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Scrittura

Cuba libre

Quando l'alma de cuba non è solo rhum

Copertina di Cuba Libre
Titolo: Cuba libre. Vivere e scrivere all’Avana
Autore: Sanchez Yoani
Traduzione: Lupi G.
Anno di pubblicazione: 2009
Editore: Rizzoli
Collana: 24/7
Pagine: 237
Prezzo: 17,00 Euro
ISBN: 881703052X

Abito un’utopia che non è la mia. Per questa i miei nonni si sono sacrificati e i miei genitori hanno rinunciato ai loro anni migliori. Io la porto sulle spalle senza potermela scrollare di dosso. A coloro che mi hanno imposto — senza consultarmi — questa falsa chimera voglio dire, da subito, che non penso di lasciarla in eredità ai miei figli.
Yoani Sanchez

Cuba Libre. Vivere e scrivere all’Avana di Yoani Sanchez: nonostante Rizzoli ponga l’imprinting alla prima edizione nel Maggio del 2009, io, per chissà quale stramberia, ne scorgo il dorso sullo scaffale d’una libreria già a metà aprile. Sono un maniaco. Qualsiasi libro su Cuba mi attrae in uno stillicidio di timori e speranze: nel leggerle, le righe potrebbero mutarsi in quella paccottiglia di luoghi comuni che sull’idea di Cuba l’editoria italiana sforna fino a saturazione; oppure, al contrario, a illuminare quelle righe, potrebbe anche affiorare un barlume d’autenticità.

Yoani Sanchez

Il volto pulito da ragazza della porta accanto ritratto in copertina mi fissa sereno. Che l’autrice sia una donna conta, e che sia cubana conta di più. Attacchi la lettura ed è lampante come Yoani, filologa, tramuti l’apparente banalità d’un titolo da aperitivo happy hour in un setaccio della vita a L’Avana, usando non solo il pretesto e la realtà della propria esistenza, ma pure l’attenzione per la parola precisa, asciutta, mai casuale, grazie all’unico mestiere che sente suo: scrivere bene. Lo fa sin dal titolo appunto, tanto da traghettare e tradurre quel ritrito slogan di copertina nell’utopia profonda di una Cuba libera; anzi, con pre-meditazione consapevole, pone i due concetti a confronto nel testo, quasi per risaltarne l’insito contrasto dei piani sfalsati. La dimensione della Cuba Libre legata al passato con quella d’un’isola davvero libera procrastinata al futuro.

Su una latitudine più personale, l’invisibile microstoria di questa giovane donna s’impasta con il complesso macropaesaggio sociale del Paese in cui vive. Ma è l’angolazione dell’analisi a spiazzare per originalità: Yoani Sanchez, trentaquattro anni, dopo aver vissuto undici mesi in Svizzera con suo figlio, a un passo da quel “salto fuori” che l’accomunerebbe a molti suoi conterranei, opta per il rientro nell’isola dove è nata. Da laggiù, nel 2007, apre un blog illegale, Generación Y, non per abbandonarsi a inutili critiche ideologiche, ma per spalancare una finestra da dentro verso il fuori, raccontando il quotidiano di se stessa. Quotidianità che accomuna un’intera generazione di coetanei, quei nati nel periodo especial che i genitori battezzarono con nomi d’origine greca, inusuali forse, ma solo per decidere qualcosa di concreto nella loro esistenza.

I cubani come Yoani, con quei nomi che iniziano con la penultima lettera dell’alfabeto castellano, come i genitori, subiscono la vita più che inciderla, anche se per la Sanchez l’atto di raccontarla forse l’alleggerisce. Come hacker o elettrone di Generación Y spinto controcorrente nella rete, giorno dopo giorno, mese dopo mese, Yoani è riconosciuta, seguita, apprezzata nel resto del mondo, al pari d’una portavoce dell’isola zattera che condivide con altre undici milioni d’anime; e grazie a lei sembra di sentirle. Il libro diviene, pagina dopo pagina, un sunto di post trasmessi da L’Avana, nella fretta dei dieci minuti a disposizione per il collegamento. Messaggi in bottiglia certo concisi, ma non per questo orfani d’una lucidità e potenzialità emozionali. Lei nient’altro che un Avatar che scodelli la verità del suo cammino dinoccolandone i passi. A lungo argonauta in Avana, riconosco nelle parole della blogger quelle assenti nei miei diari di viaggio, quelle che mancano sempre alla visione dall’esterno.

A fine aprile, chiuso Cuba Libre, avrei voluto recensire il lavoro della Sanchez per Chartacea. Non lo feci, tanto ero avvinghiato sulla mia traiettoria: il racconto che per Fucine Mute ho intessuto su Cuba nel corso di due anni, numero dopo numero. Lasciai Yoani abbarbicata su questa sua frase: ho vissuto fuori dal mio paese e sono tornata perché ho capito che per me la vita non è da un’altra parte, ma in un’altra Cuba. Dimenticata malamente: il peggior danno per un cubano in dissolvenza.

Yoani SanchezSalto di pagina, salto di tempo, salto d’epoca.
Venerdì 6 novembre 2009, apprendiamo in tanti che Yoani Sanchez, nell’immediata vigilia d’una manifestazione anti-violenza prevista sul Malecon, il lungo mare d’Avana, viene sequestrata per mezzora dentro un’automobile della polizia di stato, anonima, priva d’insegne, agenti senza divise e distintivi. Un’intimidazione. Per quel che racconta, il regime la teme più di quanto lei tema il regime. Il Time l’ha definita tra le cento persone più influenti del 2008; i suoi post, oltre che su Generación Y, escono quotidianamente su lastampa.it; chatta con Barak Obama e quello gli risponde che visiterà Cuba quando sarà sicuro di salvaguardare gli interessi degli Stati Uniti, e conferma l’embargo. Parole di un Nobel per la pace?

Gli organi d’informazione più attenti non ci fanno mancare notizie di Yoani… eppure le sue parole, lette sull’Internazionale del 4 dicembre, disilludono quanto un pugno secco; un messaggio in bottiglia che pare il penultimo della serie quanto il suo nome inizi con la penultima lettera dell’alfabeto:

Passare molte ore davanti allo schermo di un computer ci fa pensare come Windows, muovere come Linux e sognare in stile Mac. In alcune situazioni scomode vorremmo poter cliccare una combinazione di tasti e scappare via. Ma l’ideale sarebbe riavviare ogni tanto le nostre vite, proprio come se fossimo un sistema operativo. I computer ci permettono anche di spostare nel cestino quello che non ci piace. Come sarebbe bello buttare le speranze deluse, le promesse non mantenute e le cose rimandate troppo a lungo.

Dopo quasi due anni passati ad aspettare segnali di apertura da Raul Castro, ho buttato nel cestino personale le ultime illusioni sulle riforme a Cuba. Con un semplice clic sono passata dal gruppo di chi nutre ancora qualche speranza a quello dei disillusi. Ho selezionato tutti i desideri che avevo e li ho spostati nel buco nero della spazzatura. Qui a Cuba negli ultimi mesi in molti si sono dati alla pulizia. Milioni di persone hanno riposto le speranze e rinunciato all’ottimismo. Quelli che aspettavano un annuncio o almeno un indizio del possibile cambiamento hanno capito che il secondo segretario del partito comunista è più preoccupato di perdere il potere che di deludere le nostre aspettative. La terra non è andata ai contadini e l’obbligo di chiedere un’autorizzazione per uscire dal paese non è stato abolito. Non si sono viste neanche aperture sul diritto di espressione e su quello di associazione. Per ora il cestino è pieno di speranze deluse. C’è chi ancora spera di poterle ripescare; altri, come me, stanno per eliminarle definitivamente ”.

Salto di pagina, salto di tempo, salto d’epoca. Dov’ero finito io nel mentre? Dove s’era imbucata Fucine Mute?Sento solo ora l’urgenza di recensire il suo libro. Ma leggere per recensire non è come leggere per se stessi, e la responsabilità del dire bene infittisce di richiami e segni i miei appunti. Cuba Libre non è più un libro, ma una vita in parole, segnata, vergata, violentata dalla mia matita viola.

Yoani con naturalezza scoperchia i nervi di un sistema schizofrenico. Tocca mille temi perché è con mille sfumature che qualsiasi società tocca la vita di chiunque. Cuba Libre passa in rassegna le doppie velocità, quella rapida e martellante della propaganda politica e quella lentissima, quasi immobile, della gente che le sopravvive. Sfiora il sopra e sotto coperta che fa girare un sistema simile a un Giano bifronte. Un finto cambio della guardia fatto apposta per illudere e non mantenere le promesse. Alla cultura pressoché allineata all’ideologia di partito si contrappone quella dei blogger o di scrittori fuoriusciti. L’assistenza medica barcolla perché esporta i suoi luminari in paesi amici che contraccambiano forniture di petrolio. L’educazione scolastica arretra perché non forma pensieri indipendenti. L’informazione e un’etica delle diversità risultano inesistenti. È impossibile viaggiare se non per fuga, ma pure nutrirsi adeguatamente. Il mercato con la tessera e quello nero diventano volani di due sistemi monetari differenti: i chiavitos o pesos cubani valgono poco. Costituiscono stipendi diafani, mentre i Cuc, equiparati all’euro e recuperati dai turisti, permettono d’acquistare generi “fuori lista”, ovvero tutto ciò che tramuta i cubani in fuorilegge. Risultato di un’utopia imposta che crea sopravvivenza sincretica.

Yoani SanchezYoani non smette di scrivere tracciando un giudizio universale sull’isola che c’è, quella che non c’è, e quella che dovrebbe riemergere dopo il diluvio per non naufragare. Leggere e commentare le parole del suo libro, m’illudo possa essere un passo in più per impedire a Yoani di smettere, sia di scrivere che di vivere; affinché nessuno si permetta di fermare le parole e i sogni che quelle parole stringono con un clic destinato al cestino.

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