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Cinema

Sulla natura del prossimamente (V)

Verso il trailer moderno

Segue da Sulla natura del prossimamente (IV)

È con l’inizio degli anni Settanta che il trailer subisce delle trasformazioni di rilievo. Non si tratta certo di un rinnovamento radicale e improvviso — permangono le soluzioni “barocche” che fanno riferimento agli archetipi dei decenni precedenti — tuttavia, lungo questa spanna temporale, la promozione cinematografica inizia a configurarsi come un assaggio di pura sostanza filmica; si assiste ad un progressivo ma sensibile abbandono degli elementi “spuri” (scritte sovrimpresse e commenti) in favore di una manipolazione che utilizza unicamente il materiale desunto dal film.

Immagine articolo Fucine Mute

Sembra serpeggiare, tra gli addetti ai lavori, l’idea che i soli “prelievi”, possano essere sufficienti (diremmo sufficientemente persuasivi) ai fini della promozione cinematografica. Ordinati da un occhio esperto, gli “spezzoni” prescelti possono non solo offrire le coordinate narrative del film, ma anche restituire il suo registro “emotivo”, e ciò senza l’intervento di altre tracce interpretative quali commenti, scritte, interpellazioni. Questo passaggio, orientato – potremmo dire – alla sobrietà, non rappresenta però un’innovazione di per sè. Non sempre il trailer costruito unicamente a partire dal materiale filmico è in grado di allestire una comunicazione informativa (di che cosa parla il film) e persuasiva (“è un film che vale la pena vedere”) efficace e convincente, anzi, spesso le soluzioni di montaggio sono ingenue o inutilmente ridondanti e rischiano di “fuorviare” lo spettatore circa la cifra caratterizzante il lungometraggio. Rimane il fatto che il salto concettuale nell’esecuzione compositiva rappresenta sicuramente una linea di demarcazione forte.

Inoltre, questa fase segnala il momento in cui la figura del montatore diviene decisamente condizionante, se non addirittura decisiva: l’impatto emozionale sullo spettatore — il fascino della storia — è affidato non tanto alle sequenze in quanto tali, bensì alle scelte “registiche” del montatore, che diventa il principale responsabile di una nuova messa in forma. I tagli, la selezione delle inquadrature, lo stesso fraseggio musicale, non sono più il risultato di un assemblaggio “casereccio”, ma diventano l’esito di una meccanica persuasiva ragionata e rigorosa. Il dato interessante, quindi, risiede nell’attenzione che si dedica all’architettura del trailer, che comincia a inseguire uno sbocco creativo non molto dissimile da quello che riguarda il testo di provenienza.

Nonostante le spinte innovatrici, il trailer degli anni Settanta è ancora lontano da quello che potremmo definire una promozione di fattura moderna. La presentazione del film deve, infatti, ancora assorbire i veri codici della contemporaneità, quelli che oggi siamo abituati a decifrare immediatamente: ritmo sincopato del montaggio, climax ascendenti, valorizzazione del momento rumoristico-sonoro. Deve ancora maturare l’idea di un trailer strutturato su un montaggio “spettacolarizzante”, e, soprattutto, su un elemento sonoro fortemente strutturante. Spesso l’impressione è ancora quella di una giustapposizione di scene il cui scopo è semplicemente quello di rendere intelligibili le coordinate della storia (ad esempio: c’è una famiglia, c’è una casa, c’è qualcuno/qualcosa nella casa…) in modo da ancorarla ad un filone di genere (“è un horror!”). Dentro a questo filone, ad esempio, notiamo che la suspance viene come stemperata, se non addirittura svuotata: qui lo spettatore lamenta il disvelamento del finale, o quel “troppo visto”, che finisce per distanziarlo emotivamente dalla vicenda rappresentata.

Immagine articolo Fucine Mute

Un altro motivo che in qualche modo frena l’evoluzione formale del trailer, è l’introduzione di elementi grafico ornamentali, che hanno accompagnato la storia dei prossimamente fin dall’inizio, ma che in questo segmento temporale, sembrano dilatarsi in modo significativo. A fronte di questa tendenza — la rinuncia delle sovrimpressioni e del commento — si assiste, di contro, al dilagare all’interno del trailer di elementi di impreziosimento del quadro.
La ragione di questa variante trova spiegazione probabilmente in una sorta di compensazione: molti montatori utilizzarono questi orpelli come raccordo tra le sequenze rendendo la presentazione del film decisamente pesante e noiosa. Soprattutto nei trailer di bassa lega si riscontra un impiego estremo ed esorbitante delle tecniche grafiche, cui si aggiungono fotografie, grandangoli, stop — frame, disegni animati francamente discutibili.

Senz’altro l’uso dei mascherini (a cerchio, raggiera, rombo, delta, otturatore, diagonale, ovale, ventaglio, tendina, spirale, elica, arco, banda laterale, ics, sipario) costituì anche una tendenza del momento, mutuata dalla televisione e dalla stessa pubblicità televisiva con cui il cinema aveva cominciato a dialogare. Ma la differenza, come sempre, sta nella sensibilità di utilizzo: il più delle volte questi innesti smorzano il portato persuasivo del trailer o non ne condizionano significativamente l’architettura, ma, va detto, per alcuni esiti — pochi, si deve dire -, il gioco grafico viene utilizzato in senso metaforico e simbolico in un tentativo, piuttosto ingenuo, di far emergere una imago contratta e vibrante del film. È il caso di alcuni trailer che, pur servendosi di elementi grafici, sopprimono coraggiosamente i dialoghi, o selezionano un’unica scritta (di solito posta alla fine, a suggello di tutto il film), o ancora essenzializzano il commento che, necessariamente, diventa più incisivo e coinvolgente.

Va segnalato che la produzione statunitense dimostra da subito resistenza verso soluzioni di “cornice”, nel segno di un minimalismo che valorizza il solo prelievo filmico, mentre si registra un tentativo di tradurre il titolo in un “segno” univoco e fortemente identificante, che finisce per costituirsi come un vero e proprio logo. Queste soluzioni contaminano a tratti anche la scena europea: in Scacco alla morte (Francia, 1957), il filo rosso che sostiene la storia gioca intorno alla tematica della lotta contro il tempo, per cui il logo si sostanzia qui in un elemento sonoro (l’insistente ticchettio di un orologio) e in un sezionamento dell’immagine che segue il tracciato rotatorio dell’orologio stesso. In tal caso, l’uso del mascherino ha una precisa funzione simbolica.

Immagine articolo Fucine Mute

Accanto a questi giochi grafici, troviamo anche esempi di segmentazione del quadro e di dinamizzazione delle scritte sovrimpresse (a caduta, in avvicinamento e in allontanamento, dal basso, dall’alto, dal fondo, in entrata laterale, in progressone, a scendere) e ancora solarizzazioni e giochi cromatici. Nel trailer ideato per Corruzione in una famiglia svedese (Vilgot Sioman, Svezia, 1974), vediamo il profilo stilizzato di una pressa meccanica, che richiama la dimensione del lavoro operaio e il dramma della lotta sociale, mentre gli effetti di solarizzazione rossa e nera riferiscono, per via empatica, allo sfondo della violenza e della sopraffazione.

Nel trailer di America. 1929. Sterminateli senza pietà (Martin Scorsese, Usa, 1972) si decise invece di convertire alcuni fotogrammi in vari colori (blu, giallo, rosso, verde), forse per differenziare delle “storie” o dei “registri sentimentali” particolari. In questi anni la sperimentazione avanza, si ferma, si assesta, ma, in generale, si rileva uno spostamento nel modus operandi, che predilige la sottrazione e l’oscuramento, limitando al minimo il prelievo filmico (per altro selezionato con sempre maggior professionalità e valorizzando la “loghizzazione” del titolo.

Si comprende che è il vuoto a creare il pieno, il silenzio a generare aspettativa, e che il titolo posto unicamente alla fine ha un potere straordinario sui processi di memorizzazione. Gli anni Settanta furono, insomma, un periodo di sperimentazione e assestamento, che portò a risultati ottimi e scadentissimi; ma ciò che importa segnalare è proprio questa funzione di “ponte”, di “traghettamento” verso quello che potremmo definire il trailer moderno, la cui esigenza — assolutamente antitetica a quella degli anni Cinquanta — sarà, da adesso in poi, di differenziare il prodotto, anziché omologarlo a categorie di genere.

Quel western

Il trailer di fattura moderna non invita ad andare a vedere un western, ma quel western. Da qui, anche il sorgere di un rilevante aspetto sociologico che condizionerà la visione futura: la volontà di differenziare il prodotto andrà di pari passo con la volontà di differenziare lo spettatore, che a sua volta cambierà profilo ed esigenze: in buona sostanza — lo spiegheremo più in là nel dettaglio — se prima c’era il cinema e poi il film, adesso c’è il film, e poi il cinema.

Segue con Sulla natura del prossimamente (VI)

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