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Arte

Storia della videoarte (X)

Microcosmo Italia: Fabrizio Plessi

Segue da Storia della video arte (IX)

L’esperienza di Studio Azzurro circoscrive una pratica creativa, quella dell’interdisciplinarietà, piuttosto condivisa negli anni Ottanta, eppure non la sola in grado di poter descrivere le tendenze espressive che caratterizzano il panorama della produzione video italiana. È il caso dell’artista Fabrizio Plessi, originario di Reggio Emilia ma veneziano d’adozione da oltre trent’anni.

Videoinstallazione di Fabrizio Plessi

Ricondurre il campo creativo di Plessi alla sola videoarte è restrittivo, per quanto non scorretto: l’artista lavora effettivamente con il medium televisivo e con il linguaggio video, ma nell’intento di superare i confini della semplice materialità dell’oggetto, al fine di creare un hic et nunc assurdamente fuori dal tempo.
Anche la riduzione cronologica del decennio 1979-1989 comporterebbe un approccio alla figura dell’artista estremamente limitata, ma in quegli anni l’attività di Plessi è particolarmente prolifica e innovativa, tanto da considerarlo, nella fenomenologia degli eventi, un uomo estremamente aderente al suo tempo.

Plessi inizia la propria ricerca artistica già alla fine degli anni Sessanta, attraverso un’indagine dell’immagine elettronica che gli fa operare una selezione iconografica molto ristretta, come dimostra il tema dell’acqua, che sarà la dominante di film, installazioni e video del periodo. Gli anni Settanta sono caratterizzati da partecipazioni a grandi esposizioni internazionali, ma come si è detto, alla fine del decennio Plessi inizia una ricerca strutturata e organica sui modi e ruoli del video.

Il caso di Liquid Movie è esemplare: con questo lavoro, del 1980, Plessi viene invitato a partecipare al Festival del Cinema di Venezia, e il film viene riconosciuto vincitore del Premio “Città di Milano”. Si tratta della penultima delle dodici sequenze di Underwater, pellicola che ha mutato profondamente i caratteri del rapporto tra cinema e video.
Plessi, come si è detto, ha presentato l’undicesima sequenza, Liquid Movie, nel 1980 a Venezia, e l’intero costrutto l’anno successivo, nel medesimo contesto. Storicamente è la prima volta che il video entra nel cinema in maniera così diretta e immediata: l’operazione condotta da Plessi, ossia di trasformare il video in un 35mm, conferisce in questo modo una sorta di “estetica filmica” all’oggetto video. Questa operazione esprime un dichiarato interesse non all’interdisciplinarietà, bensì al sovvertimento specifico dei modi linguistici: l’obiettivo di Plessi è qui mettere in relazione forma (o meglio formato) e contenuto, in un confronto aggressivo nei confronti di entrambi i linguaggi coinvolti nel processo.

Fabrizio Plessi

Il motivo di questa ricerca è insito nel potere immaginifico proprio del medium cinematografico: per sua stessa definizione il cinema è la dimensione mutevole del narrato, la cui nascita e diffusione in Europa coincidono con una nuova visione del mondo. Si ridefiniscono i canoni di reale e di immaginario, di mimesi e illusione. Su questi canali Plessi costruisce i suoi lavori, e l’esito è quanto mai sconvolgente: giunge infatti, in maniera tutt’altro che poetica, al crollo delle illusioni. Svelate le dinamiche e comprese le tendenze contemporanee, il cinema si avvolge su se stesso e si richiude intorno alla propria capacità di evoluzione tecnologica della resa audio e video.
Il limite, quindi, si rende superabile in maniera tecnica, perde la propria essenza di meta irraggiungibile. La riflessione di Plessi conduce oltre questo limite in maniera ben più che evidente: la porta aperta sul cinema si chiude proprio alle spalle di Underwater, nel 1982. La televisione, oggetto — per stessa definizione dell’artista — “basico”, ossia più simile alla materia, di per sé priva delle connotazioni espressive tipiche del linguaggio, diventa quindi un campo aperto ad ogni sperimentazione: duttile, pragmatico, in grado di farsi area di messa in atto delle tensioni espressive dell’artista.

Così, dopo il distacco dalla relazione tra cinema e video, la televisione si fa protagonista del lavoro di Plessi, entrandovi come materia e raggiungendo differenti livelli di significato: contenitore, metafora di se stessa e del mondo, strumento di diffusione dell’immagine. In altre parole, quasi pirandellianamente, metatelevisione.

Videoinstallazione di Fabrizio Plessi

Il riferimento è ovviamente il lavoro di Nam June Paik, inteso come un’attenzione al mezzo in quanto supporto, base su cui agire. Così accade in Wasserwagen (1981), una videoinstallazione costituita da due automobili, acqua corrente, fari accesi, quattro monitor, VHS, due cassette registrate: l’automobile, metafora dell’evoluzione tecnologica futurista (che racchiude in sé quindi l’iconografia del mito, della velocità, della meccanica e dell’industrializzazione) si mette in relazione con il mezzo televisivo, icona della cultura di massa dalla fine degli anni Cinquanta alla fine degli anni Novanta.

Questo momento costituisce il passaggio successivo nella ricerca di Plessi, che implica la relazione diretta tra lo spazio tridimensionale, le forme geometriche solide e la liquidità dell’elemento acquatico, rappresentato, ovviamente, in video, tramite la natura elettrica della televisione.

Waterwind IV del 1984 prosegue queste ricerche individuando una stretta relazione tra elementi meccanici e immagini video: il ventilatore collocato nella struttura lignea ha lo scopo di muovere l’acqua nel bicchiere, trasmessa dal monitor a poca distanza. Il legame tra realtà rappresentata e fisica si dissolve, ribaltando il concetto che Magritte a suo tempo aveva individuato con la proposizione ceci n’est pas une pipe, ossia ponendo un distinguo netto tra la pipa e la sua rappresentazione.

Dell’anno successivo è Mare di marmo ( 1985), in cui Plessi dà vita a un ambiente naturale, inserendo 100 televisori in strutture realizzate con lastre di travertino, e costruendo così una corrispondenza tra le caratteristiche materiche del marmo e della distesa marina: nell’opera assume un’evidenza maggiore anche il ruolo della metafora, intesa come figura linguistica che arricchisce l’oggetto artistico di nuovi significati, di immagini e corrispondenze. A questo proposito Plessi afferma:”Il mio lavoro è quello di abbattere le barriere tra scienza e arte e di operare attraversamenti in diagonale, vere e proprie globalizzazioni che renderanno più umano l’inespressivo volto della macchina. Per cui l’arte, con le sue inesauribili capacità terapeutiche, grazie proprio alla sua sofisticata possibilità tecnologica di vettore d’informazione, verrà ad essere un fondamento basilare per lo spirito dell’uomo nell’arido paesaggio contemporaneo… Il lavoro dell’artista rimane quello di far arrivare nella nostra retina e nel nostro cervello dei flash al magnesio che andranno ad illuminare zone buie e segrete della nostra percezione. E una volta che la nostra mente si è dilatata ad idee più vaste, non tornerà più nel suo formato originario”.

Il lavoro di Plessi viene conosciuto a livello nazionale principalmente con la partecipazione alla XLII Biennale di Venezia del 1986: il tema della rassegna, appunto Arte e Scienza, viene infatti letto nell’ottica dell’approccio all’informatica e alla tecnologia. Plessi presenta in questo filone uno dei suoi lavori più noti, Bronx (1985).

Videoinstallazione di Fabrizio Plessi

La videoinstallazione ha un impatto visivo ed emotivo fortissimo: è costituita da strutture di ferro arrugginito che contengono 26 monitor sormontati da altrettante pale. La durezza del monitor e la sua integrità cozzano con la forzata penetrazione della pala nello schermo televisivo, creando l’illusione che l’utensile sia conficcato in uno specchio d’acqua che ne riflette l’immagine. L’opera, dono dell’artista al fondo Mazzariol della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, viene descritta con termini suggestivi dalla curatrice palermitana Helga Marsala, che sottolinea come “serrati dietro un’alta rete metallica, i noti badili di Plessi affondano le punte dentro ad azzurri monitor silenziosi. È la stanza di Bronx, il sogno americano che si fa timore e sospetto. È la fatica vana di chi scava in fondo all’acqua, provando a raccogliere una materia che non si rapprende, un flusso di dati immateriale e schizofrenico. Bronx è l’immagine del progresso che avvince e avanza, e del caos della sovra-informazione che confonde e paralizza”.

Il paradosso visuale di Bronx è uno dei primi lavori che l’artista dedica alla città, un universo geografico riletto attraverso le assonanze e le dissonanze degli aspetti emotivi dello spazio urbano: la freddezza, la grandezza, il rumore, la presenza di elementi strutturali che ne scandiscono la forma. Sulla falsariga di questa visione, Plessi realizza, nello stesso anno Roma, la videoinstallazione che, esposta alla Documenta 8 di Kassel, porta il lavoro dell’artista alla conoscenza del pubblico internazionale. Si tratta di un’installazione di grandi dimensioni che ricostruisce il solco circolare, secondo la storia e il mito, all’origine dell’urbe: Plessi traccia una circonferenza di schermi televisivi, allusione all’acqua del fiume Tevere, inseriti in una struttura lignea, con grandi lastre di travertino, il tutto collocato in un’architettura di archi a tutto sesto, e pareti di colore rosso pompeiano. La metafora visiva della Roma caput mundi si risolve quindi nella sintesi degli elementi formali che simboleggiano la città: il Colosseo, il Tevere, il solco tracciato da Romolo. Una ricerca ripresa qualche anno dopo con Roma II (1987-88), che segna l’inizio dell’interessante collaborazione tra l’artista e il Centro Luigi Pecci di Prato, sede espositiva e museale dedicata all’arte contemporanea.

Roma II, videoinstallazione di Fabrizio Plessi

Oltre alla commissione progettata per l’inaugurazione del museo, un anno dopo Plessi realizza anche Tempo Liquido, un monumentale mulino elettronico creato con la collaborazione di Cristina Kubish, e costituito da suoni elettronici che alludono allo scorrere dell’acqua come metafora dello scorrere del tempo.
Nel 1989 Plessi partecipa alla rassegna Video-Skulptur al Kunstverein di Colonia, con l’opera Materia Prima; chiara allusione all’origine delle forze elementari, quest’installazione è accompagnata dal testo:

Molto prima della nascita della luce quando tutto era cenere immobile e inerte,
Molto prima del grande risveglio del quarzo quando la luce era soltanto quella del rituale del sole,
Molto prima della materialità scura della terra quando tutto era buio e fango umido,
Molto prima del tempo del disgelo quando tutto era magma di basalto fuso,
Molto prima dell’ostinata solidità del fossile, quando tutte le pietre grige della terra erano ancora dormienti,
Molto prima che i grandi silenzi si coprissero di lava, quando l’etere non trasmetteva ancora il segnale d’allarme codificato proveniente da lontani terminali spaventati,
quel tempo era il tempo della Materia Prima

Nell’ambiente grigio fatto di pietra serena e mura in cemento, i 25 monitor questa volta sono spenti.

Segue con Storia della video arte (XI)

Bibliografia


Simonetta Cargioli, Sensi che vedono, Pisa, Nistri-Lischi, 2002
Angela Madesani, Le icone fluttuanti, Milano, Mondadori, 2002


Sitografia


www.plessi.it


Per una biografia completa di Fabrizio Plessi rimandiamo al sito dell’autore

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