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Percorsi

Trinidad Santa Clara

Partire da L’Avana direzione Cuba

Vi ho procurato due taxi per centoventi cuc – fa Luis che ci fornisce anche gli indirizzi di certi suoi amici pronti a ospitarci durante il periplo cubano. Ci attende una prima tappa che, sull’asse ovest/est, da l’Avana tirerà a Trinidad.

Trinidad

Viaggeremo sempre incontro al sole, il punto cardinale orientale da dove nasce come un riferimento. La strada si rivela lama sottile d’asfalto che occulta pericolose voragini nel controluce, evitabili solo all’ultimo istante.Se ci fossimo messi in viaggio da soli con un camper, su questa piana piatta, avremmo sicuramente raddoppiato i tempi di percorrenza. È domenica eincrociamo più polizia che gente. Lo scarso traffico si riassume in un andirivieni mellifluo di pochi calesse trainati da pariglie di cavalli e qualche strano autostoppista locale che invece di alzare il dito, deambula con il braccio teso segnalando una fermata senza troppa convinzione.

Le indicazioni stradali sono inesistenti. Un francobollo indica la deviazione per Trinidad: 202 km. Sui cigli della strada piantagioni interminabili di canna da zucchero, le sconfinate colture dove il Che sputò sangue senza risparmiarsi nonostante soffrisse d’asma. Non so per qual motivo mi tornano alla mente le parole di un amico di Udine: Alberto, alla vigilia della partenza, mi raccontava d’aver incontrato a Cienfuegos un tizio che gli si rivolgeva solo in ditirambi. Semplicemente riflessi incondizionati della mente che proiettano ciò che mi è capitato di scorgere stamane, prima di partire, sul Malecon di L’Avana? Dopo la lunga veglia a Changò ho sentito il bisogno di farmi un caffè in casa, ma al ritorno, nello stesso punto dal quale per ore avevo fissato il lungomare sperando di scorgere qualcosa, stava seduto un solitario suonatore di tromba. Non si sa se per dedica all’alba o alla città ancora addormentata.

Ora percorriamo una zona contadina — el campo – come amano dire qui. Il microcosmo metafisico che Luis ha lodato da quando ci conosciamo e che mi ha sempre, ma inutilmente, spronato a scoprire. La sensazione, in effetti, è quella d’essere passati per osmosi nell’ultramondo. Di certo L’Avana non è Cuba: è come se fossero realtà totalmente opposte, distinte e complementari. Il campo non esiterebbe senza La Capital, e L’Avana non avrebbe senso d’esistere se priva del suo entroterra. Mondo rallentato, dove i guajiros che si incontrano vanno a cavallo per strada o al massimo inforcano una motocicletta scoppiettante. Non si sa in quanti riescano a stiparsi su un motocarro e dove siano diretti: donne con bambini a tracolla, perfino un marinaio che si smanaccia il fondo delle braghe per liberarle dalla polvere rossa. Continui posti di blocco della polizia… ma che avranno mai da controllare in questo pianoro quasi disabitato?

Trinidad

Paolo Ghiotto Marin Trinidad

Ci accoglie con i suoi acquarelli e una pacatezza che niente ha a che fare con il brulichio di L’Avana. La famiglia della mia cara Evelin si sta rivelando una classica famiglia “Brambilla” in vacanza, mentre Nestor è la vera sorpresa: attivo, sveglio, predisposto al viaggio e incuriosito su tutto. Il problema di Evelin è quello di non riuscire a rilassarsi tanto è assorbita dal ruolo di madre chioccia dei suoi tre figli di 22, 18 e 17 anni, mica bambini. Talmente concentrata nel ruolo, tenta di assorbire anche me e Nestor nelle sue spire protettive neanche fossimo adulti precoci. José Manuel, l’unico figlio maschio di 18 anni sembra ossessionato dalla fame e dal timore che per un qualche strano motivo possa venirgli a mancare il cibo.

Normale per un ragazzo che vive a Santiago del Cile, nuova capitale della globalizzazione latinoamericana, piombato di colpo nel paese del Che, dove un negozio o un supermercato per le merendine non si trova neanche ad inventarselo? Si sta rivelando per niente percettivo e la cosa mi sorprende, perché José Manuel lo conosco come un ragazzo intelligente, appassionato di cinema, realizzatore di cortometraggi, il cui occhio, quindi, dovrebbe essere sensibile o per lo meno allenato a leggere situazioni, captandole, se non interpretandole.

Faccio presente a José Manuel di ricordare il poster del Che nella sua cameretta: non puoi non conoscerne la storia, la sua traiettoria su queste lande! Come fa, allora, a ossessionarsi per il cibo? Per ora il mondo cubano lo vive sulla spinta della ideologia apologetica tipica dei ragazzi della sua età. Si dichiara un simpatizzante castrista, ma la realtà della vita sull’isola, anche se gli trasmette il timore primitivo di rimanere senza cibo, non sembra per il momento sfiorarlo, non gli stimola alcun interrogativo, anzi, lo disorienta e intimorisce. Gabri, la primogenita, è ancora un oggetto misterioso e incomprensibile. Parla poco e si stanca molto. Alle dieci di sera vorrebbe già dormire, lontani sembrano i tempi del carrete santiaghino quando sequestrava l’automobile di mammà per tirare le ore piccole. E pensare che da pochi mesi si è laureata in giornalismo culturale (sic!). La spiaggia di Ancon è davvero una sorpresa bellissima. Un posto dove spero possa trovare sollievo la famiglia d’argonauti cileni.

Paolo Ghiotto Marin Trinidad

Sabbia finissima e bianca devastata, purtroppo, da un albergo moderno e stonato, privo di gusto, che poco equilibrio trova nel paesaggio naturale circostante, incoronato da palme di cocco, mandorli e mangrovie. Un almacigo, spoglio ed elegante, assume le posture di un re. È un albero medicinale la cui corteccia viene usata per decotti che curano il raffreddore e le indigestioni. Al calar del sole, la spiaggia viene invasa da zanzare sospinte da chissà quali spiriti bricconi.

La notte a Trinidad è imperniata attorno alla Casa de la Musica, dove i cubani incantano per la loro vitalità salsera. Sulla pista si alternano gruppi che folleggiano in immense ruote de casino, o singolarmente, facendo impazzire e squittire straniere di tutte le età e razze. La scalinata accanto alla chiesa, di fronte alla pista da ballo, tra luci e canti, sembra trasformarsi nella notte in un tempio pagano del sollazzo più sfrenato.A Trinidad, più che a L’Avana, i cubani sembrano i signori incontrastati del territorio delle Ceybas, gli enormi alberi sacri sia per i santeri cubani, sia per i Mapuche cileni e per i Maya dello Yucatan.

È una vera felicità notare che le donne cubane più belle se ne vanno in giro e danzano con i loro uomini senza tramutarsi in carne facile per stranieri, che rimangono a guardare frustrati nelle loro voglie. Dietro il tempio-scalinata, dove mi rendo conto de-fi-ni-ti-va-men-te che non so ballare la salsa, sorge un altro tempio: l’edificio, un tempo casa colonica di certi proprietari terrieri, fondatori nel secolo scorso del più importante zuccherificio, è ora abbandonato. Privo di tetto e nemmeno intonacato, è stato trasformato in discoteca. Richiamo di un qualcosa che, pure se più patinato, è un dejà vù colto nella casa de la cultura in Cientro Habana?

L’abuela Amada e sua nipote Maria Isabel mi raccontano, mostrandomeli sulla mappa della città, quelli che sono i punti più salienti e importanti della santeria a Trinidad. L’intera prima giornata verrà dedicata a questa esplorazione. Nelson, padrone di casa e marito di donna Maria Isabel, mi fa vedere un libro sulla vera storia e leggenda di Carlos Ayala e della sua cueva, trasformata dai tempi moderni nell’ennesima discoteca.

Nella cattedrale della Santissima Trinità vi sono tre nicchie importanti. La prima è quella del Santo Cristo di Veracruz che, intagliato a Barcellona nel 1713, durante il naufragio del bastimento che lo stava trasportando a Santiago de Cuba, si arenò sulle spiagge di Trinidad. Tre volte si tentò di condurlo dove era stato commissionato, ma per tre volte, altrettanti uragani marini, lo restituirono alla città. Segue quelladella Señora de la caridad del Cobre, patrona di Cuba. L’originale si trova nella cattedrale di Santiago, e fu pescata in mare dai suoi pescatori. Chiude il trittico un Cristo dell’umiltà e della pazienza del 1680, seduto mentre attende la crocifissione.

Paolo Ghiotto Marin Trinidad

Discendenti dei Congo Reales hanno fondato nel tardo Ottocento il Cabildo in onore di Sant’Antonio, protettore dei viaggiatori e sincretizzato nel panteon Yoruba con Elegguà, colui che sorveglia gli antipodi della nascita e della morte. Lo si onora il 13 giugno con una festa che dura nove giorni. Durante i festeggiamenti gli si offronocibo, orazioni e canti accompagnati da tamburi e maracas. Le offerte sono rivolte sia al santo, sia agli accoliti che ne curano il “cabildo 668”, entre Isidoro Armentero y Pablo Perez.

Nel cortile interno del cabildo c’è un pozzo sempre adornato da fiori freschi e canne di bambù, care anche ad Oggun, il fabbro ferraio. Durante l’anniversario si sacrifica un animale, il cui sangue viene versato nel pozzo assieme al rhum, mistura che sorseggiano pure gli accoliti. L’animale viene poi cucinato senza sale in uno stufato di verdure e peperoncino. Solo a questo punto si ricevono le delegazioni di pellegrini, giunte fin qui per spiegare agli accoliti la natura dei problemi, poi tradotti in danze, orazioni e balli propiziatori. Le delegazioni provengono da ogni angolo del mondo, perfino dalla Malesia, da Portorico e Panamà.

Chi parla e spiega è Bruno Gamboa, 63 anni: Giunsi da Santiago de Cuba a Trinidad dieci anni fa — proprio in occasione della festa del santo — e mi innamorai di Mercedes Lugones Marin, che al tempo era il “maggiordomo” del santo. Così restai, mi fermai a Trinidad, anche se poi, quasi subito dopo, Mercedes morì”.

Paolo Ghiotto Marin Trinidad

Bruno soffre di alta pressione. Mi viene il dubbio che l’animale sacrificale per il santo abbia deciso lui di cucinarlo senza sale, visti i problemi di salute che lo attanagliano. Glielo confido, e lui la prende in ridere, buontempone com’è. Certo che mi curo con medicinali classici, ma porto sempre al collo due noci di Macaua, che aiutano a equilibrare gli sbalzi della mia circolazione.

Poi continua a descrivere il rito: Secondo l’antica tradizione, durante i festeggiamenti, dal pozzo del santo esce un serpente lungo due metri, il Mahat. Il serpente va nutrito con le offerte dei fedeli, e lui esce puntualmente a godersele. Si crede che il pozzo sia colmo di denaro, ma non si può certo prelevarlo, perché nel caso succedesse, il santo chiederebbe in cambio un pezzo di carne della persona che lo sottrae. Solo il Congoreales Mahat, il serpente dell’intelligenza che ha la tana nel pozzo, può indicare, a chi ne avesse bisogno, il punto preciso dove si trova il denaro e, se la quantità richiesta è notevole, ha il diritto di pretendere in pegno la vita di un familiare del richiedente. Per questo – conclude felice – nessuno osa ambire al denaro del santo.

La maggiore delle preoccupazioni è sempre la salute. Approfitto per chiedere a Bruno se esiste una data del calendario legata alla festa della medicina. Certo che esiste un giorno della medicina! Ricorre proprio in questo periodo. Doveva svolgersi il tre di dicembre, ma siccome non si può festeggiare la ricorrenza senza sacrificare a Babalù Ayè — santo della salutea Trinidad l’abbiamo rinviata all’otto. Solo allora arriverà dal campo una scrofa enorme. L’animale offerto al santo deve essere sempre una femmina, e qui non ce l’avevamo.

Chiedo a Bruno Gamboa quale avvenimento del passato sia legato alla ricorrenza, e qui la santeria, come se non fosse già abbastanza complicata e sincretica, si unisce con la storia e la politica: Il 3 dicembre 1947, durante l’ultima guerra d’indipendenza, sette universitari di chirurgia furono massacrati dalla borghesia fascista. Per questo si è deciso di far coincidere quella data con la festa della medicina. Contraddizione e contaminazione tra la realtà e l’onirico, Cuba. Chissà Dio quale leggenda o ramificazione della realtà racconta Bruno, visto che la ricorrenza del 3 dicembre è legata all’anno 1833, giorno di nascita del medico cubano Carlos J. Finley, colui che scoprìl’agente che trasmetteva il virus della febbre gialla, allora endemica sull’isola. È , considerato il più grande scienziato cubano d’ogni tempo.

Paolo Ghiotto Marin TrinidadTrinidad è una città che si sviluppa lungo una piana, per poi attorcigliarsi, con le sue vie ampie, su un colle sinuoso. Se nella parte bassa colpiscono i colori variopinti delle vie ben disegnate e lastricate, appena si comincia a salire i ciottoli si diradano e le variazioni cromatiche dei barocchisi fondono quasi con la gente che li abita. Assieme a Santiago, Trinidad è centro nevralgico della santeria. Qui i mestieri si svolgono e si scorgono a cielo aperto. A pochi isolati dalla casa particular che ci ospita, il cabildo di Santa Barbara — Changò, in un patio interno e striminzito, è cresciuta una Ceyba enorme.

Santa Barbara, o Changò, veste i colori rosso e bianco e si distingue dalla Virgen de la Regla, l’antica Yemayà, nera di pelle nelle immacolate vesti. Il tripudio di colori che trasforma ogni via e calle in un quadro sgargiante sembra dipinto dalla santeria: figure e volti d’uomini e divinità che la abitano con forza ed energia. Qui, come da altre parti, la gente vende e cerca di vendere di tutto macinando sorrisi, e se acquisti qualcosa ti spalanca la casa permettendoti di fotografare ciò che vuoi.

Alla fiera trovi dell’artigianato raffinato. ma, in ogni dove, bisogna affrontare l’appostamento e le interminabili discussioni con i venditori di sigari. Un intero mercatopassa per le vie di Trinidad: gente a cavallo e asini con carretti che procedono in retromarcia, auto d’epoca parcheggiate agli angoli che appaiono all’improvviso. La città è incantevole con le sue architetture raffinate, ben maritate con la natura rigogliosa di una collina fronte mare. Poi, in certi punti oscuri o periferici, si scorgono los cabildos, scortati da piccoli feticci di Babalù Ayè, il potente e temuto San Lazzaro, protettore di lebbrosi e malati, soprannominato “El Chulo” per fama d’essere un gran sciupa femmine.

Luoghi sacriin stanze alte e spoglie che accolgono gli spiriti di Yoruba, quegli orishas travestiti da santi cristiani resi vivi e immortali sugli altari ornati da fiori e colmi di offerte, alimenti, vino, rhum, sigari, denaro, e fiamme di candele perennemente cullate da qualcuno che accarezza uno strumento. Tamburi e maracas o semplici strimpelli a corda che il fedele di turno maneggia con cura e dedizione meditativa. Preambolo musicale che sfocia in preghiere, canti e nenie. Questi semplici incontri mi stanno riappacificando con l’altra Cuba, permettendomi di conoscere e riconoscere quanto questa gente sia il vero tesoro, il vero valore dell’isola. Trinidad è impregnata d’una qualità della vita indubbiamente superiore a L’Avana: la gente appare più felice, sembra vivere, piuttosto che sopravvivere alle innumerevoli difficoltà che la quotidianità di questo sistema politico, interno ed esterno, impone.

Mi perdo, come alle origini dei miei primi vagabondaggi a L’Avana, in chiacchiere interminabili con gente sempre più spesso capace di prendermi per cubano. La solita trasformazione camaleontica che inconsapevolmente subisco sull’isola. A Trinidad, a differenza che a L’Avana, è possibile aiutare la gente comprandogli qualche cosa: 20 pesos cubani in cambio di 25 banane, sigari, anche spaiati e quindi verificabili nella qualità, maschere, ricami, aragoste o pesce fresco tirato fuori da un pescatore che te lo mostra mentre lo pulisce a riva. Insomma, Cuba, da queste parti, si dimostra non soltanto anima e corpo degli habaneros, ma entità “altra”, che sia parte del gran movimento, quotidiano e vitale, che l’umano opera in simbiosi con la natura.

Don Josè, con riguardo alla santeria, mi racconta che pochi mesi fa è morto un famoso uomo di santità. Sostiene che sono spuntati “santeri” da tutti i buchi, decisi a partecipare alla sua veglia funebre. Mai avrei immaginato che la Santeria avesse così tanti accoliti: gli hanno reso onore con canti e balli per un mese intero. Incredibile, nemmeno per un papa in vaticano penso si sia mai arrivati a tanto!
I cileni al seguito continuano a confermarsi poco curiosi, svuotati di energie e poco disposti a sviscerarsela una città così potente. Sono ancora troppo turisti e manca loro ancora quel quid che gli permetta di trasfigurarsi in viaggiatori.

Nestor, invece, apprende velocemente e si diverte con qualsiasi cosa. È come se la sua radice, piantata nelle sterminate pianure andine di Chillan, dove è agronomo e allevatore, trovasse naturalmente una sintonia perfetta con il campo cubano. Agli altri, invece, cittadini della grigia Santiago del Cile, pare manchi lo smog. Sta capitando l’esatto contrario di ciò che immaginavo prima di partire. Evelin, con la quale ho sempre avuto una grande affinità intellettuale, qui sembra perduta nel suo ruolo di madre di bambocci, mentre Nestor che mi pareva una vera pigna (palla al piede, ndr) si sta rivelando un ottimo compagno di viaggio. Il senso pratico e rasoterra di Cuba colpisce duro?

Trinidad Santa Clara e ritorno

Paolo Ghiotto Marin TrinidadDa Trinidad la strada arrampica sul Topes de Colante, il bastione collinoso che le protegge le spalle fronteggiando giri d’alisei. Partiamo prima dell’alba con il sole che ci mette poco a mettersi sopra l’orizzonte per pastellare i colori delle colline d’orlo al mare. Ci inoltriamo in una dimensione distinta da quella vista fin qui. Boschi fitti e lussureggianti, ancora immersi nelle nebbie, delineano appena la vena che conduce a Santa Clara, tempio dell’immaginario e del pellegrinaggio che si ritrova spesso nei testi delle ballate popolari e rivoluzionarie della gentes cubana. Un mondo bucolico, che dona di sé un alone armonico e perfetto, sembra risvegliarsi al rombo del motore che ci spinge verso l’interno. Ogni contadino che appare improvvisamente, brulicando nella sua quotidianità ripetitiva, fa presto a mutarsi in modello, in attraente icona per macchine fotografiche. Il gruppo che ha scelto d’infilare l’alba è tutto al maschile.

ConNestor, Ivo e Josè Manuel, sembriamo quattro felici moschettieri del Che. Gli 85 cuc che abbiamo sganciato, pur costituendo un investimento notevole, valgono la bellezza degli escalambrai che, frapponendosi tra il Topes de Colante di Trinidad e Ibacoa e Manicaragua, furono teatro di quella guerriglia rivoluzionaria in grado di dilagare come fiamma, alla fine degli anni Cinquanta, da Santiago de Cuba a L’Avana. Oggi gli escalmbrai sono valli silenziose dove echeggiano solo i richiami dei mandriani agli armenti; un mondo occultato dalla magia delle nebbie umide del Rio Anabanella, e dai versi indefinibili di uccelli invisibili. Territorio da immaginare prima, ma capace di rivelarsi lentamente proprio con immagini caleidoscopiche inattese.

Paolo Ghiotto Marin TrinidadCerto, quando si tratta di Cuba, si sa dell’esistenza d’un campo sconfinato che ne costituisce la colonna vertebrale agricola, ma difficilmente tale DNA s’inserisce nel patrimonio fotografico dell’isola che fa il giro del mondo. Eppure qui sì che riluce la dignità di un popolo fiero e lavoratore.
Attraverso l’onirico paesaggio dell’isola che non Che sono consapevole del contagio che mi trasmette il volano più sano di Cuba.

Dopo Manicaragua, i seni delle colline si aprono su ampi spazi pianeggianti, e poi, di colpo, come subito dopo un dosso, appare la città di Santa Clara disossata e spalmata su quella stessa piana. Punto del nostro destino odierno? Il mausoleo del Che. Richiamo che ha colto a Trinidad quattro moschettieri così simili a dei musicanti di Brema in delirio. Santa Clara, anima mitica e ideologica del paese, si riassume tutta attorno al suo mausoleo, simbolo di una visita dovuta, sebbene l’ambiente e l’atmosfera siano saturate più dalla nomenclatura castrista che non dall’anima del comandante. Un posto che forse non gli sarebbe piaciuto per niente. Chissà se avrebbe preferito, potendo scegliere, di rimanersene sepolto sul campo di battaglia, tra le lande boliviane, piuttosto che in un freddo e santo sepolcro.

Titanica la piazza che anticipa il monumentale mausoleo, perfino esagerato, che ne contiene le spoglie traslate dalla Bolivia con cerimonie commemorative celebrate giusto un anno fa. Il museo è costituito da una raccolta di effetti personali dell’Ernesto argentino: lettere che spedì ad amici e parenti da ogni angolo del mondo, un video che a ciclo continuo ne traccia la traiettoria politica. Tutto avviene sotto gli occhi di donne della sicurezza piuttosto algide. Nulla a che fare con i profili delle cubane di Manicaragua che abbiamo colto passeggiare proteggendosi dal sole, ornandosi con deliziosi ombrelli colorati. L’unico momento che commuove davvero è proprio il punto dove questo eroe utopico riposa: un talamo semplice e scarno che sembra diffondere intorno tutto l’ossimoro della semplice grandezza che contraddistinse la vita di quest’uomo così vicino alla leggenda.

Il rientro a Trinidad si trasforma in un commiato serale alle sue spiagge bianche, e a quegli alberi spogli che proiettano fieri le loro lunghe ombre quando vengono sorpresi dalle luci basse del tramonto. Il tassista gigolò Rafael, accompagnandoci a casa, chiude così il cerchio di una giornata lunga e intensa. Stanotte stessa partiremo per Baracoa, l’estremo baluardo orientale dell’isola, la sua fine del mondo e, come tutti i punti da fine del mondo che si rispettino, immancabile ombelico. Il commiato che ci riservano in casa di Nelson, Maria Isabel e la nonna Amada, non ha certo nulla a che vedere con quelli che ho vissuto per anni a L’Avana, ma certamente a Trinidad è come se mi fosse rinata dentro una nuova Cuba, più semplice e umana, più gioiosa, meno intellettuale. In questa casa si è instaurato qualcosa di più d’un rapporto “turista — ospite di casa affittuario a giorni”.

Paolo Ghiotto Marin Trinidad

Il senso materno di Maria Isabel, sempre molto dolce, paziente e disponibile; nonna Amada che, fissandomi con i suoi occhi antichi, indovina nei miei un sicuro ritorno a Trinidad: Magari io non sarò più qui, ma tu ritornerai e saprai sicuramente avvertirmi. Santeria?
Nelson, suo figlio, che mi regala un libro sulle divinità Yoruba e sul loro rapporto sincretico con la religione cattolica. Per anni avevo chiesto agli amici di Habana Vieja qualcosa di simile senza che i miei desideri riuscissero a essere accolti ed esauditi da una qualsiasi delle deità terrestri o soprannaturali del panteon creolo habanero.
E se fosse stato proprio quel chiedere insistentemente l’atto sbagliato, visto che la risposta è arrivata, senza pretenderla e senza preavviso, da questo pacato cubano venditore di sigari, appena conosciuto, che si porta addosso il nome glorioso d’un ammiraglio inglese?

Durante la nostra andata e ritorno da Santa Clara, Evelin e le figlie ritorneranno al cabildo di Sant’Antonio. In cambio dei vestiti regalati alla compagnia di Bruno Gamboa, riceveranno collane, bracciali e ricami. Durante una visita alle fabbriche del tabacco, vera e propria istituzione radicata a Trinidad da ben quattro secoli, acquisteranno per Josè Manuel quaranta sigari al costo di 40 pesos cubani: omaggio delle divinità santeras?

All’ultima cena ci sono proprio tutti: Don Josè, Maria Isabel, perfino Rafael, il tassista gigolò. Jorge — el gordo — mi regala un basco del Che. Prometto! Non lo toglierò nemmeno per un attimo lungo il viaggio notturno per Baracoa. La liturgia dell’arrivederci che ho già conosciuto in altri luoghi si ripete: Nelson m’infila in bocca un Cohiba lanceros lungo un chilometro. Lo costringo ad accenderlo e a iniziarlo, anche se non ne fumava uno da anni. Questa è la tradizione a Cuba, chi ti regala un lanceros, deve accendertelo e cominciare a tirare. Basco in testa e sigaro in bocca; ecco come ci si può risentire nuovamente cubani.

Paolo Ghiotto Marin Trinidad

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