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Scrittura

La storia dei caroselli Stock 84 (IV)

Tra moglie e marito: la reiterazione di una formula vincente

Gilberto GoviCon il terzo ciclo del 1960 il brandy trovava finalmente una cornice pubblicitaria stabile: la serie Tra moglie e marito durò infatti, con alcune modulazioni interne, quasi un lustro. I volti di Lina Volonghi e Umberto Melnati e il topos del bisticcio familiare risolto al bar per tramite di una ritrovata complicità intorno al bicchiere, rappresenteranno un passaggio forte e decisivo nell’evoluzione dei caroselli Stock. L’attrice genovese esordì nel 1933 in un piccolo ruolo assegnatole dal grande comico Gilberto Govi con il quale collaborò per ben sei anni. Nel 1939, per sottrarsi al condizionamento del dialetto si trasferisce a Roma e si fa scritturare dal Teatro delle Arti dove ha occasione di recitare vicino ai grandi nomi del palcoscenico come Ruggero Ruggeri, Renzo Ricci, Salvo Randone, Luigi Cimara, Laura Adani. Sono gli anni in cui la Volonghi da prova di grande versatilità interpretando ruoli del repertorio classico, moderno e contemporaneo dimostrando una naturale vocazione per il genere comico ma ottenendo successo anche con registri drammatici. Nell’immediato dopoguerra (1949 – 1952) si afferma come attrice di commedia brillante ottenendo il “nome in ditta” accanto a Ernesto Calindri, Franco Volpi e Lia Zoppelli. Tornata a Genova (Teatro Stabile) maturò le sue capacità interpretative in Celestina di De Rojas, Piccoli borghesi di Gor’kij, Colomba di Anouilh. Lavorò accanto a grandi registi come Luchino Visconti, Giorgio Streheler e Ivo Chiesa interpretando opere di Giacosa (Come le foglie) Feydeau (Il tacchino), O’Neill (L’estro del poeta) e Goldoni (Le baruffe chiozzotte, I rusteghi). Madre coraggio di Brecht resta tra le sue interpretazioni memorabili. Alla fine degli anni Cinquanta compare, come interprete raffinata, in alcuni sceneggiati televisivi: tra i più celebri L’idiota (1959) tratto dall’omonimo romanzo di Dostoevskij. Tra il 1961 e il 1963 è protagonista di alcuni varietà televisivi (Eva ed io e il Signore di mezza età – Biblioteca di Studio Uno). E’ probabilmente il varietà musicale Gran Premio del 1963 ad offrirle maggior visibilità.

Figlio di attori, Umberto Melnati, debuttò nel teatro giovanissimo e ottenne nel corso degli anni Venti parti sempre più impegnative grazie ad una recitazione brillante e ad un naturale inclinazione comica. Il debutto nel cinema risale al 1932 quando interpretò Due cuori felici (Negroni). Da allora resterà ancorato al filone della commedia comica (La segretaria per tutti, 1933; Il Signor Max, 1937; Mille lire al mese, 1939). Nel dopoguerra prestò la sua ironia fine e garbata a numerosi spettacoli di rivista, ma non mancano interpretazioni più impegnate (Come vi garba di Shakespeare, 1946; Il borghese gentiluomo di Moliére) mentre nel 1953 offrì una grande prova nel film La valigia dei sogni di Comencini. Non ebbe contatti con Carosello all’infuori dell’esperienza Stock.

Lina VolonghiIn realtà, come si è detto, alcuni elementi compositivi giunti a maturazione nella serie affidata a Gino Bramieri, marcarono in continuità la proposta del “quadretto matrimoniale”, ma qui le unità narrative di ciascun spettacolino finivano per configurare, attraverso una piccolo gioco di anticipazioni e rimandi interni, un continuum da leggere nel senso della saga familiare. Nella serie Tra moglie e marito inoltre le “storie” – in qualche modo concatenate – e i personaggi suggeriscono un melieu caratterizzato sul versante sociologico. Il segmento 1960-1964 apre perciò ad una serie di considerazioni nuove ed inaugura un contesto nel quale il “pezzo” collabora in forma più decisa alla vestizione del prodotto. In altri termini si voleva stabilire una convergenza “ideologica” tra l’immagine del brandy e l’universo evocato dalle scenette: il marchio non offriva più allo spettatore una generica occasione di intrattenimento – Stock presenta… – ma l’intermezzo comico doveva trovare una qualche aderenza con il “senso” dell’intero messaggio. In generale l’abbinamento fra il prodotto e i testimonial assunse una declinazione più intensa e stringente: i volti del Melnati e della Volonghi compaiono nella presentazione, nel “pezzo” comico e nella cerniera (scena del bar e topos del Chi se ne intende), accumulando una visibilità complessiva che avvicinava il 90% dell’intero carosello. Va detto che le sceneggiature, le capacità interpretative della coppia (il contributo di Lina Volonghi, anche in questo contesto “minore”, resta di grande professionalità) la cura dell’apparato scenografico – che qui approda all’allestimento realistico degli interni – contribuirono alla realizzazione di un carosello che si collocava su un piano diverso rispetto alle esperienze precedenti. Il modulo della coppia non più giovane in perenne contrasto venne proposto con una serie di felici accorgimenti: la forza polemica e soverchiante di Bice, alla perenne ricerca dei più futili pretesti per infastidire il marito, il tratto rassegnato e remissivo di Arturo, che, fedele ad una sorta di missione illuministica, scontenta regolarmente la moglie riaffermando le sue ragioni, il tormentone del matrimonio come luogo della “mediazione forzata”, il tema della gelosia ossessiva, il gioco intorno ai fidanzati di gioventù, la descrizione delle dinamiche suocera-nuora, e la contrapposizione classica verso i rispettivi suoceri di sesso femminile, innescavano l’elaborazione di una tessitura comica alla quale i due attori sapevano attribuire un dato di levità e di freschezza particolari, introducendo quasi una contraddizione – anche questa giocata i funzione comica – fra l’età anagrafica dei coniugi, ormai genitori di un figlio trentenne, e il carattere infantile dei loro bisticci. Le piccole contraddizioni di questo interno di famiglia, lette in chiave giocosa, costituivano un universo in cui era facile riconoscersi, anche se in realtà le vicende di Bice e Arturo richiamano uno sfondo sociale determinato. La serie apriva nel complesso una stagione nuova nella parabola della pubblicità Stock: la coppia Volonghi-Melnati ed il suo prolungamento (Bice-Arturo) entrò nelle case italiane con un impatto e con una risonanza divistica di portata. Nella percezione comune – e particolarmente nello spettatore televisivo che non frequentava il teatro di prosa – questo interno di famiglia avvicinò la statura del mito. Collocato in questa cornice la proposta del brandy assumeva di fatto una coloritura familiare e rassicurante.

Le avventure del signor Veneranda – Brandy Stock 84

Sul versante delle determinazioni sociologiche questi caroselli offrono, anche per via di accenni, un’ immagine intrisa di situazioni normative e tradizionali, anche se, data la lunghezza della serie, affiorano alcune varianti. Nonostante il tratto autoritario Bice riveste sempre, insieme alla nuora, il ruolo della sposa/madre/casalinga: la dimensione del lavoro è integralmente maschile e si colloca sullo sfondo di un non meglio determinato ufficio intorno al quale circolano direttori, capi, commendatori, ragionieri. Arturo sembra svolgere mansioni di responsabilità – dispone di una segretaria – ma non occupa ruoli decisamente dirigenziali (a Natale si impone il solito regalo al direttore e al capoufficio). In un ambito similare sembra collocata anche la figura del figlio Giulio, che talvolta ritarda per l’incombenza di una “pratica” dell’ultimo momento.

Ciuffo e Cioffo

Gli arredi domestici richiamano uno status sociale ed una capacità patrimoniale di una borghesia di profilo impiegatizio che si concede una mobilia più che decorosa, il telefono, il giradischi, la radio e la televisione (l’elettrodomestico verrà anche offerto in regalo ad un vecchio zio). Sul tema dei rinvii sociologici della mobilia esiste un contributo specifico dal quale emergono alcuni aspetti di particolare interesse. Si chiamano in causa in particolare proprio i caroselli dedicati alla gamma dei liquori: “Stock, Vecchia Romagna, China Martini, Crodo sono alcune delle marche per le quali sono state realizzate scenografie tra le più ricche ed accurate, nelle quali era possibile una precisa “lettura” dell’ ambiente-casa. Erano soprattutto i luoghi della famiglia italiana piccolo borghese degli anni del benessere: “il salotto buono” e la “sala da pranzo” col pavimento tenuto lustro a cera (guai a chi camminava in casa senza pattine di feltro ai piedi!), con poltroncine e divanetti in stile Luigi Filippo a distribuzione radiocentrica attorno al tavolino in noce rotondo. Alle pareti non mancano mai tappezzerie decorate, stampe inglesi, paesaggi ad olio con cornici dorate, specchiere lavorate, paraventi e pesanti tendaggi. Erano i luoghi della convivialità e dell’ospitalità, in cui si ricevevano amici e parenti, si conversava si facevano brindisi. Tutti rituali oramai quasi in via d’estinzione nella società contemporanea, dunque un abitare decoroso e conservatore, una sorta di neoclassicismo domestico fondato sulla dignità rappresentativa. Non a caso si privilegiavano mobili poco utili e funzionali, ma sicuramente belli, eleganti e “presentabili”. L’autrice sottolinea inoltre la presenza di maggiordomi e cameriere che segnavano i “luoghi in cui per citare le parole di uno slogan di allora, si respirava un’atmosfera di classe”. In sostanza la domus rappresentata nei caroselli restituisce “il riflesso di un’Italia complessa e in mutamento, proiettata verso il moderno, ma radicata entro stilemi tradizionali”. Un altro dato interessante cui si fa riferimento è l’insistenza su una disposizione simmetrica degli arredi nelle case rappresentate nei caroselli degli anni Cinquanta e Sessanta dove è possibile trovare delle “combinazioni ordinatissime e proporzionate nella sistemazione dell’arredo e delle suppellettili. Criteri distributivi che sono indici di un certo rigore borghese e di una sorta di “controllo” ponderato, gerarchico e anche un po’ liturgico di tutti gli elementi che popolano l’abitazione”. Ma non è tutto. Spesso l’interno domestico rappresentava un espediente a supporto della narrazione (l’entrata di una donna nell’appartamento dei due coniugi che scatena la gelosia di Bice). Anche qui “la porta d’ingresso diventava allora il sipario della scena, la sua apertura (come l’ouverture nella musica classica) dava avvio alla progressione degli eventi, sino al finale. Attorno ad essi si generavano piccoli episodi che giustificavano o anticipavano le vicende successive.”

La cucina di Lucilla – prima fidanzata e poi moglie di Giulio – dispone degli elettrodomestici più usuali (lavatrice, frigorifero, piano cottura). In alcune scenette Bice e Arturo si muovono in automobile. Le scenette che richiedono lo sfondo della camera da letto offrono un’intimità composta e formale condizionata peraltro da letti separati. In generale si fatica ad identificare situazioni che possano in qualche modo riferirsi alla sfera dell’affettività espressa in termini di vicinanza fisica. Gli accenni alle dimensioni della seduzione e della sessualità trovano qualche accenno soltanto in alcuni “pezzi” che giocano sulla variante della gelosia (1962, cicli I, III, IV).

Il “dura minga” della China Martini, uno dei classici di Carosello, tratto dalle scenette radiofoniche con Vittorio De Sica e Umberto Melnati, sostituiti in tv da Ernesto Calindri (che si è poi dedicato al Cynar), e Franco Volpi.

La dimensione dell’abbigliamento si inserisce naturalmente in questo contesto di moderata eleganza, ma quando si tratta di gratificare la moglie o qualche parente con un regalo ci si orienta verso la pelliccia e la stola. Per l’uomo è di rigore la giacca e la cravatta e le scene che richiedono la presenza di un gruppo di comparse ubbidiscono rigidamente a questo dettato, anche in contesti francamente improbabili: si giunge persino ad “incravattare” la tifoseria di una squadra di calcio. La nevrosi delle cravatte coinvolge del resto in modo sistematico anche la scena del bar, nella quale gli avventori indossano regolarmente i panni di chi ha appena lasciato una cerimonia: una “umanità” uniforme imbrigliata nella monotonia opaca del codice “giacca – cravatta-camicia bianca”. Alcuni “pezzi” – laddove il contesto risulta in qualche modo aderente al profilo di questo “interno di famiglia” –, contribuiscono ad arricchire il quadro dei riferimenti sociologici. Arturo e Bice amano la musica classica, frequentano le sale cinematografiche, giocano a bridge con gli amici, vanno al ristorante, partecipano alle pesche di beneficenza e si concedono le tradizionali vacanze estive ed invernali. La moglie si muove tra i negozi di porcellane e di antiquariato, le modiste e gli atelier. E’ una cornice di sapore quasi ottocentesco che viene mobilitata, peraltro con toni sempre misurati e convenzionali, dal motivo del contrasto generazionale con la coppia dei fidanzati – sposi (Giulio e Lucilla). Come si è accennato, nella serie che sfrutta in senso comico il tema della gelosia si introduce, insieme ad un ritmo narrativo più movimentato, una immagine del femminino disancorata dal contesto della famiglia. Ma in realtà alcuni interventi “estremi” di Mara Berni – una sciantosa dottoressa, una vicina di casa ubriaca, una seducente passante – descrivono un personaggio vicino alla macchietta e nel complesso i momenti “trasgressivi” si integrano con il registro pudico e normativo del quadretto.

Gli Ottentotti, personaggi creati per la serie Pavesi dei “cavalieri della tavola rotonda”Conviene ora riavvicinare la problematica relativa agli aspetti compositivi con intenzioni più sistematiche, nel tentativo di formalizzare con sufficiente determinazione un quadro che, dopo lunga persistenza, sarà destinato ad evolvere in nuove direzioni. In via preliminare si impone una chiarificazione di carattere terminologico. In luogo del binomio pezzo narrativo-codino, al quale fanno ancora riferimento gli studi sulla rubrica, sembra opportuno avvalersi di un quadro terminologico più articolato, e ciò in ragione di due osservazioni: la prima richiama l’evidenza che la parte esplicitamente pubblicitaria non è sistematicamente relegata nella chiusa, la seconda muove dalla considerazione che il segmento pubblicitario non costituisce di solito un tutto omogeneo. Come si è visto più sopra nell’illustrare la fonte si è spesso fatto riferimento alla nozione di cerniera identificando con questo termine uno sviluppo di chiara valenza propagandistica che funge da legame – nella quale si ripropongono come si è visto i protagonisti dello spettacolino – che mantiene una certa autonomia rispetto al momento di piena visibilità del prodotto. In questo senso, la formula maturata nel 1959 e riproposta nella lunga serie Tra moglie e marito corrisponde ad un modello formale diviso in parte pubblicitaria e testo narrativo laddove sia la prima che il secondo possono presentarsi in modo frammentato. Per la parte pubblicitaria tuttavia è d’obbligo introdurre una divisione interna ordinata in tre momenti: la presentazione, la “cerniera” – che funziona da elemento di raccordo e di legatura – e lo sviluppo finale. Per via esplicita o implicita, vale a dire sfruttando richiami ora visivi ora sonori, questi tre momenti rinviano di fatto al prodotto. Da ciò lo schema seguente: A – B – A1 – A2. Nella serie Melnati – Volonghi in A trovano posto i volti degli attori, la titolatura della serie, il jingle; B comprende il pezzo comico e si conclude con una voce fuori campo – Ha ragione lui? Ma quando andranno d’accordo? Al bar… – che introduce al terzo elemento (A1, intermezzo del bar). In A2 si concentrano gli slogan, il jingle assume forma cantata, ed il prodotto compare in primo piano attraverso una serie di sequenze mobili. In termini di minutaggio la struttura non è rigidissima ma corrisponde solitamente a questo modello:

Tra moglie e marito (1960 – 1964)

Si trattava di un soluzione tradizionale – ancora nel 1969 veniva adottata nel 45,4% dei caroselli -, nella quale le modalità di passaggio fra B e A1 – A2 vengono pilotate da un elemento verbale e sonoro, introducendo, come si è osservato, un tasso di fluidità decisamente modesto. Nella struttura di fondo il carosello restava dunque estraneo a quelle sperimentazioni compositive che cercavano di superare la cesura imposta dalla Sacis attraverso la ricerca di un modello “unitario”. Sul piano visivo, la continuità era soprattutto assicurata dai volti degli attori che transitavano nello sviluppo A – B – A1. Può risultare utile a questo punto tradurre nello stesso linguaggio formale le serie precedenti:

Le avventure del Signor Veneranda (1957)

Qui la presenza del testimonial occupa B e A2, mentre in A il personaggio viene proposto attraverso un disegnino. Manca, di fatto, l’elemento cerniera e non esiste un codino pubblicitario in cui il prodotto sia presentato in modo autonomo.

E’ tanto facile (1958)

Qui il testimonial compare solo nel pezzo. La cerniera appare in forma estremamente contratta ed il codino pubblicitaria si amplifica con la sola presenza del prodotto.

Nessuno si comporta così (1959 - 1960)

Stock84È la formula che diventerà modello. La sola differenza con la serie successiva consiste nella presenza dei testimonial nel segmento iniziale.
Se sotto il profilo compositivo la serie Tra moglie e marito resterà ancorata ad un modello statico, sotto altri aspetti emergono alcuni segni di evoluzione interna. Al di là di qualche spinta innovativa – l’emergenza di nuovi slogan, l’inserimento di filmati in esterno, le rielaborazioni del codino propagandistico –, è la tonalità del messaggio complessivo che si colora di nuove sfumature. Soprattutto a partire dal 1963 si avverte in generale l’infiltrazione di uno spirito che richiama in qualche modo una nota di ottimismo legata agli effetti del boom economico sulla società italiana: uno slancio in cui si intravedono nuovi orizzonti di benessere e di possibilità economiche dal quale derivano comportamenti e costumi che alludono a uno stile di vita più libero e dinamico. All’interno di questa miscela – fatta di ottimismo, di modernizzazione e di parziale svecchiamento dei codici tradizionali –, si moltiplicano anche i riferimenti ad uno scenario “internazionale” (il brandy italiano di fama mondiale) in cui l’Italia si trova ormai integrata. Contestualmente si assiste ad una sorta di impreziosimento degli “sfondi” rappresentati. Bice e Arturo sembrano scivolare lentamente verso una condizione alto-borghese o quantomeno approdano ad uno status ormai lontano dalle capacità della media borghesia impiegatizia. Gli arredi, la mobilia, il vestiario, gli accessori suggeriscono uno “spostamento” sensibile dell’immagine sociale. In questa direzione spingono anche le campagne pubblicitarie messe in atto in occasione delle festività natalizie: i premi ad estrazione promessi dalla Stock – Le Cassette della fortuna – propongono un ventaglio di beni di lusso che richiamano la ricchezza e gli ambienti sociali più elitari (pellicce, automobili, motoscafi). E’ intorno alle Cassette della fortuna che si affannano qui per la prima volta le ragazze in versione “Babbo Natale”: un’invenzione che concorre a smuovere le atmosfere paludate degli inizi.

È in questa stessa direzione muove anche il tradizionale “quadretto” del bar che nei cicli del 1964 abbandona il tratto di una cornice “popolare” per assumere progressivamente i contorni di un ambiente connotato nel senso del lusso e della raffinatezza. Il brandy insomma è ormai ascritto ad uno stile di vita che avvicina la distinzione, ma richiama nello stesso tempo la compiaciuta disinvoltura di chi abbraccia con entusiasmo il portato della modernità. A questa nuova atmosfera va forse anche ricondotta, come si accennava, l’immagine del femminile, non tanto nelle figure di Lucilla e Bice (che comunque piega Arturo all’onere dei lavori domestici), quanto invece nelle fugaci apparizioni di profili femminili che intervengono nel ”quadretto” del bar, presentate talvolta nella posa della donna che gusta il distillato senza un accompagnatore. Sono passaggi quasi impercettibili che sembrano evocare una forma di emancipazione ancora confinata negli ambienti più sofisticati della società.

Il panorama degli avventori perde in qualche misura la grigia uniformità degli esordi ed offre, insieme alle signore sole, un repertorio di volti giovanili (ma non si tratta di giovanissimi) che tuttavia si mantengono entro i ranghi delle acconciature curate e signorili e del classico binomio giacca-cravatta.
Questa tendenza verso l’ “impreziosimento” del prodotto si legge chiaramente nelle immagini proposte in alcuni “codini”: la bottiglia è avvicinata a preziosi oggetti di porcellana, orologi a muro di fattura raffinata, sfarzose cornici. Talvolta interviene anche una sorta di nobilitazione culturale (libri, dipinti, stampe). Gli slogan del consumatore che sa scegliere si contraggono (Chi ha personalità precisa sempre Stock 84, Se te ne intendi Stock è il tuo brandy) ma in questo contesto la figura dell’intenditore è più connotata ed evoca, come si è accennato, i gusti e le abitudini tipici di una condizione elitaria.

Stock84

L’apertura verso una dimensione internazionale – evocata anche attraverso l’inserimento di inserti fotografici che propongono alcuni scorci delle maggiori città europee – rappresenta qui il prologo di un motivo pubblicitario destinato ad una maggiore sottolineatura a partire dal 1965 con la serie Famoso nel mondo, nella quale Lina Volonghi farà coppia con Raimondo Vianello. Si assiste dunque ancora a quel fenomeno di anticipazione – una sorta di primo sedimento – che condizionava in generale la dinamica costruttiva dei caroselli. Ma già in occasione di quest’esordio si pensò all’elaborazione di un logo rappresentativo articolato in due versioni: una collocata in presentazione e l’altra nel codino terminale.

Il lungo percorso 1960 – 1964 imponeva di rinnovare continuamente la formula sul versante dei contenuti. Da una parte era giocoforza far evolvere la piccola saga familiare – e i suoi quotidiani litigi – attraverso l’intervento di personaggi accessori: nel corso del 1962 il motivo della gelosia trova il proprio motore nella comparsa di Mara Berni che di volta in volta scatena, nei ruoli più svariati (dottoressa, giornalista americana, vicina di casa), la parossistica gelosia di Bice. Su questa stessa linea si colloca l’allargamento del nucleo familiare alla coppia Giulio-Lucilla, nel quale trovano campo le variazioni della gelosia materna. Qui era quasi inevitabile proporre in forma di parodia il tradizionale “mammismo” italiano (in un episodio il contrasto suocera-nuora si accende intorno all’alternativa uovo sodo – uovo strapazzato). Nel 1964 la mobilitazione della formula utilizza l’infiltrazione, nel contesto familiare di una ragazza alla pari venuta dalla Francia (Susanne Loret), di una colf abruzzese non proprio prontissima (Margarita Puratich), di un sussiegoso maggiordomo (Cesare Bettarini). Ma la vitalità della serie doveva necessariamente introdurre un certo numero di variazioni tematiche entro le quali rinnovare il meccanismo comico del bisticcio inserendo una nota di didatticismo che, come si è visto, circolava copioso nei caroselli dell’epoca (emblematica in questo senso la discussione intorno alla presenza di ossigeno sulla superficie lunare). Dopo un esordio dispersivo si giunse alla individuazione di alcuni “filoni”: gli acquisti (1960), il galateo, i viaggi turistici (1961).

Autografo Lina Volonghi

Scarseggiano, nel complesso, i riferimenti “autoreferenziali”. Il più eclatante – la Volonghi è gelosa di sé stessa mentre segue uno sceneggiato televisivo di cui è protagonista – prende la forma di un gioco di esplicito disvelamento:

Perché hai spento il televisore? Ah… una commedia con la Volonghi… figurati! Ah be’, sì… a te piace quella lì del romanzo sceneggiato! Ma no Bice, andiamo… vuoi sapere la verità? A me la Volonghi piace moltissimo… solo che non avevo il coraggio di dirtelo. Ma allora la Volonghi ti piace? Be’, sì… è il mio tipo… ah che personalità… deve essere intelligente… proprio una donna in gamba! Poi ti assomiglia! Basta! Caro mio questa Volonghi ti piace un po’ troppo… aver fatto tutta questa fatica per farti innamorare di me e poi arriva una Volonghi qualunque che ti fa perdere la testa! Ah, e poi dici che non sei gelosa… sei gelosa persino di te stessa!

Enzo BiagiCarosello ha educato i nostri figli, è stato, dal lontano 1957, un appuntamento e una pausa nell’angoscia quotidiana. Mostrava un mondo che non esiste, un italiano fantastico, straordinario: alcolizzato e sempre alla ricerca di aperitivi o di qualcosa che lo digestimolasse; puzzone, perennemente bisognoso di deodoranti e detersivi, sempre più bianchi; incapace di distinguere fra la lana vergine e quell’altra, carica di esperienze; divoratore di formaggini e scatolette, e chi sa quali dolori se non ci fossero stati certi confetti, che, proprio all’ora di cena, venivano a ricordare come, su questa terra, tutto passa in fretta.

Enzo Biagi, “Corriere della Sera”, 22/07/1976

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