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Cinema

Federico Zampaglione

Fred Zombieglione

Una nuova luce nel cinema Horror italiano

Federico ZampaglionePaolo Zito (PZ): Innanzitutto complimenti per il premio “Nuove visioni”, fortemente voluto dalla rivista Nocturno e in particolare da Manlio Gomarasca.

Federico Zampaglione (FZ): È stato un grande piacere, poiché Nocturno è l’unica rivista di genere che abbiamo in Italia, per cui è assolutamente credibile e ferrata su quel discorso. E ricevere un premio da un’entità qualificata come Nocturno, e nello specifico da Manlio Gomarasca, è stato per me inaspettato e un grande onore, meglio di così non poteva essere.

PZ: Nel film tu mostri poco dell’“orrore”  di un film dell’orrore, e poi dai uno schiaffo allo spettatore nel finale. Non pensi che possa essere difficile per lo spettatore trovarsi in un terreno così diverso, in cui qualcosa viene svelato, ma allo stesso tempo celato, e alla fine avviene una sorta di esplosione che investe lo spettatore? Un po’ come il climax di una scena di paura, è come se tutto il film fosse una scena che prepara lo spettatore a questa esplosione finale. Non trovi che possa essere un’arma a doppio taglio?

FZ: Beh no, perché nel film in realtà ci sono dei momenti molto inquietanti e anche violenti. Poi, non sempre ho mostrato in primo piano il contatto tra l’arma e le vittime, ma ho mostrato sempre i risultati di queste azioni sulle persone. Ho visto gente uscire dalla sala ieri.

PZ: Però la scena dello “strappo”, quella che ha un po’ sconvolto, mostra 3-4 fotogrammi al massimo…

FZ: Lo so, ma a volte non è la durata l’importante, quanto quello che ti arriva. Come dire, è un film che ha momenti, se così li vogliamo chiamare, gore, ma non ho voluto fare un film legato al mondo dello splatter, del gore, o del torture porn. Non sono, nello specifico, un fan di film come Saw. Mi è piaciuto molto più Hostel, ma il mio genere non è esattamente quello. Mi ha inquietato molto Wolf Creek. Forse, tra quelli più violenti dell’ultimo periodo, il film che mi ha colpito di più è Martyrs, dove però, anche lì, non è ciò che si vede che mi ha disturbato. Infatti alcuni hanno fatto delle analogie tra il mio film e Martyrs.

Una scena del film Shadow

PZ: Beh, anche con Frontiers comunque, c’è sempre un messaggio diverso dietro. Veicolava un messaggio politico…

FZ: Però, per dire, Frontiers era più un film in cui vedevi qualcuno fatto a pezzi. Martyrs, invece, non mostra molto, ti viene lasciato spazio all’immaginazione, è poi il tuo cervello ad elaborare quegli elementi, e a volte li elabora in maniera ancora più spaventosa di quello che vedi. Mi è capitato, l’altro giorno, che dalla Germania i distributori tedeschi che hanno comprato Shadow mi hanno mandato questo film che è veramente un bagno di sangue, Dard Divorce. Era una delle cose più gore che ho mai visto in vita mia, il problema è che venivi completamente anestetizzato.

PZ: Un po’ come quello che succede negli ultimi torture porn, dove prima si taglia una mano, poi un braccio etc..

FZ: Ma infatti, l’ultimo Saw, quello in cui si taglia la mano, però mentre se la taglia scatta un macchinario che gli conficca delle cose nella schiena, e allora lui cerca di togliersele però c’è uno spillo… Alla fine diventa anche ridicolo, è troppo arzigogolato e poco credibile. Ho visto questo film a Stiges, The Collector, che è girato dallo sceneggiatore degli ultimi Saw. È una cosa rocambolesca, senza nessuna tensione, solamente una trappola dietro l’altra sempre più fantasmagorica, sangue da tutte le parti… Però dopo 20 minuti mi stavo annoiando. Il fatto che la paura siano le budella, lo splatter, è falso. La paura è fatta di mistero, di silenzio, di ombre.

PZ: Un po’ come molti film spagnoli degli ultimi tempi.

FZ: Si, ad esempio a me fanno molta più paura i film, quando sono ben fatti, sui fantasmi. Anche lo stesso The Others: quel film mi ha angosciato, mi ha inquietato. Quindi preferisco sempre quel cinema horror che mostra, ma allo stesso tempo non diventa torture porn, che trovo un cinema facile, dove una trama non c’è, senza una vera e propria storia da seguire, dove c’è il solito pazzo… Adesso ne è uscito un altro, girato da un Giapponese, che si chiama Grotesque, che praticamente è Hostel senza la storia. Io sono cresciuto con un tipo di cinema in cui era anche tutto ciò che stava per succedere a tenermi in tensione. Pensa ai film di Dario: ovviamente la scena di omicidio era pazzesca, ma tutto quello che la precedeva la rendeva ancora più forte.

PZ: Nel tuo film infatti ci sono alcune citazioni, come la lama di Mortis che si alza senza però mostrare niente. Proprio riguardo a queste citazioni, non trovi che il film possa perdere di freschezza o impatto se si trovano tanti stili diversi ripresi?

FZ: Mah, non penso che ci siano tanti stili. Il film a suo modo ha una direzione precisa, c’è anche molta azione, che normalmente non sempre c’era negli horror italiani degli anni ’70. Credo che comunque sia un film che parte in un modo, e ti sorprende. Quello che leggo sui siti e sui giornali è che è una storia che difficilmente sai dove andrà a parare, e questa secondo me è la forza del film. Mi succede spesso, guardando un film, di sapere già cosa succederà: vedo quattro ragazzi in macchina che vanno in vacanza, e so che esattamente dopo cinque minuti un animale attraverserà la strada, o che una gomma si bucherà, o che andranno a sbattere. Dopo altri cinque minuti, da dietro le foglie, ci sarà il punto di vista di qualcuno che guarda i ragazzi, uno di questi sarà il solito cazzaro che si fa le canne, ci saranno 2/3 figone con il seno rifatto, lo pseudo eroe…

Federico Zampaglione

A volte mi rifiuto di guardare queste cose, che poi è la direzione in cui stanno andando oggi gli americani. Per quanto riguarda le citazioni credo che nel mio film ci siano un paio di momenti che ormai appartengono all’horror italiano, che hanno trasceso la citazione. Ci sono film che, come Amair, sono interi omaggi a quell’immaginario. Abbiamo una sorta di patrimonio collettivo che aleggia nell’aria. Credo “comunque” che il mio film abbia una sua dimensione dal primo all’ultimo fotogramma. Ci sono un paio di momenti in cui troviamo degli omaggi, nello specifico a Dario, che è stata una presenza amichevole e un riferimento per questo film.

PZ: È anche lui che ti ha consigliato di rendere il film più internazionale.

FZ: Quando in Italia decidi di fare horror, ti trovi sempre un po’ isolato, e Dario inizialmente doveva essere il produttore del film, ma poi non siamo riusciti ad incastrare le cose. Però è stato un padre spirituale.

PZ: A proposito di padri, anche tuo padre ti ha aiutato nella sceneggiatura.

FZ: Si, ma più che aiutarmi, lui ha proprio coscritto il film. Anche mio padre è un appassionato di genere, è stato lui ad introdurmi, molto giovane, al mondo argentiano: mi parlava dei primi film di Dario che io non potevo vedere, essendo troppo piccolo, e mi aveva fatto venire una curiosità incredibile. Il primo film di Dario che ho visto al cinema è stato Suspiria, e mi ricordo che sono rimasto scioccato. Perché non era un giallo, era un film psichedelico che ti portava in un mondo di angoscia pura.

PZ: E tu l’hai ripresa la “psichedelia” nella scena di Mortis che lecca il rospo, e devo dire che è una delle scene più riuscite del film, perché da un tocco di quotidianità al mostro.

FZ: E ti domandi “Perché non uccide nessuno?”. A volte nei film si mostrano i killer solo quando uccidono, a me interessava fare anche un dietro le quinte della vita di Mortis. La psichedelia in fondo ti lascia sospeso, Suspiria era un film in cui non sapevi cosa stesse succedendo.

PZ: Una specie di metafora della follia…

FZ: Della follia, ma anche qualcosa di onirico. Queste luci sempre virate al rosso, irreali, e anche lì c’era una ispirazione diretta al mondo di Mario Bava. In ogni caso, quel tipo di delirio che ti porta nel panico, in cui non hai il controllo della cosa, secondo me è la situazione in cui un buon horror ti deve destabilizzare non facendoti capire dove sta andando.

Jake Muxworthy e Karina TestaPZ: Infatti non ci sono nel tuo film solamente alcune scene, come hai detto tu, che danno a intendere una determinata cosa e spiazzano lo spettatore, ma anche durante l’inizio del film spiazzi lo spettatore nel modo in cui fai rapportare i protagonisti. Per questo film hai scelto un cast internazionale, e ieri dopo la premiazione avevi detto che Karina Testa aveva dato problemi per le scene in bicicletta. Come avete girato quelle scene allora?

FZ: Alcune scene di azione di bicicletta non potevano essere fatte assolutamente con gli attori veri, perché bisognava saper andare in bicicletta bene su montagne scoscese, con alberi, e gli attori non potevano farle perché era un livello di biking professionale, avevamo quindi due campioni di biking ad aiutarci. Devo però dire che il protagonista maschile, Jake Muxworthy, ha imparato molto. Era abbastanza bravo, e negli ultimi giorni si avventurava e riusciva a fare anche dei discreti salti. Mentre Karina non ne voleva proprio sapere, quando le dicevo “Scusa ma, l’hai letta la sceneggiatura? Tu nella sceneggiatura vai in bici” “It’s not possible” diceva. (ride)

Una scena del film Shadow

PZ: Hai altri aneddoti così, di questi attori?

FZ: Beh, ne ho uno divertente legato a Nuot Arquint, che come hai visto non ha un aspetto proprio rassicurante. Quando siamo arrivato a Tarvisio abbiamo cominciato con la preparazione, per cui c’erano gli attori che interpretavano i cacciatori (Ottaviano Blitch e Chris Coppola) che ho mandato con un maestro d’armi, che insegnasse loro a muoversi con le armi in maniera credibile, così da richiamare qualcosa di militaresco, ed è stato un lavoro molto lungo perché muoversi nei boschi, sulle salite, necessitava una bella preparazione, infatti è durato una settimana. Gli altri due (Jake Muxworthy e Karina Testa) andavano col coach di biking, ed era rimasto Arquint senza nessuna collocazione. Perciò venivano dalla produzione e mi chiedevano cosa fargli fare, allora mi è venuta l’idea “Portatelo al cimitero, così lui sta tra le tombe e si ispira”, glielo abbiamo proposto e lui ha accettato. È andato al cimitero tutto vestito di nero, con questa faccia bianca cadaverica, e si portava una macchinetta fotografica con cui fare delle foto. Finché, sfortunatamente, ha cominciato a fotografare la tomba di un ragazzino, e il padre del ragazzo ha visto la scena di questo personaggio così assurdo nel cimitero, che evidentemente avevano già un po’ adocchiato. Ad un certo punto abbiamo visto arrivare sul set la macchina dei carabinieri, agitatissimi, che avevano arrestato l’attore, e ci chiedevano chi fosse e io dissi “Ma che siete matti, ci avete arrestato l’attore, questo sta facendo il film” e loro lì per lì non ci credevano a questa cosa, lo avevano scambiato per un pazzo. E ci hanno detto “Va bene, riprendetevelo, ma non ce lo fate vedere più, non ce lo portate più, perché questo in giro così non ci può andare” alla fine poi ci abbiamo riso sopra, perché a vederlo conciato così, così magro, bianco e vestito tutto di nero, in fondo in fondo avevano un po’ ragione anche loro.

Locandina film ShadowPZ: Possiamo dire che è un film un po’ familiare, è coscritto con tuo padre, e in più c’è anche tuo fratello alle musiche con i The Alvarius. Come mai avete deciso di creare un gruppo ex-novo invece di rivolgervi ad altri autori, o semplicemente farlo senza un nome?

FZ: Semplicemente perché siamo fan sfegatati dei Goblin e di quel genere di musiche, e anche degli anni ’70 di Morricone o Cipriani. Perciò era un’occasione per tirare fuori questo lato musicale che ci interessava fare, io non ho contribuito in maniera particolare, ho fatto un po’ di supervisione e dato indicazioni di tipo registico come “In questa scena mi serve qualcosa di inquietante ma non troppo presente” e cose così, e loro sono stati molto bravi nell’interpretare le cose che gli ho chiesto. Sostanzialmente abbiamo deciso di creare questo nuovo gruppo proprio perché è un discorso musicale che ci interessa e che in futuro vogliamo poi sviluppare anche con delle esibizioni live. Non avendo poi niente a che fare con i Tiromancino, è anche un’occasione per fare sperimentazioni diverse.

PZ: Forse l’ho visto solo io, ma Ottaviano Blitch nel film ha una scritta tatuata sulle dita?

FZ: Fuck Fred.

PZ: Come mai questo tipo di caratterizzazione? Perché poi sfugge un po’, alla fine si intravede semplicemente l’inchiostro in qualche scena.

FZ: Perché non volevo che questa cosa diventasse la didascalia del tatuaggio, su quel personaggio è stato fatto un lavoro, ma un po’ su tutti in verità. Volevo che ricordasse un po’ un Hooligan da una parte, uno di quelli del Liverpool un po’ invasati, con un accento cockney, e che il suo look fosse un misto tra quello di un cacciatore e un naziskin. Abbiamo lavorato su piccole sfumature che lo rendessero fastidioso, quel tipo di persona che non vorresti mai entrasse nel locale in cui ti trovi.

PZ: Un’ultima domanda riguardo ai progetti futuri, ho sentito prima che parlavi di questo sorta di horror-thriller metropolitano, però avevi parlato in altre interviste di un horror medioevale, so che non puoi andare molte anticipazioni però…

FZ: Lo so, a volte io queste cose le dico preso dall’entusiasmo, ma forse faccio anche male, perché uno crea delle false piste. Riguardo l’horror medioevale c’era una bella idea, però piano piano ho perso entusiasmo verso quella cosa, e ora c’è questo nuovo progetto su cui sto cominciando a lavorare, non ti voglio dire tanto per non trovarmi tra un mese a dover ritrattare.

PZ: Ma si avvicina, in questo primo concepimento, a qualche tipo di cinema particolare?

FZ: È un film, adesso ti dico cose che poi potrei smentire e dire che non le ho mai dette e che tu mi hai fatto dire con un procedimento elettronico, che sarà sicuramente cupo e angosciante, basato però sulla pesantezza di atmosfere dark. Non mi avvicinerò mai dichiaratamente allo splatter se è questo che vuoi sapere, poi ci saranno delle scene sicuramente violente, come poi ci sono in questo (Shadow ndr). Però il mio mondo non è esattamente quello dello splatter, è un cinema che rispetto e che mi diverte, di cui ho visto tante cose ma, come direbbero gli inglesi, “It’s not my cup of tea”

Federico Zampaglione

Il festival Science+Fiction, giunto quest’anno alla sua nona edizione, si è svolto a Trieste dal 22 al 28 novembre e, oltre a molte novità, ha visto la partecipazione di grandi nomi del panorama culturale italiano ed internazionale come Roger Corman, Cristopher Lee, Bruce Sterling, Antonio serra, Enzo Castellari, Federico Zampaglione e molti altri.


Molti i riconoscimenti presentati durante il festival, il primo ad essere consegnato è stato il Premio alla Carriera Urania d’Argento a Roger Corman, regista e produttore divenuto leggendario nel campo dei B-movies e per aver lanciato nomi del calibro di Jack Nicholson e Francis Ford Coppola.


Il premio Asteroide per il miglior lungometraggio di fantascienza della selezione ufficiale Neon è stato assegnato dalla giuria – composta da Bruce Sterling, Antonio Serra e Gilles Esposito – a First Squad-The Moment of Truth del giapponese Yoshiahru Ashino. Menzione speciale per lo svedese Metropia.


Prima novità di questa edizione, è stato il premio Nuove Visioni assegnato dalla rivista Nocturno al nuovo film di Federico Zampaglione, Shadow, horror “politico” che più che ombre getta nuova luce sull’horror italiano.


Altra novità di questa edizione è il Mélièes d’Argent, premio che permetterà di accedere al Festival del Film Fantastico di Sitges per l’assegnazione del Méliès d’Oro. La giuria, questa volta composta da Enzo G. Castellari, Marcello Rossi e Andrea Magnani, ha premiato il film The Children dell’inglese Tom Shakland.


Nella sezione European Fantastic Short, la selezione di cortometraggi fantastici europei, la Giuria presieduta da Castellari ha assegnato la Nomination per il Miglior cortometraggio fantastico europeo al francese Virtual Dating firmato da Katia Olivier.


Per quanto riguarda il Premio del Pubblico, gli spettatori hanno scelto di assegnarlo a TiMer della regista americana Jacqueline Schaeffer


Il festival si è poi concluso con l’assegnazione di un altro Urania d’Argento alla carriera assegnato al carismatico Christopher Lee, tornato a grande fama grazie all’interpretazione di personaggi come il conte Dooku in Star Wars: Episodio III o Saruman nella trilogia del Signore degli Anelli.

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