cambiando e adeguandosi in parte alle regole del mercato editoriale italiano[35], a sopravvivere per ben ventinove anni, quando molte delle riviste sue contemporanee sono morte dopo poco tempo. Una rivista che ha puntato molto sul rapporto particolare che ha con i suoi lettori, i quali fin da subito si sono legati ad essa e si sono sentiti speciali in quanto appartenenti ad una sorta di élite. Proprio questo verrà analizzato nel prosieguo di questo lavoro, cercando di capire che tipo di rapporto sussiste tra lettori e rivista e che tipo di comunità questi lettori possono essere considerati, alla luce di quanto detto finora sia sul concetto di comunità che su cosa si intende per stampa alternativa.

Verranno utilizzate, per capire meglio questo rapporto e la comunità in analisi, delle interviste effettuate con alcuni membri della redazione e con alcuni lettori della rivista partecipanti al forum della stessa. I soggetti da intervistare sono stati scelti, per quel che riguarda la rivista, in base alla loro importanza e anzianità all’interno della redazione ma anche tra quelle che possono essere considerate “nuove leve”, in modo da poter avere un quadro generale della redazione, di come considera la rivista e di come si vede al suo interno il rapporto con i lettori. Le interviste svolte con membri della redazione sono cinque e gli interpellati sono tutti uomini (essendo la redazione composta in maggioranza da uomini, anche se la vice-direttrice è una donna) con un’età che varia dai 25 ai 50 anni, più o meno.

I lettori sono stati scelti tra gli utenti del forum, in base all’età dei soggetti e al loro grado di frequentazione della community on line, cercando di interpellare coloro che passano molto tempo in quel luogo virtuale e sono lettori abituali della rivista, ma con un’età che coprisse sia coloro che sono diventati lettori de Il Mucchio Selvaggio da poco sia coloro che lo leggono “da una vita”, puntando anche l’attenzione su un membro del forum, lettore da sempre, da poco passato a far parte della redazione. Le interviste coi lettori sono quattro e anche in questo caso gli interpellati sono tutti uomini, ma non perché non ci fosse la possibilità di intervistare donne (essendoci molte lettrici donne che partecipano al forum) ma in quanto gli uomini interpellati si sono rivelati molto più ricettivi e disponibili ad essere intervistati, nonché spesso risultano anche essere più partecipativi all’interno del forum stesso.

Copertine de Il mucchio selvaggio

Le interviste sono state svolte partendo da alcune domande di base, ma lasciando ai soggetti la possibilità di rispondere il più liberamente possibile. Sono stati affrontati dei temi considerati fondamentali per capire la rivista e tutto ciò che le gira intorno: che tipo di rivista è Il Mucchio Selvaggio, quali sono i valori che cerca di portare avanti e come, come i lettori e la redazione vedono il rapporto tra rivista e lettori, le caratteristiche principali dei lettori del Mucchio, le caratteristiche del forum. Alcune interviste, in special modo quelle con i lettori, sono state fatte via e-mail, ma la maggioranza sono state condotte a voce via telefono. Dalle interviste sono stati estrapolati i concetti che meglio riuscivano a spiegare le teorie esposte ritenendo comunque doveroso aggiungerle in esteso al termine della trattazione, in quanto in molti casi la libertà concessa agli intervistati ha portato su binari diversi da quelli principali e al di là degli argomenti della trattazione, toccando temi comunque molto interessanti.

Note:
[1] CFR P. Echaurren, Controcultura in Italia, 1966-1977: viaggio nell’underground, Bollati Boringhieri, Torino, 1999
[2] Media mainstream e Media Alternativi, disponibile on line
[3] CFR C. Atton, Alternative media, Sage, Londra, 2001
[4] C. Atton, idem
[5] Cinque anarchici del sud. Una storia degli anni Settanta in part. Cap 5 Controcultura e Informazione, disponibile on line
[6] C. Atton, ivi, p. 10
[7] Media mainstream e Media Alternativi, disponibile on line
[8] CFR C. Atton, op. cit., in part. Introduzione
[9] G. Umiliacchi, L’altra stampa, l’altra comunicazione…, disponibile on line
[10] CFR C. Atton, idem
[11] T. Barrucci, Informazione: ma la società civile dov’è?, disponibile on line
[12] CFR C. Atton, op. cit, cap. I
[13] Media mainstream e Media Alternativi, disponibile on line
[14] CFR C. Atton, ivi, cap. II
[15] C. Atton, op. cit., p. 29
[16] C. Gubitosa, L’INFORMAZIONE ALTERNATIVA, Dal sogno del villaggio globale al rischio del villaggio globalizzato, disponibile on line
[17] C. Gubitosa, idem
[18] Cinque anarchici del sud. Una storia degli anni Settanta in part. Cap. 5 Controcultura e Informazione, disponibile on line
[19] CFR C. Atton, op. Cit.
[20] CFR A. Ranalli, Intervista a Max Stefani, disponibile on line
[21] A. Scanzi, Intervista a Federico Guglielmi, disponibile on line
[22] CFR Il Mucchio Selvaggio n 604 (2004)
[23] A. Scanzi, Intervista a Federico Guglielmi, disponibile on line
[24] Il Mucchio Selvaggio, n 604 (2004), p. 41
[25] Il Mucchio Selvaggio, n 604 (2004), pp. 48-49
[26] Ivi, p.56
[27] CFR C. Atton, op. Cit.
[28] CFR C. Atton, op. Cit.
[29] G. Umiliacchi, L’altra stampa, l’altra comunicazione…, disponibile on line
[30] Media mainstream e Media Alternativi, disponibile on line
[31] C. Atton, idem
[32] CFR C. Atton, op. Cit.
[33] C. Atton, idem
[34] Cinque anarchici del sud. Una storia degli anni Settanta in part. Cap 5 Controcultura e Informazione, disponibile on line
[35] C. Atton, idem

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