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Palcoscenico

88° Festival lirico dell’Arena di Verona | Turandot

Turandot 2010 - Arena di VeronaLa Turandot, celeberrima incompiuta di Giacomo Puccini, ultimo grande compositore italiano, apre l’ottantesimo festival lirico di Verona, interamente diretto da un altro grande interprete del melodramma italiano, il regista fiorentino Franco Zeffirelli. Per l’occasione, sul palco una delle ultime grandi cantanti liriche in attività, Maria Guleghina, nel ruolo della regina Turandot.

Come ormai in molti teatri, la prima della Turandot rende un volontario omaggio al grande Maestro, quindi, anche a Verona il finale dell’opera è omesso. C’è da chiedersi se la querelle tra gli eredi Puccini e i tentativi di riscrittura del finale incompiuto da parte di alcuni arditi, abbia ragione di esistere, dati i ben altri e cocenti problemi della lirica in Italia.

Ad ogni modo, la rilassante messinscena zeffirelliana piena di soluzioni ridondanti e colori sgargianti, verdi e rossi sparsi qua a là, conquista il pubblico prettamente turistico che in questi giorni affolla la città scaligera. L’idea di una Cina sfarzosa si mescola con una rappresentazione scenica che fa dell’orpello il suo punto cardine. Sembra quasi di trovarsi in una di quelle giostre disneyane o in una di quelle ricostruzioni che hanno reso famosi gli Hotel di Las Vegas in tutto il mondo. Il primo impatto con le mura di Pechino che aprono il secondo atto, lasciando subito il posto alla reggia imperiale, è di stupore da parte dei tradizionalisti e di eccitazione da parte del pubblico più turistico.

Forse non sarà la Cina che Puccini si immaginava, ma sicuramente le soluzioni scenografiche inducono lo spettatore a un profondo viaggio all’interno dell’Oriente immaginario che alberga in tutti noi. Il palco, infatti, è disseminato da quel “made in Cina” che ormai fa parte della nostra vita.

Turandot 2010 - Arena di Verona

Per quanto riguarda gli interpreti, Maria Guleghina non è sicuramente quella meravigliosa interprete ammirata in altre epoche e altri teatri, lascia molto a desiderare da numerosi punti di vista ma, con buona pace della critica più spietata, rimane una grandissima voce dotata di rara personalità. La classe, l’aggressività nei momenti più drammatici dell’opera e pianissimi di grande effetto, non hanno ancora del tutto fatto i conti con il tempo che imperterrito passa. Per quanto riguarda Calaf, troviamo ormai quello che si può definire una certezza tra i vari tenori italiani, ovvero il poderoso Marco Berti che, sa un punto di vista scenografico, lascia qualcosa a desiderare, soprattutto se accostato al fascino della Guleghina, sul versante interpretativo convince sia la critica sia il pubblico meno propenso a valutazioni canore. Un poco affaticato nel duetto finale, Berti ha la rara capacità di sembrare credibile in uno straordinario ventaglio di personaggi. Sarà forse per la potenza della sua voce, spesso a scapito della tecnica, che in fin dei conti non fa vendere alcun biglietto in più alle casse della Fondazione. Quello che è mancato, è stata Liù, sicuramente il personaggio chiave dell’opera pucciniana, spesso affidato ad interpreti poco convincenti. Ovviamente, rimembrare con affranto disio la Scotto o la Pampanini sarebbe esercizio scorretto e poco produttivo, ma è certo che Tamar Iveri, già sentita altrove, canta con una voce al limite dall’udibile, spesso volta all’indietro. Liù ha bisogno di ben altro spessore e tensione musicale. Turandot 2010 - Arena di VeronaNel ruolo di Timur, vola tra il pubblico dell’Arena la voce di Carlo Cigni, forse l’unico interprete privo di quella caricaturalità che in Turandot sembra ormai diventata la norma.

Insomma, l’impatto globale risulta piacevole ed efficace, anche grazie a una resa musicale impeccabile, vista la professionale direzione del direttore Giuliano Carella. C’è da dire che l’acustica dell’Arena è andata modificandosi nel corso degli anni, sarà forse per una diversa sistemazione della buca, sarà forse per via del tempo che passa tanto per gli interpreti quanto per chi non avendo voce per cantare è condannato ad ascoltare.

L’ultima grande opera di PucciniGiacomo Puccini

L’idea di ispirarsi per il soggetto ad una delle fiabe teatrali più celebri di Carlo Gozzi, drammaturgo veneziano del Settecento contemporaneo e rivale di Carlo Goldoni, nacque da un incontro a Milano durante l’inverno del 1920 fra Puccini e i librettisti Adami e Simoni.

Puccini mise subito al lavoro i suoi collaboratori e già nell’agosto del 1920 erano state apportate le principali modifiche rispetto allo schema originale. Adami e Simoni, il primo versificatore e il secondo ideatore della trama, scrissero il libretto e lo dovettero adattare molte volte rispettando le richieste del compositore.
Le difficoltà principali furono quelle causate soprattutto dal carattere favoloso dei personaggi gozziani, privi di quel pathos che Puccini tanto ricercava. Le maschere nella versione originale della fiaba vennero trasformate dagli autori nel terzetto dei ministri Ping, Pang e Pong che rappresentano la gran parte del materiale musicale cinese nell’opera. La protagonista Turandot diventa invece un ostacolo nella costruzione dell’opera a causa della forte mutevolezza del personaggio. Infine lo spessore eroico del Principe Calaf e l’introduzione della figura di Liù, con il suo sacrificio d’amore, sono elementi innovativi e tipici dello stile pucciniano.

All’inizio del 1921 Puccini aveva già iniziato la composizione musicale con l’aiuto di un carillon cinese appartenente alla collezione d’arte dell’amico Fassani e grazie all’ispirazione ad alcuni brani di musica folk forniti dalla Ricordi.
Tuttavia la strumentazione dei primi due atti venne conclusa solo nel febbraio del 1924. Il terzo atto invece rimaneva incompiuto, poiché l’autore non riusciva a vederne il logico sbocco drammatico, specialmente per il gran duo finale fra Calaf e Turandot, già rivisto ben quattro volte.
Da questo momento in poi Puccini continuò a lavorare freneticamente sull’opera, interrompendosi solo per soggiorni all’estero o per correggere altre partiture.

All’inizio del 1924, mentre il lavoro sulla partitura procedeva tra alti e bassi, il compositore ebbe i primi sintomi della malattia che l’avrebbe portato alla morte in quello stesso anno. Cercò di sottoporsi ad alcune cure, ma senza risultati visibili. Cominciò allora a deperire, ma nonostante ciò prese accordi sulla data della prima di Turandot, sebbene l’opera non fosse ancora ultimata.
Gli fu diagnosticato un papilloma, che in realtà era un cancro alla gola senza alcuna possibilità di guarigione. L’unico modo per prolungare un po’ la vita del malato era di sottoporlo ad un intervento chirurgico immediato e alla cura del radio presso “L’Institut de la Couronne” di Bruxelles. Il 24 novembre fu sottoposto con successo all’intervento. Quattro giorni dopo però il cuore del compositore cedette improvvisamente, portandolo alla morte, che avvenne il 29 novembre 1924.

Alla sua partenza per Bruxelles, Puccini aveva portato con sé le trentasei pagine di abbozzo di partitura delle due ultime scene di Turandot ossia il duetto d’amore e il finale del terzo atto, nella speranza di terminarli, ma non vi riuscì.

Turandot - 2003Chi conosceva meglio di tutti la partitura dell’opera era Arturo Toscanini e fu proprio lui ad incaricarsi di presentare l’opera rimasta incompiuta. Era un problema grave sia dal punto di vista pratico e sia della responsabilità artistica. Puccini aveva infatti lasciato una partitura completa solo fino al suicidio di Liù e al corteo funebre che segue. La scelta di chi avrebbe dovuto completare l’opera non fu semplice. Toscanini propose alla famiglia Puccini e alla casa Ricordi di affidare l’incarico a Franco Alfano il quale completò la partitura dell’ultimo episodio dove la principessa Turandot è scossa e trasformata dall’amore sulla base dei fogli lasciati da Puccini.

La prima dell’opera fu quindi rappresentata alla Scala di Milano il 25 aprile 1926 sotto la direzione di Toscanini. Giunti al terzo atto, terminata l’aria di Liù “Tu che di gel sei cinta” il maestro depone la bacchetta e rivolgendosi al pubblico interruppe l’esecuzione commosso: “Qui il maestro è morto” e abbandona quindi l’esecuzione là nel punto in cui il suo compositore si era fermato.

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Fonte: http://www.arena.it/it-IT/spettacolo.html?idPerformance=1048

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