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Palcoscenico

Tratti comuni e distintivi nella vita e opere di Labiche e Feydeau (II)

[Nella prima parte

Eugène Labiche (1815-1888) e Georges Feydeau (1862-1921), due dei maggiori vaudevillisti del XIX secolo, oltre a mettersi in evidenza per il numero di opere realizzate, centosettantaquattro il primo e circa una quarantina il secondo, si distinguono anche per scelte di vita e tematiche trattate nei loro testi. Se il primo, infatti, si è quasi sempre avvalso della collaborazione di altri autori e ha anche parzialmente rinnegato il suo stile teatrale pur di entrare a far parte dell’Académie-Française, il secondo ha fatto una scelta diametralmente opposta, lottando sempre per difendere le proprie opere e rispondendo alle critiche dei suoi detrattori. Scelte diverse si evidenziano anche per quanto riguarda la trattazione della tematica del matrimonio: Labiche si focalizza soprattutto su quanto accade prima, e sul “confabulare” dei parenti degli sposi per siglare un accordo economico vantaggioso, mentre l’amore è messo in secondo piano; Feydeau, iinvece, predilige quello che succede dopo la celebrazione del rito, quando i mariti e le mogli sono tentati dall’adulterio e non si preoccupano minimamente di avere figli, impegnati come sono nel cercare di nascondere i rispettivi tradimenti.

…]

Un altro fattore da prendere in considerazione quando si analizzano le produzioni teatrali dei due autori è il ruolo svolto dal personaggio che storpia la lingua. Infatti, benché sia Labiche che Feydeau facciano ampio ricorso a questa figura, la sua funzione all’interno dei testi è diversa.

Il problema dell’analfabetismo in Labiche e il ruolo dello straniero in Feydeau

Grammaire et orthographe françaiseNell’atto unico La grammaire (La grammatica, 1867) di Eugène Labiche, Caboussat, il protagonista, è candidato alle elezioni, ma ignora completamente l’ortografia della lingua francese e teme seriamente che la sua carriera possa risentirne, ragione per cui si fa redigere tutti i discorsi dalla figlia. In questo caso, la lingua non ha una funzione sociale, ma politica, e il fatto che Caboussat la storpi ha lo scopo di evidenziare come all’epoca l’analfabetismo fosse un problema molto diffuso[1]:

 

Caboussat (seul.) […] Je serais maire, le premier magistrat d’Arpajon! puis conseiller général! puis député!… Et après? le portefeuille! Qui sait?… (Tristement) Mais non! ça ne se peut pas!… Je suis riche, considéré, adoré… et une chose s’oppose à mes projets… la grammaire française!… Je ne sais pas l’orthographe! Les participes surtout, on ne sait par quel bout les prendre… tantôt ils s’accordent, tantôt ils ne s’accordent pas… quels fichus caractères! […] Ah! dame, de mon temps, on ne moisissait pas dans les écoles… j’ai appris à écrire en vingt-six leçons, et à lire… je ne sais pas comment… puis je me suis lancé dans le commerce des bois de charpente… je cube, mais je ne rédige pas… (Regardant autour de lui) Pas même les discours que je prononce… des discours étonnants!… Arpajon m’écoute la bouche ouverte… comme un imbécile!… On me croit savant… j’ai une réputation… mais grâce à qui? Grâce à un ange…

Caboussat (da solo.) […] Diventerò sindaco, primo magistrato di Arpajon! poi consigliere provinciale! poi deputato!… E dopo? il portafoglio! Chi può dirlo?… (Tristemente) Ma no! è impossibile!… Sono ricco, stimato, adorato… e tuttavia una cosa si oppone ai miei progetti… la grammatica francese!… Non conosco l’ortografia! Soprattutto i participi, non si sa da che parte prenderli… a volte si accordano, a volte no… che pessimo carattere! […] Ah! diamine, ai miei tempi, non si ammuffiva sui banchi di scuola… ho imparato a scrivere in ventisei lezioni, e a leggere… non so neanch’io come… poi mi sono dato al commercio del legname da carpenteria… so calcolarne il volume, ma le lettere non le redigo… (Guardandosi attorno) Nemmeno i discorsi che pronuncio… discorsi sorprendenti!… Gli abitanti di Arpajon mi ascoltano con la bocca spalancata… come imbecilli!… Mi credono un erudito… ho una certa fama… ma per merito di chi? Per merito di un angelo…

Nella scena VI della medesima commedia, Caboussat detta un discorso alla figlia e ammette di confondere continuamente le s con le t (nella traduzione italiana la distinzione è stata fatta tra s e z):

Caboussat (lisant.) “Messieurs et chers collègues, l’agriculture est la plus noble des professions…” (S’arrêtant) Tiens! tu as mis deux s à profession?
Blanche Sans doute…
Caboussat (l’embrassant) Ah! chère petite!… (A part) Moi, j’avais mis un t… tout simplement. (Lisant) “La plus noble des professions.” (Parlé) Avec deux s. (Lisant) “J’ose le dire, celui qui n’aime pas la terre, celui dont le cœur ne bondit pas à la vue d’une charrue, celui-là ne comprend pas la richesse des nations!…” (S’arrêtant) Tiens, tu as mis un t à nations?
Blanche Toujours.
Caboussat (l’embrassant) Ah! chère petite!… (A part) Moi, j’avais mis un s tout simplement!… Les t, les s… jamais je ne pourrai retenir ça! (Lisant) “La richesse des nations…” (Parlé) Avec un t…
Blanche (tout à coup) Ah! papa, tu ne sais pas? M. Poitrinas vient d’arriver.
Caboussat Comment! Poitrinas d’Etampes? (A part) Un vrai savant, lui! (Haut) Où est-il, ce cher ami?
Poitrinas paraît.

Caboussat (leggendo) “Egregi signori e stimati colleghi, l’agricoltura è la più nobile delle professioni…” (Fermandosi) Senti! hai scritto professioni con due s?
Blanche Certo…
Caboussat (abbracciandola) Ah! piccola mia!… (A parte) Io ci avevo messo una z… semplicemente. (Leggendo) “La più nobile delle professioni”. (Parlato) Con due s. (Leggendo) “Lo sostengo fermamente, chi non ama la terra, chi non prova un tuffo al cuore alla vista di un aratro, non è in grado di comprendere la ricchezza delle nazioni!…” (Fermandosi) Senti, hai scritto nazioni con la z?
Blanche Come sempre.
Caboussat (abbracciandola) Ah! piccola mia!… (A parte) Io ci avevo messo semplicemente una s!… Le z, le s… non le imparerò mai! (Leggendo) “La ricchezza delle nazioni…” (Parlato) Con una z…
Blanche (d’improvviso) Ah! papà, non te l’hanno detto? Il signor Poitrinas è appena arrivato.
Caboussat Come! Poitrinas d’Etampes? (A parte) Lui sì che è un vero erudito! (Ad alta voce) Dov’è, quel caro amico?
Ingresso di Poitrinas.

Nella scena VI dell’atto terzo di Un fil à la patte (La palla al piede, 1894) anche Georges Feydeau affronta il problema dell’ortografia francese, ma in questo caso a ignorare le regole linguistiche non è un francese, bensì un generale sudamericano che cerca inutilmente di farsi spiegare la differenza di pronuncia tra la parola “sceptique” e la parola “scandale”[2]:

Le Général Eh ! la sandale qué vous l’avez fait Loucette et vous chez Madame Duvercher.
Bois-d’Enghien Ah ! “le scandale”, vous voulez dire ! Vous dites la “sandale”, s, c, a, ça fait sca, ça ne fait pas sa !
Le Général (le prenant de haut) Bodigué ! est c’qué tou té foutes de moi ? Tout à l’heure yo l’ai dit “squeptique”, vous disse “sceptique” ! bueno. Maintenant yo dis “sandale”, vous dis “scandale”… (Menaçant) Bodégué !

Il Generale Eh! il sciandalo que avete fatta voi e Loucette a casa di Madame Duvercher.
Bois-d’Enghien Ah! volete dire “lo scandalo”! Avete detto il “sciandalo”, s, c, a, fa sca, non fa scia!
Il Generale (guardandolo dall’alto in basso) Bodigué! tu te burla de migo? Poco fa yo ho dicho “schettico”, voi diciste “scettico” ! bueno. Adesso yo dicho “sciandalo”, voi dicite “scandalo”… (Minacciandolo) Bodégué!

Differenze tra le scelte dei due autori

Eugène LabicheEugène Labiche, attraverso l’analfabetismo di Caboussat, si pone come obiettivo di mettere in risalto, pur burlandosene, una situazione sotto molti aspetti drammatica. Nella seconda metà dell’Ottocento, in Francia, oltre il 36% della popolazione lavorava nel settore agricolo, senza contare l’alta percentuale di domestici[3], e aveva una conoscenza minima del francese corretto. La lingua utilizzata da questa classe sociale era soprattutto quella popolare, ricca di storpiature e sgrammaticature come quelle rese celebri dal personaggio della domestica Charlotte in Champignol malgré lui (Champignol per forza, 1892) di Feydeau: “Je savons coudre, je savons laver, je savons danser” (Io sappiamo cucire, io sappiamo lavare, io sappiamo ballare). Come se non bastasse, a generare ulteriori problemi di incomunicabilità ci pensava l’evidente contrasto esistente tra città e provincia. In Deux papas très bien ou la grammaire de Chicard (Due papà molto in gamba o la grammatica di Chicard, 1844) di Labiche, due padri di famiglia discutono del futuro matrimonio dei figli, ma si comprendono a fatica perché il primo è un parigino, e fa un uso eccessivo dell’imperfetto del congiuntivo, mentre il secondo è un provinciale che parla argot, ovvero un linguaggio colloquiale:

Poupardin Mais non! viens donc! (La prenant par la main) Permettez que je vous présente ma fille.
Tourterot (saluant) Mademoiselle… (Bas à Poupardin) Chic!… très chic!
Poupardin (étonné) Hein?…
Tourterot Je dis: chic, très chic.
Poupardin Elle désirait que je la promenasse… j’ai pensé qu’il était bon que je m’exécutasse et que je l’emmenasse…
Tourterot (à part) C’est un subjonctif à jet continu que ce beau-père.
Poupardin Afin qu’ensemble nous vissions, nous décidassions et nous terminassions…
Tourterot L’acquisition… (A part) Il parle comme Napoléon… Landais.
Poupardin Mais avant tout…
Tourterot Avant tout, nous casserons bien une petite croûte.
Poupardin Soit, j’obtempère à ce voeu.
Tourterot (appelant) Médard! (Médard paraît) Allons, Médard, en avant la gobichonnade!

Poupardin Ma no! vieni dai! (Prendendola per mano) Permettete che vi presenti mia figlia.
Tourterot (salutando) Signorina… (A bassa voce a Poupardin) È sciccosa!… molto sciccosa!
Poupardin (stupefatto) Eh?…
Tourterot Ho detto: è sciccosa, molto sciccosa.
Poupardin Voleva che la conducessi a passeggio… ho pensato fosse meglio che obbedissi e che l’accompagnassi…
Tourterot (a parte) Questo suocero è un congiuntivo a getto continuo.
Poupardin Affinché insieme vedessimo, concordassimo e concludessimo…
Tourterot L’affarissimo… (A parte) Parla come Napoleone… Landais.
Poupardin Ma prima di tutto…
Tourterot Ma prima di tutto, metteremo qualcosa sotto i denti.
Poupardin Certo, ottempero a questo desiderio.
Tourterot (chiamando) Médard! (Compare Médard) Forza, Médard, avanti con la bisboccia!

Il secondo titolo dell’opera, La grammaire de Chicard (La grammatica di Chicard), si riferisce a un personaggio carnevalesco, molto famoso all’epoca. Si riteneva che la prima persona a indossare il suo costume avesse stile e per questo veniva soprannominata Chicard. Questo determinò la creazione di una serie di termini, tutti relativi all’eleganza e allo stile, ispirati al nome del personaggio: chicandard, chicocandard ecc. Ecco perché, nell’esempio succitato, Tourterot, parlando della figlia di Poupardin, la definisce sciccosa, vocabolo che naturalmente Poupardin non conosce[4].

Il carnevale di Arlecchino di Joan Miró

La citazione riferita a Napoléon Landais non è casuale, si tratta infatti di un importante lessicografo, nonché autore di un dizionario e di una grammatica della lingua francese, vissuto proprio all’epoca di Labiche, tra il 1803 e il 1852[5].

Se Labiche cerca, dunque, di inserire nei suoi testi un gran numero di esempi che rispecchino le difficoltà di comunicazione tra gli abitanti della Francia stessa, Georges Feydeau, al contrario, focalizza la sua attenzione soprattutto sul contrasto francese/straniero e sul modo in cui la lingua e la cultura del secondo mette in crisi le certezze del primo. Egli infatti vive in un’epoca in cui la Francia è in piena rinascita e Parigi sta compiendo un’evoluzione che la porterà a diventare una delle più importanti capitali del mondo, di conseguenza l’obiettivo primario della borghesia diventa quello di preservare la propria identità e di difendersi da possibili “invasioni” sia linguistiche che culturali.

Interessante da questo punto di vista non è solo l’atteggiamento di fastidio che i borghesi delle opere di Feydeau manifestano nei confronti degli stranieri, bensì il fatto che tale irritazione verso una cultura a loro ignota è dimostrata perfino dai domestici, come avviene in Le Dindon (Il Tacchino, 1896):

Maggy (allant prendre un flambeau allumé) Où est le cabinett, la toilette?
Clara (allant ouvrir la porte de droite) Par ici, Madame.
Maggy (tout en emportant sa robe de chambre et son bonnet dans la chambre de droite) Ah ! vous porterez une théière, de l’eau bouillante et des tasses pour ma thé.
Clara Bien Madame !…
Maggy Merci, mamaselle !
Elle sort.
Clara (seule) Faut pas demander de quel pays elle est, celle-là !… Ces English, je crois qu’ils n’iraient pas au buen retiro sans emporter leur théière.

Maggy (andando a prendere un candelabro acceso) Dove è la gabinetta, il bagno?
Clara (andando ad aprire la porta di destra) Da questa parte, signora.
Maggy (portandosi la vestaglia e la cuffia nella camera di destra) Ah! portatemi una teiera, dell’acqua bollente e delle tazze per mia tè.
Clara Come la signora desidera!…
Maggy Grazie, senorina!
Esce.
Clara (da sola) Non è difficile capire da dove viene, quella lì!… Questi inglesi, mi sa che non andrebbero mai in quel posticino senza portarsi dietro la teiera.

L’antipatia che Clara prova nei confronti di Maggy non è dovuta solo al fatto che quest’ultima non parla bene la lingua francese, ma anche, e soprattutto, alla sua “strana” abitudine di bere il tè delle cinque. La battuta sprezzante che Clara le rivolge alla fine del dialogo rende palese l’incapacità della cameriera di accettare una cultura che non sia la propria.

Un esempio simile si riscontra anche nella scena III dell’atto primo di La duchesse des Folies-Bergères (La duchessa delle Folies-Bergères, 1902), dove la comicità è accentuata dal fatto che il contrasto si crea tra due ragazzini:

Robin (quittant le Proviseur et redescendant l’escalier pour aller serrer la main d’Arnold) Good bye! (Il lui donne un shake hand)
Arnold (faisant manœuvrer son poignet endolori, pendant que Robin va rejoindre le Proviseur) Ah! nom d’un chien! Ces Anglais, ça n’est pas plus haut que la botte, ça vous décroche déjà le bras! […]

Robin (allontanandosi dal Preside e ridiscendendo le scale per andare a stringere la mano ad Arnold) Goodbye! (Gliela stringe scuotendola con vigore)
Arnold (muovendo il polso indolenzito, mentre Robin va ad unirsi al Preside) Ah! Accidenti! Questi inglesi, è alto quanto un soldo di cacio, e già mi stacca il braccio! […]

In questo caso la battuta di Arnold sulla forza con cui Robin gli stringe la mano dimostra comunque la sua idea preconcetta nei confronti degli inglesi, che si potrebbe riassumere nel modo seguente: sono bassi di statura e, come se non bastasse, mancano di delicatezza.

Un bar delle Folies-Bergères di Édouard Manet

Gli argomenti non affrontati da Labiche e Feydeau

L’ultimo elemento che può essere interessante sottolineare, a conclusione di questa analisi, concerne le tematiche trattate solo da uno dei due autori e quelle che invece entrambi preferiscono evitare.

Per quanto riguarda Labiche, si può sostenere che egli, a differenza di Feydeau, dimostri un certo piacere nel parlare di situazioni che implicano personaggi di dubbia moralità. Non sono poche, infatti, le pièces dell’autore che trattano argomenti quali il ricatto, l’omicidio, la falsa testimonianza, la vigliaccheria, la diffamazione, l’inganno, l’ipocrisia e lo sfruttamento dei più deboli. Una di queste è Le prix Martin (Il premio Martin, 1876), in cui il protagonista, poco abile con la spada e incapace di battere a duello il rivale, che tra l’altro è anche il suo migliore amico, escogita di eliminarlo facendolo precipitare da un burrone durante una vacanza in Svizzera. In Un pied dans le crime (Un passo nel crimine, 1866), invece, un domestico pensa bene di ricattare il vicino di casa per averlo visto colpire un passante mentre cercava di sparare a un gatto: se non gli darà quello che vuole, lo denuncerà.

In compenso la trama di L’affaire de la rue de Lourcine (L’affare della rue de Lourcine, 1857) è tutta incentrata sul discutibile comportamento dei due protagonisti, che, ubriachi fradici, pur di sfuggire alla giustizia per un delitto che credono di aver commesso, sono disposti a qualsiasi cosa: dal ricatto alla subornazione di testimoni. In Premier prix de piano (Primo premio di pianoforte, 1865), infine, uno dei personaggi ne accusa ingiustamente un altro di volersi tenere un portafoglio che ha rinvenuto[6]. Il problema che si pone in questo contesto è che Labiche non cerca di condannare il comportamento immorale dei personaggi, ma, anzi, fa dell’ironia su coloro che ne rimangono vittima, dimostrando, così, che la maggior parte delle volte il crimine paga. Bisogna, tuttavia, riconoscere che le trame delle sue pièces sono sempre caratterizzate da quell’ilarità di fondo che contribuisce a smorzare l’evento delittuoso.

Un altro argomento di cui si occupa solo Labiche è quello relativo al rapporto tra sesso e cibo. L’autore, pur essendo impossibilitato a trattare in modo esplicito una simile tematica dato il controllo costante della censura, non rinuncia a inserire nelle sue opere numerosi riferimenti alla pratica culinaria e ai cibi afrodisiaci. Tra questi ultimi spicca indubbiamente il tartufo, la cui presenza all’interno delle pièces di Labiche supera di gran lunga quella delle ostriche. In La poudre aux yeux (La polvere negli occhi, 1861), Ratinois organizza un ricevimento le cui portate sono tutte a base di tartufo, nonostante il maître d’hotel tenti invano di fargli capire che per lo stomaco sarà un patimento; in La Cagnotte (Il gruzzolo, 1864), Cordenbois, malgrado gli vengano proposte numerose opzioni, ordina incessantemente tartufi; in Un mari qui prend du ventre (Un marito che mette su pancia, 1854), Pigeoret si arrabbia con la cuoca per la pessima qualità dei tartufi che sembrano tappi di sughero; in L’avare en gants jaunes (L’avaro in guanti gialli, 1858), Potfleury viene aspramente redarguito dal figlio perché ha l’abitudine di spendere il suo patrimonio in giro per i ristoranti a mangiare tartufi.

In Un monsieur qui a brûlé une dame (Un signore che ha fatto secca una signora, 1856), invece, a suscitare l’invidia degli abitanti di un piccolo villaggio sono i gusci d’ostrica trovati fuori dalla casa dell’esattore; per vendicarsi, le persone non invitate decidono di dare a loro volta un ricevimento mangiando ostriche per dessert e spargendo i gusci sul marciapiede[7].

Sala del gran teatro Bourdeaux

Tra i temi non affrontati dall’autore figura quello della morte: nessun personaggio, infatti, pronuncia mai tale parola, né – tantomeno – muore, benché gli eventi che comportano un tale rischio siano numerosi (tentativi di suicidio, omicidi premeditati, duelli, malattie, come ad esempio la febbre gialla). Vale la pena evidenziare come il comportamento di Feydeau sia diametralmente opposto: non solo la parola compare più volte all’interno dei suoi testi, bensì l’autore si diverte anche a ridicolizzare la situazione. In Le Système Ribadier (Il sistema Ribadier, 1892), Thommereux dice senza mezzi termini a Ribadier che il presidente del suo circolo è morto e quindi non potrà fare da testimone al duello; in La Puce à l’oreille (La pulce nell’orecchio, 1907), Ferraillon spera che la moglie muoia presto, considerato che ha già cinquantadue anni; in L’Hôtel du Libre Échange (L’Hotel del Libero Scambio, 1894), le nipotine vengono scambiate per fantasmi che ritornano dal regno dei morti; nell’atto unico Feu la mère de madame (La buonanima della suocera, 1908), tutta la storia è incentrata sulla presunta morte della suocera e la parola viene pronunciata per ben sei volte dai vari protagonisti della vicenda.

In compenso, Feydeau si occupa raramente di delitti (in Gibier de potence Un tipo da forca, 1883 – l’argomento è trattato in modo talmente surreale da passare quasi in secondo piano rispetto ai continui scambi di battute dei protagonisti), e di situazioni violente (il duello viene più volte citato nelle sue pièces, ma il contesto comico in cui è inserito lo rende più una parodia di un atto violento che un atto violento in sé). L’autore dimostra, inoltre, una particolare predilezione per le tematiche riguardanti i comportamenti libertini dei mariti, i tentativi di adulterio più o meno riusciti delle mogli, e la spensieratezza delle cocotte che agiscono seguendo il loro istinto senza sentirsi intrappolate dalle rigide convenzioni sociali. Numerose sono le opere in cui è presente almeno uno di questi temi, per non parlare di quelle in cui sono assoluti protagonisti. Tra queste, vanno ricordate la Môme Crevette, protagonista di La Dame de chez Maxim (La signora di chez Maxim, 1899) e di La Duchesse des Folies-Bergères (La duchessa delle Folies-Bergères, 1902) e Amélie, protagonista di Occupe-toi d’Amélie (Occupati di Amelia, 1908).

L’innovazione introdotta da Feydeau, come sottolinea lo studioso Henry Gidel, consiste nel fatto che, all’interno dei suoi testi, la cocotte diventa un elemento sovversivo, atto a creare un contrasto morale e linguistico con l’ambiente che la circonda[8]. I discorsi della Môme Crevette, ad esempio, contengono una gran quantità di parole appartenenti alla lingua popolare: “se marrer” (divertirsi), “kif-kif” (fa lo stesso), “siroter” (sorseggiare), “tu l’as dit, bouffi!” (puoi dirlo forte!), “caleter” (battersela, darsela a gambe), ecc.

Scena tratta dal film La dame de chez Maxim

Se, come si è visto in precedenza, Labiche evita accuratamente di far pronunciare ai suoi personaggi la parola “morte”, Feydeau mostra un comportamento quasi simile per quanto concerne la parola “gravidanza” e i sinonimi corrispondenti. In diverse sue opere, benché risulti evidente che la protagonista è incinta, l’autore non fa mai direttamente riferimento alla situazione del personaggio, ma lascia che il pubblico la intuisca dai suoi comportamenti: svenimenti, senso di nausea, carattere particolarmente irritabile. Nella scena sesta dell’atto unico Un bain de ménage (Un bagno casalingo, 1888), Laurence ha un mancamento mentre sta per fare il bagno e la domestica Adélaïde la soccorre dicendole quanto devono essere piacevoli i giramenti di testa legittimi, chiaro riferimento al fatto di concepire un figlio quando si è legittimamente sposati. In un caso, tuttavia, l’autore fa una scelta completamente opposta: nell’atto unico Léonie est en avance (Léonie è in anticipo, 1911) il termine “gravidanza” viene pronunciato senza giri di parole. È importante però sottolineare che ci si riferisce a una gravidanza isterica e non a una gravidanza naturale.

In realtà, l’obiettivo di Feydeau è portare all’attenzione del pubblico un problema che tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento sta conoscendo un’ampia diffusione: l’ideale borghese della donna-madre viene infatti utilizzato per giustificare la repressione sessuale e intellettuale a cui le donne dell’epoca sono sottoposte[9]. Esse non possono aspirare a una realizzazione al di fuori dell’ambito familiare, e la continua pressione esercitata nei loro confronti affinché svolgano la loro funzione di mogli e madri finisce per avere ripercussioni sul loro stato mentale. Il dialogo presentato da Feydeau proprio in Léonie est en avance è una buona riprova di questo:

Madame Virtuel (agitant sa main au-dessus de sa tête comme pour donner l’impression d’une chose qui s’envole) Ffut! La grossesse nerveurse!…
De Champrinet La grossesse nerveurse!…
Toudoux (d’une voix angoissée) Qu’est-ce que c’est que ça?
Madame Virtuel Une chose qu’arrive! même qu’on s’y trompe!
De Champrinet et Toudoux (anéantis) Oh!
Madame Virtuel J’ai connu une femme comme ça qui a porté pendant vingt-cinq mois, on été même un peu étonné. On disait: “C’est pourtant pas un éléphant!”… Et puis, un beau jour, ffutt!… comme dans la fable de La Fontaine!
Toudoux Mais, quoi!… La fable? Quelle fable?
De Champrinet Oui!
Madame Virtuel Eh ben! La seule que nous connaissons toutes, nous les sages-femmes! parce qu’elle est professionnelle. “La montagne qui accouche”, Madame Toudoux est en train de faire sa petite montagne.

La signora Virtuel (agitando la mano sopra la sua testa come per dare l’idea di qualcosa che prende il volo) Ffuu!! La gravidanza isterica!…
De Champrinet La gravidanza isterica!…
Toudoux (con voce angosciata) Ma cos’è esattamente?
La signora Virtuel Una cosa che capita! come capita di sbagliarsi!
De Champrinet e Toudoux (affranti) Oh!
La signora Virtuel Ho conosciuto un caso del genere in una donna che ha avuto venticinque mesi di gestazione, la cosa ci stupiva alquanto. Dicevamo: “Non è mica un elefante!”… E poi un bel giorno, ffuuu!… come nella favola di La Fontaine.
Toudoux Ma di cosa… la favola? quale favola?
De Champrinet Dica, su!
La signora Virtuel Ebbene! l’unica che tutte le levatrici conoscono! perché ha a che fare con la nostra professione: “Il parto della montagna”. La signora Toudoux sta partorendo il suo topolino!

Molto probabilmente proprio a causa dell’argomento trattato, questo è l’atto unico di Feydeau meno rappresentato in assoluto, anche se i continui tentativi del protagonista Toudoux di soddisfare ogni minimo desiderio della moglie contribuiscono a mantenere alto il livello della comicità, nonostante la tragedia di fondo.

L'assenzio di Édgar Degas

Conclusioni

A conclusione di questa analisi si può affermare che, pur essendoci delle caratteristiche che accomunano il teatro di Eugène Labiche e di Georges Feydeau, i due autori operano delle scelte molto diverse, sia in considerazione del periodo storico in cui sono vissuti, sia per quanto riguarda gli obiettivi che si prefiggono. Eugène Labiche, infatti, a causa di quella sua ambiguità di fondo, è al centro di numerosi dibattiti e discussioni da parte degli studiosi, che non sanno esattamente se definirlo un autore moralista o immoralista. Secondo Pierre Voltz il modo in cui sono costruiti i suoi intrighi presuppone “una classificazione di valori tra positivi e negativi, tra ragione e torto, tra intelligenza e stupidità, e soprattutto tra egoismo e generosità”[10]. Questo studioso ritiene dunque che Labiche sia stato un moralista e un moralizzatore.

Michel Corvin, in compenso, la pensa in maniera opposta; dal suo punto di vista infatti, cercare di vedere nelle pièces di Labiche lo specchio della società del Secondo Impero sarebbe un grosso errore, soprattutto perché le sue opere ricalcano perfettamente lo schema del teatro comico della cultura occidentale, e a trarre in inganno i critici sarebbe stato semplicemente il contesto borghese in cui viene presentata la situazione, che in realtà non ha nessuno scopo morale[11]. Va comunque sottolineato che Labiche stesso dichiarò di avere come unico obiettivo quello di far ridere il pubblico e non di farlo ragionare sulla condizione della società dell’epoca.

 Cartolina d'epoca, donne a teatroGeorges Feydeau, dal canto suo, ha il pregio di aver portato al massimo grado di perfezione quel vaudeville che aveva conosciuto ampia diffusione negli anni precedenti la sua nascita. E le innovazioni che egli apporta in questo ambito sono tali da trovare un riscontro anche nel teatro dell’assurdo. Come giustamente sostiene Henry Gidel, una delle caratteristiche fondamentali delle opere di Feydeau è quella di essere antiletterarie esattamente come lo sarà in seguito il teatro di Ionesco o di Beckett. Questo perché i testi dell’autore, in particolar modo quelli in tre atti, si contraddistinguono non solo per un maggior utilizzo degli elementi visivi a scapito dei dialoghi (gag, balletti, inseguimenti ecc.), ma soprattutto per quel folle movimento in crescendo che verrà più volte ripreso da Ionesco[12]. La differenza, però, consiste nel fatto che Ionesco, quando mette in scena una situazione bizzarra, non fornisce alcuna spiegazione in merito, mentre Georges Feydeau, se fa abbaiare uno dei suoi personaggi, ne dice anche il motivo. La sua ingegnosità, quindi, non consiste nell’aver inventato l’assurdo, ma nel riuscire a inserirlo in un contesto perfettamente logico, per cui il pubblico non è più in grado di distinguerlo dalla normalità.

Note

[1] Cfr. François Cavaignac, Eugène Labiche ou la gaieté critique, L’Harmattan, Parigi, 2003, pp. 49-50.
[2] Cfr. François Cavaignac, op. cit., pp. 50-51.
[3] Cfr. François Cavaignac, op. cit., p. 44.
[4] Cfr. François Cavaignac, op. cit., pp. 48-49.
[5] Ibidem.
[6] Cfr. François Cavaignac, op. cit., pp. 236-240.
[7] Cfr. François Cavaignac, op. cit., pp. 88-91.
[8] Henry Gidel, Le Théâtre de Georges Feydeau, Klincksieck, Parigi, 1979, p. 210.
[9] Laura Cocciolo e Davide Sala, Atlante della Psicoanalisi, esplorare l’inconscio, Prato, 1999, pp. 18-19.
[10] Pierre Voltz, Le genre Labiche, revue Europe n. 786, ottobre 1994, citato da François Cavaignac, op. cit., p. 235.
[11] Cfr. François Cavaignac, op. cit., p. 241.
[12] Henry Gidel, op. cit., pp. 337-340.

Commenti

Un commento a “Tratti comuni e distintivi nella vita e opere di Labiche e Feydeau (II)”

  1. Est-il possible de recopier 2-3 phrases sur mon site internet perso ?

    Di Florentina | 21 Giugno 2014, 04:27

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