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Arte

Questa buffa idea di Bello

Il titolo è liberamente ispirato al libro di François Julien Cette étrange idée du beau, uscito l’anno scorso in Francia per le edizioni Grasset. Invece che analizzare – come critici, artisti e curatori del campo dell’arte fanno ormai da secoli – che cosa possa/debba essere ritenuto bello o esteticamente degno di nota, Julien ribalta la domanda, chiedendosi perché tale questione sia di così primaria importanza nella nostra cultura.

Ni Zan, Dimora di acqua e bambùSinologo di formazione, l’autore ci dimostra subito come in effetti il concetto di bellezza, dotato delle caratteristiche che noi gli attribuiamo, sia una nozione prettamente occidentale, che trae origine dall’impostazione filosofica del pensiero greco. Anzi, in un certo senso, è tutto il sistema della filosofia occidentale che deriva da una determinata accezione di bello. Invece che indagare il senso dell’arte, quello che questo libro cerca di capire è come tutta la nostra filosofia sia derivata a partire da una determinata nozione di arte.

Julien non è certo il primo a concentrarsi sulle origini “estetiche” della filosofia. Ne La trasfigurazione del banale Arthur Danto accennava a come la filosofia sia nata presso quei popoli (la Grecia e l’India) che per primi hanno dovuto interfacciarsi con il concetto di rappresentazione, “civiltà entrambe ossessionate dal contrasto tra realtà ed apparenza” (cfr. pag.94). Sarebbe quindi impossibile – prosegue il filosofo – dedurre che vi sia un senso estetico innato identico per tutti. “Le risposte estetiche che forniamo sono spesso una funzione delle nostre credenze riguardo all’oggetto” (cfr. pag.120). Danto, però, non mette in discussione la connotazione del concetto di bello e la sua marcata occidentalità, come invece argomenta Julien attraverso un paragone con l’arte cinese.

Per i greci, innanzitutto, la cosa bella deve differire dal concetto di bello: vi partecipa secondo il principio della forma, ed è quindi di per sé distaccata dal succedere delle cose. La forma per i greci è infatti il richiamo che permette alla cosa, oggettuale, concreta, di partecipare a quello che è il suo ideale di bellezza. Se da un punto di vista fenomenologico la bellezza di una cosa deriva dalle sua forma, da un punto di vista epistemologico è però la forma che deriva dal concetto di bellezza. La forma è “bella” in quanto riesce a rivelarsi al di là della confusione tra il sensibile e il metafisico. E i greci, a partire da tale astrazione della forma pura, hanno progettato tutto l’eros filosofico, che assume così una posizione ideale.

L’artista è colui che, trionfando sulle tenebre opache, riesce a estrarre, in questa Forma, il corpo tanto adorato della divinità. L’artista rende belle le cose bloccandole, fissandole al di là dello scorrere contingente della natura, che non partecipa a nulla di ideale. Proprio come Mida, che tramuta in oro tutto ciò che sfiora, astraendolo però dalla vita.

La cultura cinese non ha conosciuto una simile monopolizzazione del bello.

Innanzitutto nella cultura cinese il reale non si definisce in funzione a un mondo irreale che imita e a cui ambisce, a una forma ideale e perpetua che secreta accidenti concreti. Il reale è un’energia che si rinnova incessantemente grazie alla coerenza di fattori di regolaggio interni. Quella che in Cina si chiama forma non è quindi altro che questa attualizzazione temporale, la formazione energetica nella quale si concretizza il dinamismo delle cose, il loro processo di avvenimento. Non manifesta alcun ordine esteriore del mondo. Abbandonata l’ontologia, non incontreremo più forme, ma solo fenomeni di tras-formazione.

Come si riflette questo concetto di forma nel mondo dell’arte?

Secondo il monaco-pittore Shitao (1642-1707), vissuto all’epoca della dinastia dinastia Qing, il pittore cinese non dipinge un paesaggio così come questo potrebbe offrirsi alla nostra percezione, ma piuttosto le “tensioni” in opera nella “configurazione” di tutto il paesaggio. Bisogna prendere la misura del cielo e della terra, dice Shitao, al contempo della “chiarezza” e della “altezza” del primo, della “ampiezza” e della “consistenza” dell’altro, per essere in grado di modificare-trasformare l’insondabile che si cela nelle montagne e nelle acque.

Shi Tao_10,000 Ugly Ink Dots detail. c. 1674, ink on paper

Un paesaggio quindi non rappresenterà mai un angolo di natura, ma concentrerà in se stesso tutto il gioco di opposizioni e complementarità attraverso le quali, in scala maggiore, il mondo è portato a esprimersi e a rinnovarsi. Il paesaggio rappresenta questa risorsa infinita di trasformazione che le variazioni di acquerello e le flessioni del pennello tentano di far emergere. Non più quindi forma e colore, ma “inchiostro e pennello” sono i mezzi per esprimere la trasformazione continua delle cose.

Vediamo qualche esempio.

Huang Gongwang Dwelling in the Fuchun Mountains, Huang

Huáng Gōngwàng (1269–1354) riesce ad esprimere, tramite i suoi aloni di inchiostro, l’attività incessante di  trasformazione naturale.  La forma delle sue montagne, piuttosto che ricondurre alla forma concettuale di una montagna, è simile a quella delle onde del mare: entrambe infatti vogliono rappresentare, piuttosto che concetti astratti, la violenza e le contraddizioni insite nella natura.

Huang Gongwang, Annon2 - Date Unknown

Per Guo Xi (pittore e teorico cinese del XI secolo), la montagna non è più essenza ma “una forma che muta ad ogni nostro passo… è ciò che si deduce da una montagna vista in contemporanea da tutti i lati. Ed è allo stesso tempo la stessa forma per tutte le montagne”.

Ni Zan, Sei GentiluominiCome spiega Julien, la consistenza propria alla montagna non rivela più nient’altro se non il modo in cui tutti i suoi aspetti diversi vi sono allo stesso tempo contenuti. La rappresentazione della montagna deve quindi tener conto al contempo della percezione di una montagna vista da vicino, da lontano, e anche nei diversi periodi dell’anno. Questo significa saper cogliere lo Spirito della Montagna, che non differisce dall’insieme delle sue manifestazioni.

Così come il bello è stato in Occidente il canalizzatore della nostra percezione preferenziale, e della valorizzazione del suo oggetto di giudizio, nella cultura cinese esso concerne invece il dinamismo che non cessa di animare il mondo e di dispiegarlo ai nostri sensi.

Una prospettiva che, purtroppo, a detta di Julien, i cinesi e giapponesi contemporanei tendono a dimenticare, utilizzando il concetto di bello come tutti gli europei e trascurando l’originalità della propria tradizione “estetica”.

Bibliografia

François Julien, Cette étrange idée du beau, Grasset edition 2010

Arthur Danto, The Transfiguration of the Commonplace, Harvard University Press, 1981

Chang François, Shitao 1642-1707. Il sapore del mondo, Pagine Arte 1999

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  1. […] Racchiude infatti molti dei temi che di questa cultura ci sono cari: la commistione fra pittura e scrittura, ad esempio, tipica anche dell’arte cinese antica, di cui abbiamo parlato qui. […]

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