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Palcoscenico

La Bohème cinematografica di Dante Ferretti

La Boheme allestita al Carlo Felice di Genova da Dante Ferretti‘Mener une vie de bohème’ era un modo di dire ottocentesco per indicare il particolare stile di vita degli artisti dell’epoca, spesso poveri e affamati, anticonformisti e acerrimi critici della morale. Il quartiere parigino di Montmartre, fucina di questi giovanotti pieni di ideali e speranze, è al centro dell’opera pucciniana più famosa e amata, ovvero La Bohème. L’espressione vita da bohèmien (vivere al di fuori delle regole) nasce in questo contesto socioculturale ma può essere considerata una specie di universale culturale. È insita nella natura dell’essere umano una certa dose di anarchica che cozza con il sistema di valori e la morale comune. L’estremizzazione di questo atteggiamento è stata spesso definita come una forma di disordine mentale: un’alterazione della personalità che ha prodotto alcune delle menti artistiche più geniali, tra le quali Shakespeare, Wilde o il nostro Campana, tanto per limitarci al contesto letterario.

Jonathan Miller è un arzillo neurologo inglese che dei disturbi della personalità ha una riconosciuta conoscenza scientifica. Incapace di leggere la musica, lo studioso si è interessato al mondo della televisione e della regia teatrale, mettendo in campo proprio quella sua verve anarchica, tipica degli artisti bohèmien. Miller è presidente della Rationalist Association, ovvero di una prestigiosa associazione britannica la quale fonda la sua filosofia di vita sula supremazia della ragione, indipendente da qualsiasi assunto arbitrario o autoritario, che sembra ben definire lo stile di vita degli artisti parigini ottocenteschi, poco inclini a qualsiasi forma di sottomissione culturale o ideologica.

Dal connubio tra il compositore Giacomo Puccini, il neurologo bohemien Jonathan Miller e il genio creativo dello scenografo marchigiano Dante Ferretti, è nata nel 1994 una Bohème di assoluto valore artistico, non inferiore allo storico allestimento del maestro Franco Zeffirelli che poteva però contare su un cast di interpreti di ineguagliato valore, ovvero Luciano Pavarotti, Mirella Freni e il maestro Karajan.

La trama. È la vigilia del Natale 1930, gelo e povertà fan da cornice a una soffitta da cui si vedono i tetti di una Parigi imbiancata di neve. Marcello e Rodolfo sono due giovani artisti senza soldi: il primo pittore volubile, il secondo poeta scanzonato. Musetta è l’affascinante compagna di Marcello, con il quale vive un rapporto aperto, litigioso e tumultuoso, ma vivo e incredibilmente moderno (l’opera è del 1830!). Il breve ma delizioso scambio tra i due alla fine del quadro terzo sembra una scena da Grande Fratello: “Pittore di bassa qualità!”, “Vipera!”, “Rospo!”, “Strega!”. Musetta è tanto perfida e capace di giocare la gente, quanto dolce e romantica quando intona l’aria Quando mÈn vo — tra i momenti più intensi dell’opera — oppure nella preghiera a Mimì, l’amica morente.

La Boheme allestita al Carlo Felice di Genova da Dante Ferretti

È tanto pungente il freddo di questo Natale del 1930 che Rodolfo decide di bruciare come legna da ardere il manoscritto del suo ultimo romanzo. Gli altri amici sono il filosofo Colline, ovvero la coscienza del gruppo, e Schaunard, musicista occupato che offre una cena al gruppetto di amici per festeggiare la vigilia di Natale. Benoît è il padrone di casa e irrompe in scena pretendendo il pagamento della pigione. Il furbo Marcello, attraverso lusinghe e false promesse, cerca di ritardare il momento del saldo. Per un attimo Rodolfo rimane solo, sgombra un poco la tavola, prende carta e calamaio con l’intento di scrivere.

L’ispirazione è assente, ma è destinata a comparire presto, quando entra in scena Mimì, ragazza alle soglie della giovinezza che ancora non ha conosciuto il primo amore. L’entrata di Mimì introduce uno dei momenti più intensi e intimi dell’opera. L’orchestra accompagna l’imbarazzo della “bambina” e i suoi colpi di tosse, che lasciano presagire qualcosa di tragico. Rodolfo rimane folgorato dalla pallida fanciulla e, in questo momento, Puccini disegna una delle pagine più intense di tutta la storia dell’opera italiana. Con Che gelida manina e Si. Mi chiamano Mimì, le due celeberrime arie dell’opera, Rodolfo e Mimì presentano le proprie miserie e le proprie virtù in un declamato sempre più melodico e struggente. A questo punto il sipario potrebbe anche chiudersi e sarebbe valso il prezzo del biglietto.

Ma è noto come l’opera sia storia di vita, ma soprattutto di morte. Gli amici chiamano Rodolfo: la cena al ristorante aspetta. Sulle note che riecheggiano l’aria Che gelida manina, i due innamorati promettono di non lasciarsi mai e, come in una dissolvenza cinematografica, escono di scena lasciando nello spettatore il desiderio di rivederli presto. E presto li rivedremo.

I due si recano al Caffè Momus, una locanda nel Quartiere Latino di Parigi, adagiata sulla riva sinistra della Senna. Qui conosciamo meglio la perfida e lasciva Musetta, sempre in preda a forti tumulti amorosi. Rodolfo e Mimì incontrano i primi dissidi, dovuti a presunte infedeltà da parte della compagna del poeta, finché i due si lasciano, come decidono di fare anche Marcello e Musetta. Tutto sembra finito per le due coppie, quando Mimì, accompagnata dall’amica Musetta, ritorna ormai morente alla soffitta di Rodolfo, che la accoglie rimembrando i bei momenti passati assieme. Il pittore e i suoi amici fanno a gara per rendere meno drammatici gli ultimi istanti di vita della “bambina”, ma il tempo per il ricordo è breve, perché Mimì assopisce e muore dolcemente.

La Bohème è un’opera dove il peso dei personaggi è calibrato in modo superbo, non ci sono frivole ridondanze interpretative, momenti musicali poco incisivi o situazioni poco convincenti. I personaggi sono gente modesta. Uniti dal sentimento dell’amicizia e dall’amore per l’arte, questi amici di poca fortuna ma di tanta baldoria trovano nel proprio rapporto l’architrave della loro esistenza . Il gruppetto di amici bohèmien — un musicista, un pittore, uno scrittore e un filosofo — rappresenta un inno alla spontanea della giovinezza.

La Boheme allestita al Carlo Felice di Genova da Dante Ferretti

L’opera, tra le massime espressioni della creatività pucciniana, si è sempre prestata facilmente a differenti collocazioni storiche, quindi è sempre stato fertile campo di sperimentazione scenica. Ambientata originariamente nel 1830 dal maestro pesarese, nell’apprezzato allestimento genovese di Jonathan Miller viene ricollocata esattamente cento anni dopo, ovvero nel 1930, in una Parigi avvolta dal freddo e dalla neve. Su questo fortunato allestimento ha giocato la sua scommessa la dirigenza del Teatro Carlo Felice di Genova, patria di grandi esploratori dei mari ma anche di navigatori dell’anima e dell’inconscio.

È fatto noto che di tutti i lavori pucciniani, La Bohème sia quello che presenta la struttura melodrammatica più semplice e lineare, facilmente comprensibile ad un pubblico poco dotto. Siamo lontani tanto dall’intrigo psicologico della Turandot e dall’amore difficile e contrastato di Tosca, quanto dal brio rossiniano e dall’eroismo verdiano. Portata in scena per la prima volta nel 1896, al teatro Regio di Torino, sotto la direzione di un giovanissimo Toscanini, quest’opera di struggente impatto emotivo, venne criticata proprio per l’evasiva semplicità della trama, mentre oggi rappresenta una sicurezza per qualsiasi teatro. A ben vedere, tanto banale quest’opera proprio non è, basti pensare ai numerosi quadri d’insieme: nella soffitta di Rodolfo, o ancor di più, al caffè del Quartiere Latino, dove Puccini non perde mai di vista sia i protagonisti, sia il senso dei piccoli dialoghi. In questo modo riesce a far danzare in un moto di intensa e rara spontaneità personaggi tra di loro tanto diversi per carattere e indole.

Seppur impantanato tra previsti tagli al Fondo Unico dello Spettacolo, problemi di bilancio e rivendicazioni sindacali delle maestranze, il Carlo Felice è riuscito a confezionare uno spettacolo di notevole livello artistico, che ha visto gli spalti sempre gremiti. Le deliziose scene ad alto contenuto cinematografico del maestro Ferretti si sono inserite perfettamente negli spazi architettonici popolari del teatro genovese, che riproduce al suo interno gli ambienti di una piazza italiana. Suggestivi sia la soffitta del poeta Rodolfo, sia il Caffè Momus: il primo addobbato con le locandine dei film di René Clair, il secondo con le foto di Brassai. Insomma, sembra quasi che a momenti possano spuntare Hemingway o Henry Miller.

La Boheme allestita al Carlo Felice di Genova da Dante FerrettiPer quanto riguarda gli interpreti principali, soddisfacente sia la componente recitativa, fondamentale in un’opera ad alto contenuto emotivo-sentimentale come questa, sia la qualità vocale. La Mimì di Cristina Gallardo Domàs restituiscei caratteri della personalità del personaggio. Timida, fragile e bisognosa di sostegno, l’esecuzione della Gallardo disegna egregiamente la trasformazione emotiva e fisica della fanciulla, soprattutto nel passaggio “ma quando vien lo sgelo il primo sole è mio” dell’aria da soprano per eccellenza: Si. Mi chiamano Mimì. Massimiliano Pisapia è un rodato e sicuro Rodolfo, ruolo che frequenta con successo da anni. L’allievo di Corelli si trova a suo agio nei panni del poeta pucciniano e le sue abilità recitative ce lo comunicano in modo eccellente.

Pisapia è dotato di una ottima qualità vocale, limpido e preciso negli acuti, supera con slancio e senza risparmiarsi l’attesa Che gelida manina, suscitando un meritato applauso del pubblico. Effervescente e brillante la Musetta di Beatriz Diaz e apprezzata la profondità timbrica del Marcello di Luca Salsi. Fra i ruoli minori, ma non ininfluenti nella dinamica dell’opera, l’amico del gruppo, ovvero Schaunard, è interpretato da José Fardilha. Colline è Arutjun Kotchinian, mentreBenoit ha la voce di Mario Bertolino, Parpignol è Angelo Casertano e Angelo Nardinocchi interpreta Alcindoro. Le solite bizze da prima donna di Oren, che sono funzionali al solo ego del personaggio, non incidono su una direzione aderente allo spirito dell’opera, a volte brioso a volte malinconico.

La Bohème


Autore Giacomo Puccini
Direttore Daniel Oren
Regia Jonathan Miller Ripresa da Gianfranco Ventura
Scene Dante Ferretti
Costumi Gabriella Pescucci
Assistente ai costumi Massimo Cantini Parrini
Realizzazione luci Guido Zuccotti

Interpreti
Rodolfo Massimiliano Pisapia
Schaunard José Fardila
Benoît Mario Bertolino
Mimi Cristina Gallardo Domas
Marcello Luca Salsi
Colline Arutjun Kotchinian
Alcindoro Angelo Nardinocchi
Musetta Viktoria Yastrebova
Parpignol Angelo Casertano

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