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Scrittura

Ji Chaozhu, l’uomo alla destra di Mao

Una rivoluzione non è una festa… È necessario creare il terrore per un po’… Altrimenti sarebbe impossibile sopprimere le attività dei controrivoluzionari in campagna o rovesciare l’autorità dei possidenti. I normali limiti devono essere superati allo scopo di correggere un errore, altrimenti in caso contrario l’errore può diventare giusto.”
Mao Tse-tung

Copertina del libro L'uomo alla destra di Mao
Titolo: L’uomo alla destra di Mao
Autore:
Anno di pubblicazione: 2008
Traduzione: Sergio Mancini
Editore: Longanesi, Milano
Collana: Il Cammeo
Pagine: 403
Prezzo: 24,60 Euro
ISBN: 978883042438

La Cina ha da sempre rappresentato, per noi occidentali, un mondo lontano ed incomprensibile: lo spirito di sacrificio e il grande senso di appartenenza, quasi il popolo cinese fosse un’unica immensa famiglia, sono da sempre nell’immaginario collettivo stereotipi per descrivere una nazione che nella realtà è fatta — come ogni altra cosa del resto! — di enormi differenze e contraddizioni. L’uomo alla destra di Mao di Ji Chaozhu (edito da Longanesi, 2008, traduzione di Sergio Mancini) ne è un esempio concreto: il libro è la auto biografia di un uomo comune che, trascorsa la giovinezza negli Stati Uniti, decide di ritornare in madre-patria per aiutare a ricostruire il nuovo stato comunista e, entrato a far parte dello staff del Ministero degli Esteri, da semplice funzionario e traduttore diviene dapprima interprete per i maggiori leader cinesi e, in seguito, ambasciatore a Londra e New York.

Il periodo pre-rivoluzionario e la giovinezza in America

L’autobiografia inizia con la descrizione dei primi anni della vita dell’autore, trascorsi nell’agio; il padre, piccolo proprietario terriero, garantisce alla famiglia di Mao istruzione e tutto ciò di cui avevano bisogno per trascorrere un’esistenza serena e priva di preoccupazioni. Costretti a fuggire in seguito all’invasione giapponese, si rifugiano negli Stati Uniti, rimanendo schierati con i rivoluzionari di Mao che, tra alterne fortune e grazie all’appoggio dei contadini, riescono a conquistare il potere, costringendo i seguaci del Kuomingtan all’esilio forzato nell’isola di Taiwan.

In America Ji e il fratello Chaoli proseguono gli studi. L’autore sogna di diventare chimico e poter così servire la nuova Cina comunista che stava nascendo; il susseguirsi degli eventi, con lo schieramento degli Stati Uniti a sostegno degli esuli reazionari, costringono però tutti al veloce rientro in patria, nel timore che l’ulteriore attesa porti alla chiusura totale delle frontiere.

Ji Chaozhu

Quello che stupisce il lettore, e soprattutto il lettore occidentale, è lo straordinario spirito di sacrificio dei cinesi, che risulta il più delle volte incomprensibile ai nostri occhi. Chaozhu, avendo la possibilità di rimanere negli Stati Uniti per completare gli studi e vivere un’esistenza sicuramente migliore di quella che lo attende in patria, preferisce tornare in Cina, non sapendo nemmeno cosa lo aspetti al di là dell’Oceano: i pochi agi che la sua famiglia si poteva permettere un tempo, saranno sicuramente stati cancellati dalla Rivoluzione, ma egli non sembra curarsene, anzi, diviene fin da subito accanito sostenitore del movimento contadino. Ciò ovviamente va letto nell’ottica relativistica della carica che lo scrittore riveste in patria: la censura ancor oggi imperante esclude ogni forma di aperta critica al regime, anche e soprattutto per chi, come lui, rappresenta o ha rappresentato il Paese all’estero. Dalle descrizioni dell’esperienza americana, si percepisce il sentire di un autore diviso tra “due patrie”, poco conforme alla dottrina dominante cinese che vedeva nel nemico statunitense la maggiore minaccia alla propria sopravvivenza.

I primi incarichi al Ministero degli esteri

Rientrato dagli Stati Uniti, Ji presenta domanda come volontario per la guerra in Corea, riprendendo contemporaneamente gli studi. Con sua sorpresa viene convocato dal Ministero degli Esteri e, grazie ai suoi trascorsi, “arruolato” come interprete per i negoziati che si stanno svolgendo tra coreani e statunitensi. In quasi due anni di permanenza al fronte, conosce ogni tipo di patimento — zanzare, pulci e fame sono all’ordine del giorno — ma soffre in silenzio perché ritiene i suoi sacrifici insignificanti se confrontati a quelli dei soldati che combattono contro i sud-coreani. In questo periodo si svolge, strisciante, una lenta guerra di logoramento; le due parti non riescono ad avanzare che per pochi chilometri dentro le linee nemiche, e i successi vengono subito vanificati da qualche controffensiva. Anche la diplomazia appare impantanata sulle posizioni ferme dei due contendenti: gli Stati Uniti ritengono i cinesi colpevoli di voler fomentare la rivoluzione in Corea, mentre i cinesi sostengono che sono gli americani ad aver accerchiato la Repubblica Popolare con un fronte che va dalla Corea fino all’isola di Taiwan.

Firmato finalmente l’accordo di pace tra le due Coree il nostro protagonista rientra a Pechino e qui prosegue la sua lunga gavetta da funzionario del Ministero, si sposa e va a vivere in un piccolo monolocale, consistente in una sola stanza, le pareti di carta che non consentono intimità. La loro vita prosegue in modo umile: la moglie Xiangtong, privata dell’affetto del padre e del fratello, esuli a Formosa, è continuamente sotto stretta sorveglianza a causa della sua storia familiare, mentre Ji sembra attendere con calma un’opportunità per distinguersi e poter servire al meglio il Paese (come egli stesso ricorda, “bisogna avere la pazienza del vecchio pazzo che lentamente cerca di spostare la montagna!”[1]).

È del settembre 1956 la prima esperienza di Chaozhu come interprete di Zhou Enlai[2], che riceve in visita ufficiale il premier nepalese Tanka Prasad: quest’occasione gli permette di entrare in contatto con la straordinaria personalità del leader cinese, che viene descritta come una figura paterna, umana e vicina alla sofferenza dei più poveri, un vero comunista, schietto e leale; negli incontri con i “grandi” della scena mondiale sa essere pacato ma allo stesso tempo diretto e fermo nelle proprie convinzioni, senza mai divenire scortese. Il suo senso di devozione per gli interessi del Paese si evince dalle istruzioni impartite ai suoi collaboratori: egli era fermamente convinto che il Ministero degli Esteri dovesse lavorare il più possibile per conquistare il maggior numero di amici possibili alla Cina, perciò tutti coloro che si trovavano alle sue dipendenze dovevano avere dei modi discreti, far sembrare di essere d’accordo anche quando non lo erano, senza apparire troppo imperscrutabili ed affrontando le situazioni provocatorie in modo calmo e riflessivo.

Mao Tse Tung

Questa figura viene contrapposta fin dall’inizio a quella di Mao, che risulta essere molto più indecifrabile e complessa: vive in una specie di isolamento nel suo palazzo ricavato all’interno della Città Proibita, dormendo di giorno e lavorando esclusivamente di notte; teorico della rivoluzione, crede nella continua lotta per l’affermazione del vero comunismo e avvia svariate campagne antireazionarie che avrebbero contribuito, a suo avviso, allo sviluppo socio-economico della Cina, senza accorgersi in realtà dei propri errori.

Tra queste vanno ricordate: la campagna dei “cinque anti” (antisubordinazione, antievasione fiscale, antifrode, antiaccaparramento, antirivelazione di segreti di Stato), durante la quale gli operai furono incoraggiati a criticare i loro capi colpevoli di “pensiero opportunista di destra” e i quadri si ribellarono contro altri quadri, nell’ottica di eliminare quanti più avversari possibili; la campagna dei “quattro senza”, durante la quale si chiese ai cittadini di sterminare in massa topi, passeri, mosche e zanzare, cosa che comportò un gravissimo danno per i raccolti, infestati dagli insetti che i passeri usualmente divoravano. Ma soprattutto vanno ricordate la Riforma agraria, il “Grande balzo in avanti” e la Rivoluzione culturale.

In seguito alla presa di potere, Mao avviò una fase di collettivizzazione delle terre e dei mezzi di produzione, introducendo un controllo dei prezzi al consumo per permettere l’abbattimento dell’inflazione che fino ad allora aveva caratterizzato la Repubblica Cinese, tentando contemporaneamente di aumentare l’alfabetizzazione. La redistribuzione delle terre comportava anche una forte ondata di violenza scatenatasi contro proprietari terrieri e ricchi contadini, letteralmente sterminati; secondo le stime dello stesso Mao furono uccise circa 800.000 persone tra il 1950 e il 1952, il biennio più cruento per la nuova Cina comunista.

In questo periodo nasce anche la Campagna dei cento fiori, ovvero l’apertura del regime ad opinioni e critiche, che avrebbe consentito, nelle intenzioni del leader cinese, l’ulteriore progresso della nazione. E se all’inizio tutto questo venne tollerato e incentivato, in un secondo tempo la campagna viene bloccata, combattendo con ostinazione ogni forma di opposizione.

Nel 1958 viene progettato il Grande balzo in avanti, un piano per la crescita economica che, al contrario del modello sovietico basato sull’industria pesante, concentrava i propri sforzi sull’agricoltura e la piccola industria rurale. Questa esperienza ha fine nel 1960, dopo che una grave siccità aumentò le difficoltà di grandi fasce di popolazione contadina, portando alla morte per fame di milioni di cinesi.

Ji Chaozhu con la foto di Mao alle spalle

Nello stesso periodo si consumò anche la crisi sino-sovietica, che si concluse con il ritiro dell’aiuto sovietico e il conseguente ulteriore aggravarsi della situazione interna. La responsabilità di tutte le difficoltà, interne ed estere, ricade sulla persona di Mao, che da quel momento tende ad essere sempre più emarginato da Liu Shaoqi (che assuse in questo periodo la carica di Presidente dello Stato), Deng Xiaoping e i principali leader del PCC.

Forte della fedeltà di diversi membri del Partito e nella qualità di suo Presidente, Mao non si rassegna all’allontanamento dalla guida del paese e lancia nel 1966, la Rivoluzione Culturale: affidando il potere direttamente alle Guardie Rosse, gruppi di giovani militanti investiti di poteri speciali, primo fra tutti la possibilità di giudicare sommariamente i cittadini ritenuti colpevoli di pensiero reazionario. Queste milizie si rendono responsabili della distruzione di buona parte del patrimonio culturale cinese, compresi migliaia di monumenti tacciati di rappresentare il più bieco retaggio borghese pre-rivoluzionario. La degenerazione del movimento è alla fine riconosciuta dallo stesso Mao, che decreta chiusa questa esperienza nell’aprile del 1969, nel corso del IX congresso del PCC, e vara, a partire dai primi anni Settanta, una politica di lento riavvicinamento all’Occidente (ingresso della Cina nell’ONU nel 1971, visita del Presidente americano Nixon a Pechino nel 1972 e disgelo con Mosca).

Questo periodo è comunque vissuto da tutti i cinesi come un periodo di profondo disagio sociale: la censura e la lotta della classe dirigente per tenere a freno ogni forma di dissidenza sono ancora molto forti. Il succedersi degli eventi e la pesante aria di repressione che si respira è ben sintetizzata nelle pagine del libro, e trova sostanza nelle minuziose descrizioni delle vicissitudini personali del protagonista, in particolar modo dei suoi periodi di “riabilitazione” nei campi di lavoro: le migliori leve impiegatizie alle dipendenze dei vari ministeri sono allontanati dalle proprie mansioni, in una sorta di lotta per il potere che coinvolge i vari leader in lizza per la successione di Mao (l’ala sinistra rappresentata dalla Banda dei quattro, i restauratori guidati da Hua Guofeng ed i riformatori capeggiati da Deng Xiaoping). Se l’essere stato bollato come reazionario inizialmente viene vissuto con un senso di violenta rabbia, questa lascia via via il posto alla rassegnazione e alla consapevolezza che solo l’area moderata formata dal premier Enlai e da pochi altri leader politici può risollevare le sorti della Repubblica Popolare.

Nel libro il cambio di rotta della politica estera cinese è sintetizzato dall’incontro tra Zhou Enlai ed Henry Kissinger nel luglio 1971: dopo essersi stretti la mano ed essersi scambiati brevi parole di benvenuto, Kissinger inizia a leggere un lungo discorso consistente in numerosi fogli di carta, procedendo per diversi minuti e con eloquenza, quando arriva alla seguente frase: “Molti visitatori sono venuti in questo bellissimo e, per noi, misterioso Paese”. Il premier cinese solleva a quel punto la mano e sorridendo ribatte: “Quando lei sarà diventato familiare con questo Paese, non le sembrerà più misterioso come prima”. A quel punto il Segretario di Stato americano mette da parte i suoi fogli e, con sollievo e soddisfazione, i due iniziano a conoscersi reciprocamente, alla ricerca di un terreno comune su cui poter dialogare nell’interesse delle rispettive nazioni.

foto di MaoL’incontro sembra delineare la precisa volontà di svincolarsi dal potere di Mao per aprire, anche se molto timidamente, uno spiraglio alla diplomazia e all’Occidente, dimostrando ancora una volta la diversità della via cinese al comunismo, che da sempre ha cercato di sottrarsi alle influenze del vicino sovietico, elaborando una propria politica di “terzietà” rispetto ai due mondi, quello capitalista-americano e quello imperialista-russo.

Nuovi incarichi negli Stati Uniti

Il 21 febbraio 1972 è, per la storia cinese, un’altra data da ricordare: Nixon arriva in visita ufficiale, la prima di un Presidente americano da quando i comunisti erano saliti al potere nel 1949. Proseguendo il lavoro di fine diplomazia iniziato l’anno precedente da Zhou Enlai e Kissinger, i due presidenti siglano congiuntamente il Comunicato di Shanghai: la Cina riafferma la propria sovranità e l’impossibilità di normalizzare le relazioni sino-americana senza la preventiva risoluzione della “questione Taiwan”, con il conseguente ritiro delle installazioni militari statunitensi presenti sul suo territorio. Gli Stati Uniti riconoscono l’esistenza di una sola Cina e si impegnano a ritirare progressivamente le forze militari dall’isola.

Questa svolta nella politica dei due Paesi comporta la creazione di un ufficio diplomatico cinese in America e nella primavera del 1973 Chaozhu, chiamato dal premier in persona, è velocemente trasferito a Washington in qualità di membro d’avanguardia per la creazione del futuro ufficio di collegamento con la madrepatria. Nonostante la sua brillante carriera, al suo rientro, viene intimato per la quarta volta di andare in campagna, alla Scuola quadri Sette Maggio nei sobborghi di Pechino, nei quali trascorre quasi un paio d’anni.

Il 1976 è segnato da due lutti, quello del premier Zhou Enlai e quello del presidente Mao. Le alterne vicende che seguono questi eventi, si riassumono principalmente negli scontri al vertice tra le “due signorine”, entrambe interessate al potere negli ultimi anni di vita del Presidente e che silenziosamente riuscirono ad influenzare molte delle sue ultime decisioni, essendo egli oramai debilitato nel fisico e nella mente e quasi impossibilitato a parlare; e nella lotta tra le due fazioni, quella ultra ortodossa e maoista denominata “la banda dei quattro” e quella riformista guidata da Deng Xiaoping e da altre personalità di spicco dell’universo politico cinese.

Nel 1977, dopo un anno di grande instabilità, prende finalmente il potere il riformista Xiaoping, che in breve tempo attua una politica di apertura culturale e commerciale con l’Occidente e permette un generale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Anche le vicende personali del protagonista, in questo nuovo clima di ottimismo che attraversa il Paese, subiscono una profonda svolta: riconosciuto finalmente per il suo valore, viene nominato, dal 1982, responsabile delle relazioni politiche tra Cina e Stati Uniti presso l’ambasciata a Washington, per essere trasferito come ambasciatore alle isole Figi, ed infine ricoprire, per il quinquennio 1991-96, il ruolo di vicesegretario generale delle Nazioni Unite.

In conclusione, si può certamente affermare che questo libro rappresenta un ottimo spunto per chi voglia approfondire le proprie conoscenze su un mondo tanto lontano, aprendo una finestra direttamente all’interno della Cina comunista, così ermeticamente chiusa agli occhi del mondo esterno dagli anni della presa del potere da parte di Mao; il romanzo svela, pagina dopo pagina, paure, incertezze, difficoltà ed errori di una classe dirigente costretta in pochi decenni a portare il proprio Paese a livello delle grandi potenze occidentali, per non rischiare di venire definitivamente tagliati fuori da un’economia in continua espansione. I continui richiami storici non appesantiscono la lettura, anzi, risultino necessari per comprendere appieno le vicende personali dell’autore, Ji Chaozhou, le sue considerazioni, e con lui le condizioni di vita di milioni di cinesi, divenuti oggi un quinto della popolazione mondiale.

Andy Warhol, Mao Tse Tung, 1972. Particolare

Mao Tse-tung (Shaoshan, 1893 – Pechino, 1976) detto il Quattro volte Grande (Grande Maestro, Grande Capo, Grande Comandante, Grande Timoniere) è l’ideatore della rivoluzione cinese e capo del PCC, che porta alla vittoria i comunisti con la fondazione della Repubblica Popolare nel 1949. Il suo pensiero, svincolandosi dal marxismo-leninismo sovietico, pone alla base dell’economia l’agricoltura; il maoismo, sebbene riuscendo a creare uno Stato libero e sovrano, diviene in breve tempo fortemente contrario a qualunque forma di critica proveniente dal suo interno, sviluppando contemporaneamente un fortissimo culto della personalità incentrato sul suo leader.


Note


[1] La favola intitolata Il vecchio pazzo che spostava le montagne, rievocata anche dal presidente Mao nel 1945 in un discorso destinato a risollevare il morale delle truppe rivoluzionarie, narra di un vecchio la cui fattoria giace all’ombra di due grandi montagne che impedivano al sole di arrivare, e decise così di spostare le montagne con l’aiuto di tutti i suoi figli. Un giorno un vicino gli disse “Sei pazzo, vecchio! È del tutto impossibile che tu riesca a scavare queste due enormi montagne.” Ed egli rispose: “Si, hai ragione. Non vivrò fino a vederne la scomparsa. Ma quando morirò, i miei figli continueranno a scavare. Quando loro moriranno, ci saranno i miei nipoti e poi i loro figli e i figli dei loro figli e così via. Per quanto siano alte, le montagne non possono crescere più. Ma ad ogni palata rimossa, saranno più basse di quel tanto. Perché non potremmo farle scomparire?”
[2] Zhou Enlai (Huaian, 1898 – 1976) è stato uno dei maggiori politici cinesi dell’epoca comunista, capo del governo della Repubblica Popolare Cinese dal 1949 fino alla morte. Nel corso degli anni ricopre svariate cariche, tra le quali Ministro degli esteri fino al 1958, guidando nel 1954 la delegazione cinese alla Conferenza di Ginevra e nel 1955 alla Conferenza di Bandung. Grazie alla sua forte personalità riesce a tenersi fuori dalle lotte di successione che si scatenano a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, ed impedire il saccheggio e la distruzione del Palazzo Imperiale di Pechino (e numerosi altri monumenti e siti archeologici) da parte delle Guardie Rosse. È l’artefice della normalizzazione delle relazioni sino-cinesi e fautore del viaggio del presidente Nixon in Cina nel 1972.

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