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Omnia

L’arte contemporanea brilla ma non vale

Pensavate che quando Wall Street è in picchiata salgono le quotazioni dei beni rifugio, oro, mattone e arte? Sbagliato! Almeno per quello che riguarda l’arte da Londra a New York il mercato più che frenare ha inchiodato.

Tate Modern

Quest’inverno tra le gallerie e le case d’aste aleggia il panico. La bolla è scoppiata, o meglio: gli acquirenti sembrano volatilizzati. “Per noi c’è stato un improvviso calo di domanda, e questa è una cosa che succede periodicamente “ mi spiega off the record il direttore di una delle e maggiori gallerie di Chelsea “ma la paura, per l’intero settore è un’altra: che i collezionisti, alle prese con la crisi finanziaria decidano di immettere sul mercato attraverso casa d’aste e secondary market (mercato secondario) grandi quantitativi di opere, facendone precipitare il valore”. Un esempio tra tanti: il 11 febbraio una nota galleria ha inaugurato una personale del suo artista più importante. La proprietaria racconta: “abbiamo esposto 12 opere nella convinzione di averle già praticamente prevendute tutte. Per le opere di questo artista abbiamo una lista d’attesa di decine di nominativi, che includono musei grandi collezioni private e banche… eppure per ora ne abbiamo venduto solo quattro, uno scenario che solo quest’estate sarebbe sembrato fantascienza”.

Un altro esempio viene da Sotheby’s che in questi giorni ha tolto il pezzo forte dall’asta del Arlecchino una tela del 1909 di Pablo Picasso con un valore stimato di $30 milioni. “Il proprietario ha reputato che non sia il momento giusto per battere all’asta un simile tesoro“ ci ha spiegato laconico David Norman, co-chairman del reparto impressionisti e arte moderna. Il fatto che gli acquirenti a New York come a Londra siano in percentuali crescenti costituiti da russi e arabi cambia poco. Un direttore vendita della Gagosian Gallery spiega: “Il panico e l’incertezza non hanno nazionalità”.

Lo spettro di una grande recessione, e l’implosione di banche d’affari come Lehman Brothers e Bear Stearns che, tra l’altro, spendevano milioni in arte contemporanea, sono i fattori più ovvi. Ma chi conosce da dentro i meccanismi del mercato, teme che questo sia un golem incontrollabile, sulla via all’autodistruzione.

Lehman Brothers a New York

“Negli ultimi tre anni” sostiene Amy Cappellazzo esperta di arte moderna e contemporanea di ChristiÈs “la crescita esponenziale del mercato dell’arte contemporanea sembrava inarrestabile. Tutti i ruoli sono stati ridefiniti”. Oggi (come dimostra l’asta organizzata da Sotheby’s per le opere di Damian Hirst che ha fruttato $200 milioni) il ruolo delle case d’aste sembra sovrapporsi a quello dei tradizionali meccanismi di vendita; i grandi galleristi sono in diretta competizione con i musei; gli artisti di grido sono diventati autentici imprenditori di se stessi con alle spalle schiere di assistenti organizzati in studi-imprese; e i collezionisti, in particolare gli investitori istituzionali, sono ormai capaci di smuovere il mercato e ridefinire la carriera di un artista con acquisti su scala industriale. “È stata una trasformazione rapidissima e radicale, e proprio per questo oggi se ne avverte la fragilità “ conclude la Cappellazzo.

Per chi vuol capirne di più arriva puntuale in libreria The $12 Million Stuffed Shark, The Curious Economics of Contemporary Art (Palgrave Macmillan) di Don Thompson, brillante economista che ha insegnato a Harvard e alla London School of Economics. In 258 pagine che si leggono come un thriller, l’autore esplora le motivazioni psicologiche, sociali ed economiche alla base di un mercato irrazionale e senza regole. Thompson inizia chiedendosi come sia possibile che un intelligente finanziere newyorchese, abbia pagato $12 milioni di dollari per la carcassa imbalsamata di un pescecane già in via di decomposizione, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living di Damian Hirst.

Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living di Damian Hirst

Segue un’ avvincente indagine sugli eccessi di un mercato la cui economia sfugge a qualunque criterio logico. Il prezzo pagato per lo squalo di Hirst , non è un’indicazione del valore di un’opera d’arte, bensì la conseguenza di un mondo in cui un’elite si è trovata a disporre i cifre inaudite. “Per chi dirige un hedge fund e percepisce uno stipendio di $500 milioni l’anno, $12 milioni rappresentano il frutto di 5 giornate lavorative…”. Le sue riflessioni corroborate da interviste con i protagonisti (artisti, mercanti e collezionisti) costituiscono un nuovo approccio all’analisi non solo dell’arte ma della cultura contemporanea tout- court. L’autore ha il merito di ridimensionare il mercato dell’arte contemporanea, che nonostante il glamour che lo circonda fattura “solo” attorno ai $20 miliardi all’anno nel mondo, ovvero un introito paragonabile a quello di una singola coorporation come Nike.

Thompson espone eloquentemente sia il lato nobile del collezionista-mecenate, che l’irrazionalità di un mercato in cui il valore dei beni viene stabilito da un gruppo di iniziati, che ne lucrano. Negli ultimi anni, la categoria che è passata in secondo piano è invece la critica. “Perché un collezionista pronto a sborsare milioni, dovrebbe farsi influenzare da un critico pagato $200 dollari a articolo da riviste un tempo influenti come Art in America?”. Per Thompson la riflessione estetica è stata sostituita da un processo diffuso, il branding. Gli artisti di grido, le gallerie e le case d’aste sono diventati brands – marchi – l’equivalente culturale dell’abito griffato. Nell’arte contemporanea (e questa è una novità a partire dal tardo XX secolo) un artista non si impone fino a che non è stato branded, ovvero fino a che non sappia offrire la garanzia di qualità e riconoscibilità immediata che solitamente attribuiamo a marchi come Mercedes o CocaCola. Similmente i musei, diventano marchi, basti pensare a MoMA, Guggenheim e Tate.

Il Moma di New York

Il concetto di branding arriva a toccare persino i collezionisti, chi compra un’opera d’arte da ChristiÈs, Sotheby’s o una mega galleria come quella di Larry Gagosian, acquista non solo arte, ma un nuovo modo di essere visto e giudicato da un ambiente. Scritto come un reportage, tra i tanti meriti di questo libro definito da ‘The Economist’ “una lettura obbligatoria per chiunque voglia dedicarsi al collezionismo di arte contemporanea” c’è quello di fornire una visione a 360 gradi del mercato dell’arte nelle sue varianti nazionali. Ad esempio per Thompson i pezzi più importanti dell’arte d’oggi, finiscono comunque nei musei. In Europa questo avviene attraverso interventi statali, negli Stati Uniti invece attraverso donazioni e lasciti di privati (e relativi sgravi fiscali) senza che lo stato si intrometta.

Nel porre le basi per una antropologia dell’arte, l’autore sviscera il meccanismo economico sottostante alla cosiddetta sinergia tra arte e commercio. Cosa ci succede a livello psicologico quando scopriamo che nell’impero economico di Francois Pinault entità eterogenee come la casa d’aste ChristiÈs e la maison di moda Louis Vuitton (entrambe di sua proprietà) vengono usate come pedine intercambiabili di un’unica strategia economica e culturale?Nel capitolo conclusivo l’autore demolisce il mito secondo il quale l’arte contemporanea sarebbe un buon investimento (raramente lo è). Soprattutto tenta di spiegare perché pur sapendo che nella maggior parte de casi il valore futuro di un quadro contemporaneo sarà inferiore al prezzo pagato, tante persone intelligenti continuano a comprarne. L’idea è che comprando arte contemporanea si partecipi allo zeitgeist e all’energia della propria generazione.

The $12 Million Stuffed Shark, The Curious Economics of Contemporary Art (Palgrave Macmillan) di Don ThompsonCon la precisione di un economista, Thompson individua i dati chiave attorno a cui tesse la sua narrazione: tra i circa 80.000 artisti che lavorano tra Londra e New York, solo 75 sono superstar, ovvero hanno guadagni annuali a sette cifre; il numero di collezionisti seri d’arte contemporanea attivi oggi è di circa venti volte superiore a prima del crisi degli anni 1990, otto su dieci opere acquistate direttamente dagli artisti e metà di quelle acquistate all’asta non saranno mai rivendute a un prezzo superiore a quello pagato; quattro gallerie su cinque falliscono entro i primi cinque anni di attività. Come dire il mondo dell’arte contemporanea brilla più di quanto vale, avvicinatevi con cautela.

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