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The Sopranos: realismo, finzione e enigma

Tony SopranoChiunque abbia visto The Sopranos si è da subito reso conto di non assistere a una semplice serie televisiva americana – come dire una delle tante, magari solo più avvincente. Né si tratta di una delle molte figlie della rinomata emittente HBO (produttrice di altre “famose” serie come Sex and the City, The Wire, Rome, The Pacific e l’ultima, firmata da Martin Scorsese, Boardwalk Empire). La grandezza di The Sopranos sta nel rappresentare, invece, la “madre di tutte le serie”, così come l’ha definita Gabriele Romagnoli in un articolo su Repubblica.

Non sono certo i numeri a condizionare il nostro giudizio critico, numeri che, però, meritano di essere ricordati. Gli 82 premi vinti, citando solo quelli principali (tra cui 5 Golden Globe Award), e le 211 nomination ottenute nel corso delle sei stagioni (1999-2007 negli USA; 2004-2008 in Italia) parlano chiaro: si tratta della più premiata serie della storia.
La HBO ha stimato 13 milioni di spettatori americani per ogni puntata, un numero che diventa ancora più impressionante se si tiene conto che l’emittente raggiunge solo 34 milioni di case e che Lost – altra serie cult degli ultimi anni – raggiunse gli 8 milioni di spettatori a puntata. A renderla tanto popolare è stata senz’altro l’abilità geniale dello sceneggiatore, produttore, supervisore e regista (del primo e ultimo episodio) statunitense David Chase, che è riuscito a mettere insieme l’esteticità de Il Padrino con la concretezza di una famiglia italo-americana del New Jersey, capeggiata da Tony Soprano, boss appartenente all’immaginario clan mafioso dei DiMeo.

Sono proprio il realismo delle immagini e la crudezza del linguaggio una delle armi più innovative della serie. David Chase ci pone dinanzi alla vita quotidiana dei Soprano, mentre affrontano i problemi di una qualsiasi famiglia, dall’adulterio al rispetto per il genitore, sviluppando tematiche inerenti violenza, sesso, droga, società e politica. È il meccanismo di Quei bravi ragazzi (omaggiato e citato ripetutamente da Chase), che riesce a ben dosare nella sceneggiatura vita quotidiana, lavoro e sentimenti. Non solo, drammi e vita familiare si rincorrono dando origine ad un’alternanza umoristico-drammatica: dal seppellire un uomo credendolo morto o al riderci sopra dinanzi un appetitoso panino con il pork di Satriale’s.

Non si assiste a nessuna “eroicizzazione” dei personaggi. Tony Soprano è padre di famiglia, affascinante sì, ma per il suo modo di fare, non certo per il suo aspetto fisico.  Si tratta di un personaggio di grande complessità e ambiguità che, però, non è governato da nessuna sindrome schwarzeneggeriana di vendetta, né dalla sete di potere di Tony Montana. È mosso solo dagli affari: la “sua” mafia è un lavoro, è autentica economia. Il personaggio rappresenta una moderna concezione della malavita che abbandona i meccanismi di Scarface per entrare nel mondo “aziendale” de Il Padrino III. Nessuna concezione di “inutilità del male”, perché ogni azione è finalizzata al solo guadagno: “in qualche modo bisogna pur dare da mangiare ai propri figli” afferma più volte Tony Soprano. E lavoro significa anche “pensieri per la testa”, troppi forse per uno che è il capo della “azienda”.

Il protagonista incorre più volte in situazioni e avvenimenti che portano addirittura ad attacchi di panico e alla depressione. È un personaggio psicologicamente disturbato, capace di entrare in crisi perché delle anatre, che giornalmente sostavano nella sua piscina in giardino, prendono il volo. Piccoli episodi quotidiani offrono il pretesto per vertiginose cadute nel passato e dispersioni nel labirinto del presente. Si passa dal difficile rapporto con la madre Livia, priva di qualsiasi amore e attenzione verso i figli, alla schizofrenia di una duplice esistenza, divisa tra l’essere il boss e l’essere un padre di famiglia; dalla problematica vita coniugale, che lo porta ad avere ripetute “scappatelle”, all’educazione dei figli, impegnativa soprattutto per la complicata crescita del secondogenito Anthony Jr., ribelle e nullafacente; dai problemi di droga e alcool del nipote Christopher Moltisanti al rapporto amore-odio con zio Corrado “Junior” Soprano, il quale, ormai colpito da demenza senile, tenta l’omicidio di Tony.

Sono le premesse che lo condurranno sul lettino di una psicoanalista, la dott.ssa Jennifer Melfi, che gli autori hanno ingegnosamente voluto donna, quasi a mettere a dura prova il patriarchismo della famiglia Soprano e soprattutto il ruolo di boss di Tony (il nipote Christopher esce piangendo dalla sala quando lo viene a sapere). Durante le sedute il protagonista rivela tutto se stesso, le sue insicurezze, le sue fragilità, le sue paure, i suoi lati più nascosti (la serie è piena di flashback e sogni che riportano alla luce fantasmi del passato). Vale a dire il suo essere uomo comune. Tony Soprano è l’immagine dell’uomo medio americano, è lo specchio della cultura pop della nuova società. Ed è tanto altro ancora. È croce e delizia di James Gandolfini, interprete indiscusso e acclamato del boss, naturalmente marchiato per il resto della sua carriera.

A rendere tutto più interessante, e soprattutto commercialmente più intrigante, è la presenza di vicende rimaste irrisolte, come la storia del “russo” che da una puntata all’altra scompare. Quando questo viene fatto notare a Chase, egli risponde con una certa ironia: “We never thought people would be asking where he went” (Non abbiamo mai pensato che la gente avrebbe chiesto dove andasse). E poi, ancora per sviare qualsiasi ipotesi: “It was supposed to be sort of a fairy tale: who knows where he went” (Doveva essere una sorta di favola: chi sa dove è andato).

Cast The Sopranos

L’enigma per eccellenza, però, è la fine, non tanto l’ultima puntata, bensì l’ultimo secondo di sei anni di serie: come si concludono I Soprano? Le vicende si chiudono con l’ambigua e ormai famosissima “ultima cena”, in uno dei ristoranti del New Jersey. Tony è seduto al tavolo con la moglie Carmela e il figlio Anthony Jr., mentre in sottofondo si ascolta la canzone che lo stesso Tony aveva posto al Juke-Box: Don’t stop believing dei Journey. Pochi secondi dopo entra un uomo misterioso, in giacca di pelle (così recitano i titoli di coda: Man in Member’s Only Jacket), che dopo aver incrociato lo sguardo di Tony va in bagno. Intanto la figlia Meadow parcheggia l’auto, e nel momento in cui apre la porta del ristorante e suona il campanellino, Tony guarda di fronte a sé. Bruscamente immagini e musica si interrompono, tutto è nero e silenzio per dieci secondi. Iniziano i titoli di coda.

Di ipotesi se ne sono proposte a fiumi (c’è chi dice che l’uomo misterioso abbia ucciso Tony – ricordando la scena del ristorante de Il Padrino – o che a morire sarebbe la figlia Meadow, o che la scena fosse semplicemente un sogno), tutte interessanti e plausibili, ma nessuna con un tasso di certezza superiore alle altre. Ed è qui che rientra la “mia” di interpretazione, proprio sull’incertezza. Come gli altri, anche il sottoscritto ha la sua idea sul finale, supportata da alcune annotazioni filmiche e di montaggio. Ma non ve la svelerò, perché l’ultima parola spetta a David Chase.

Il punto, invece, indipendente da qualsiasi ipotesi, è un altro. Tutta l’intera serie è un’incertezza continua. Già dalla prima stagione ci si chiede che fine faranno i vari personaggi e Tony Soprano, naturalmente. Ogni scena e ogni episodio sono un attendere con ansia che qualcosa succeda. Anche il semplice “andare a prendere il giornale sul vialetto fuori casa” (omaggio di Chase a Il Padrino) diventa un momento di tensione perché qualcosa può accadere. La vita di Tony è una continua ansia, un continuo pericolo. Sa di essere un uomo che potrebbe essere “fatto fuori” in qualsiasi momento, e da chiunque. L’uccisione dell’“amato” Christopher è la dimostrazione della condizione di perenne pericolo nella quale egli vive, al punto da dubitare persino del nipote. E la serie non manca di omicidi “impensabili” da parte di uomini “impensabili”. Tutto è messo a rischio, tutti possono essere potenzialmente assassini e tutti possono essere potenzialmente vittime. Così il finale ci lascia in quella condizione sospesa nella quale siamo rimasti per sei serie, e nella quale hanno vissuto i nostri protagonisti. Nessun finale risolutore, nessuna riposta, nessuna redenzione, nessuna giustizia. Così come è iniziata, così finisce: nell’incertezza.

Un’ultimissima nota richiedono purtroppo le discutibili scelte dell’emittente televisiva italiana, che, oltre ad aver mutilato il finale, riducendo i fondamentali dieci secondi di buio e silenzio a meno di un misero secondo, ha gettato I Soprano nell’orario punitivo della terza serata (spesso senza preavviso, per poi passare tutto definitivamente ai canali satellitari), marcandoli con un bel bollino rosso. La serie ha causato tantissime proteste, di qualsiasi natura: si è parlato di pregiudizi sessuali come di critiche di natura antropologica, poiché dava un’immagine degli italo-americani come uomini mafiosi, adulteri, violenti, volgari e di bassa cultura, giungendo persino a definirla un pericolo per i giovani.

Non voglio entrare nel merito di alcune dichiarazioni, anche perché mi sembra abbastanza curioso aver paura di una finzione filmica mentre si lasciano “scorrere” senza batter ciglio realtà molto più vicine a noi (per non parlare dello scempio, molto più immorale, che gira in televisione nelle prime serate). I Soprano hanno rappresentato un esempio di fiction intelligente, ironica, con sfumature psicologiche, narrative, tecniche e contenutistiche di elevato spessore. E ancora una volta la “nostra” Italia si è lasciata scappare un’occasione per dimostrare la sua presunta intelligenza.

Commenti

3 commenti a “The Sopranos: realismo, finzione e enigma”

  1. bella recensione, grazie. sono d’accordo con l’ultimo pensiero in particolare: abbiamo perso l’occasione di mostrarci superiori.
    Io ho rivisto la serie più volte perchè la considero appassionante e divertentissima, e ho visto recentemente un’intervista (youtube, mi pare) a uno dei protagonisti nella quale veniva svelato l’arcano della “chiave” per cui non può non piacere lo show: vorremmo tutti essere tony soprano.
    al giudizio razionale e “pubblico” è un personaggio immorale, laido e odioso, nella vita reale lo vorremmo morto, ma nell’inconscio.. chi non vorrebbe essere il cattivo della storia?
    il cattivo è fascinoso, i cattivi nella favola devono esserlo, perchè noi possiamo ammirarli e sognare di essere come loro, potenti e onnipotenti.. finchè la loro morte ci dia il brusco risveglio e ci porti indenni al mattino dopo, quando ci alzeremo dal letto e indosseremo la maschera sociale che avevamo posato davanti al monitor.

    Di alex | 2 Settembre 2012, 01:11
  2. Sono un grande fan dei Soprano o visto tutta la serie almeno una 40di volte o conprato il cofanetto, per poter apprendere tutti i particolari, anche io sono rimasto un po’ deluso dal finale
    Ma resto del opinione che e’ una delle serie televisive piu’ belle al mondo vi confesso che in molti caso o ividiato la vita di Tony Soprano avrei voluto essere al suo posto.i personaggi sono tutti eccezionali sono rimasto colpito anche dal personaggio di Phil leotardo, dal suo modo di esprimersi e dal suo atteggiamento e da come a cercato di far fuori Tony ma invano.Mi a colpito anche l agente del FBI e la sua reazione quando a saputo della morte di Leotardo.Insomma e una serie bellissima e sono un Fans sfegatato.

    Di Stefano | 20 Aprile 2013, 21:31
  3. Sono sempre io volevo aggiungere che un altro personaggio molto bello e stato Silvio dante coi suoi modi particolari e col suo vestite sfarzos.
    E molto bello anche il rapporto creato tra Cris e Tony e capisco molto bene la decisione di Tony di soffocarlo nel suo stesso sangue oramai non poteva piu’ fidarsi era un tossico perso, penso che avrebbe dovuto farlo fuori prima.
    Tony e un grande.

    Di Stefano | 20 Aprile 2013, 21:36

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