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Cinema

La decostruzione della realtà. La semiosfera di Philip K. Dick (I)

Introduzione

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi.
Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
e ho visto i Raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser…
E tutti quei momenti andranno perduti, nel tempo, come lacrime nella pioggia…

(Blade Runner)

Rutger Hauer - Blade Runner - © 1982 Warner Brothers Pictures

Questa tesi ha come oggetto d’analisi la traduzione intersemiotica di alcune opere di Philip Kindred Dick[1].
Il problema è quello di comprendere fino a che punto e in che modo l’immaginario di PKD si è espanso – passando da una piattaforma espressiva all’altra – fino ai giorni nostri e con quali effetti di senso per le significazioni attuali. La forma di analisi di questo lavoro è quella di una ricognizione visuale dell’immaginario per rintracciare i frammenti dell’esplosione[2] delle opere di Philip K. Dick, dalla loro “detonazione” alle attualizzazioni più recenti.
Abbiamo scelto PKD come oggetto di studio in quanto costituisce un caso esemplare di contagio assoluto dell’immaginario. Cercheremo di indagare le dimensioni di tale influenza e le forme in cui si esercita, in quanto il suo caso risulta indicativo dei più vasti fenomeni di rimodulazione e di rienunciazione esistenti all’interno dell’industria culturale. Un caso esemplare, perché fonte di continue rielaborazioni: non parliamo semplicemente di traduzioni cinematografiche, ma di operazioni che coinvolgono anche linguaggi e generi differenti quali il video sperimentale, il fumetto, le copertine degli album, ovvero sistemi di significazione molto diversi tra loro.

Nel corso degli anni la sua figura ha assunto lo status del mito e la sua influenza si avverte nelle correnti più mainstream come in quelle più underground, stimolando anche importanti riflessioni sul ruolo della sperimentazione.
L’ipotesi semiotica è che, arrivando al centro delle problematiche legate alla semiosfera (leggi vita e movimento delle idee fatte segno linguistico) di Dick, possiamo riuscire a guardare da una posizione privilegiata le pratiche contemporanee di riformulazione linguistica, agganciandoci a una delle produzioni più prolifiche e significative nel panorama dell’immaginario del Ventesimo secolo.
Finora gli studi su Dick si sono concentrati unicamente sulla trasposizione dei suoi racconti e romanzi per il formato cinematografico, tralasciando un’analisi più approfondita dei molti legami che la semiosfera dickiana ha e continua ad intrattenere con numerose forme linguistiche della comunicazione di massa.

Pratiche e dunque dinamiche: flusso, processo, ri-scrittura, ri-attualizzazione, re-interpretazione, reticolarità, diventano le parole chiave di uno spostamento di attenzione dai singoli testi alle trasformazioni tra i testi, in un soprassalto della migliore tradizione lévi straussiana, per la quale il mito non coincide mai con un testo, ma è propriamente un oggetto inter e sovratestuale.

(Pezzini e Rutelli 2005, p. 11)

Quello che tenteremo di analizzare sarà dunque il carattere dinamico delle opere dickiane in una prospettiva sociosemiotica, focalizzando la nostra attenzione – come afferma Pezzini – proprio su come i testi si attraversano e si trasformano, giungendo a riformulare delle vere e proprie “mutazioni audiovisive” rispetto ai testi primari. Sulla natura di queste trasformazioni ci soffermeremo in seguito, nella parte dedicata alla traduzione intersemiotica.

Philip DickPer il carattere estremamente trasversale e fluido dell’oggetto di studio, in questo lavoro adotteremo l’impianto teorico e metodologico della sociosemiotica, al fine di indagare le metamorfosi che i testi dickiani hanno subito nel tempo, dal loro contesto di partenza fino ai giorni nostri. L’influenza di questo autore per tutta la cinematografia postmoderna che conta è indiscutibile, basti citare Blade Runner (1982), il capolavoro di Ridley Scott che ridisegna l’immaginario fantascientifico[3] dei film a venire, e Matrix (1999), film culto di fine millennio, che, pur non essendo trasposizione diretta di nessuna opera di Dick, porta con sé la sua impronta “genetica”, citandolo esplicitamente tra le principali fonti d’ispirazione. Già in queste prime considerazioni ci imbattiamo nel nocciolo della questione, cioè su quanto sia operazione complessa ma necessaria la decodifica dell’immaginario legato a Dick o – per dirla in termini semiotici – dell’analisi dei processi di traduzione intersemiotica attivati all’interno della sua semiosfera. Quello che è straordinario è che in un’epoca come la nostra, caratterizzata da pratiche di ri-enunciazione e da fenomeni di ri-scrittura sempre più evidenti e importanti per l’industria culturale, la produzione di PKD offra un caso esemplare di contagio semiotico assoluto, intramediale e intermediale, costituendo in questo scenario un punto di vista privilegiato per cogliere gli spostamenti tra le diverse semiotiche in azione[4]. Intramediale, perché i suoi romanzi e racconti sono stati essenziali allo sviluppo del genere all’interno del quale sono stati concepiti e creati – la fantascienza – giungendo a riformularne le coordinate e offrendo vasti spunti a fenomeni successivi come l’intero filone del cyberpunk, che trova in Dick uno dei padri fondatori. Intermediale, perché il corpus dickiano ha trovato ri-scritture e re-interpretazioni in ogni genere artistico: dalla forma teatrale alla pittura, dal videoclip al fumetto, dalla musica al videogioco, determinando un vortice espressivo di eccezionale potenza e grandezza. L’opera di questo scrittore, infatti, lungi dal rimanere confinata entro un genere (la fantascienza) a lungo calunniato dalla critica, si è rivelata centrale per molte esperienze di contaminazioni espressive proprio grazie alla centralità dei temi trattati e alla lungimiranza (per molti versi addirittura profetica) delle sue intuizioni. Chiaramente la longevità straordinaria di queste intuizioni si deve alla loro capacità di anticipare di almeno cinquant’anni[5] temi e fenomeni di urgenza sociale con cui cominciamo a confrontarci oggi, cosa che non colloca Dick forzatamente nella letteratura di anticipazione, come sostengono alcuni, ma semplicemente tra i buoni narratori del (loro) presente.

Algirdas Greimas sosteneva che “fuori dal testo non v’è salvezza”, ma noi sosteniamo con Derrida che “non esiste il fuori testo” e che quindi, per poter comprendere come l’immaginario di Dick si dispiega lungo l’asse temporale, dovremo partire prendendo in considerazione proprio la vita di PKD, intesa di per sé come un’entità semiotica facente parte non solo del testo, ma anche del corpo e del discorso dickiano[6]. Non si può comprendere la complessiva proliferazione di significazioni della letteratura di Philip K Dick senza considerare tutti gli aspetti coinvolti.

Nel primo capitolo studieremo la vita di PKD come un oggetto semiotico così come emerge della lettura della sua biografia ufficiale[7], compilata da Lawrence Sutin: nel farlo delineeremo gli snodi cruciali del vissuto personale, tracciando i contorni di un’esistenza travagliata che coinvolge tematiche particolari come la patologia paranoica e l’abuso di sostanze[8], affondando le sue radici interamente nella società americana – marcatamente gli anni ‘50 – della quale offre una spietata raffigurazione dall’interno. Passeremo poi al vaglio semiotico le sue isotopie narrative fondamentali, basi di un territorio dai confini sempre più labili ma dalle evidenti centralità tematiche, per analizzare in seguito la sua produzione all’interno del macrogenere fantascientifico (inteso come punta di diamante dell’immaginario, inarrestabile propulsore di nuove concezioni/significazioni e miscelatore di differenti configurazioni sociodiscorsive). In ambito teorico metteremo a fuoco la teoria della cultura di Lotman, che con la sua nozione di semiosfera gioca un ruolo di capitale importanza per il tentativo di mappare l’immaginario a partire dai movimenti e dalle scosse telluriche generate dalle idee di Philip Dick. La nozione di traduzione intersemiotica, invece, ci fornirà gli strumenti per costruire una griglia affidabile in vista dei testi da analizzare.

The Religious Experience Of Philip K. DickPer sfuggire alla tara degli studi su Dick, il corpus di analisi non verterà unicamente sul rapporto letteratura-cinema, preferendo cercare altrove i frutti della semiosi dickiana. Sul fronte del fumetto ( o arte sequenziale, secondo la nota definizione di Will Eisner) abbiamo scelto la trasposizione in chiave psichedelica dell’esperienza religiosa di Philip K. Dick da parte di Robert Crumb (maestro del comic underground americano) e una tavola di Jean Moebius Giraud che interpreta a suo modo un romanzo di PKD. Senza alcuna pretesa di esaustività, ma con l’aspirazione dichiarata di rendere esplicite determinate configurazioni e dinamiche testuali, verranno analizzati anche un film breve, alcuni filmati di videoarte insieme alle copertine e i testi di alcuni dischi dei Radiohead. A margine alcune considerazioni sulla remix culture a opera di Dj Spooky – eclettico personaggio di dichiarata ascendenza dickiana – che consideriamo molto pertinenti in un’analisi sulla traduzione intersemiotica,

Parte Prima

1.0 Perché Philip K. Dick?

Sono un filosofo che si esprime in romanzi, non un narratore; la mia abilità nello scrivere romanzi e racconti viene da me impiegata come un mezzo per formulare le mie percezioni. Il nucleo di ciò che scrivo non è arte, ma verità.

(Sutin 2001, p.23)

Partiamo con una premessa: Philip K. Dick è uno dei maggiori scrittori del Ventesimo secolo, dotato di un ingegno non comune e di una scrittura che possiamo senza dubbio considerare nel novero delle «scritture estreme»[9]. Ogni anno aumentano il numero di persone che lo considerano un mito underground, un agitatore controculturale che come arma ha scelto la scrittura e come pallottole il genere fantascientifico. Il motivo di tale riconsiderazione è sicuramente dovuto in primis alle pellicole cinematografiche che lo hanno consegnato alla gloria eterna, anche se postuma.

Chiunque abbia apprezzato le vette metafisiche di Blade Runner o anche soltanto le sue peculiarità visive è in qualche modo entrato in contatto con lo scrittore americano che più di ogni altro nella sua epoca si è domandato quali siano i confini dell’essere umano e della cosiddetta realtà che lo circonda. I dubbi metafisici della sua opera sfumano le distanze tra il genere fantascientifico e la speculazione filosofica, ponendolo in un rapporto diretto con filosofi del calibro di Nietzsche e Heidegger.
La sua capacità straordinaria di veicolare visioni alternative della realtà offre nuove chiavi di lettura per interpretare i processi che si giocano nella fitta trama di connessioni tra noi e il mondo, il rapporto uomo-macchina, nonché la relazione con l’elemento divino.
Scegliendo la figura di Philip K. Dick come perno centrale di questa analisi sociosemiotica, ci addentriamo nel cuore del nostro tempo postmoderno in compagnia di un mito, una personalità assolutamente fuori dalle righe con una visione del mondo eccezionalmente complessa, che necessita un serio approfondimento.

Perché Philip Dick?

Perché è diventato un mito della controcultura per come ha vissuto, per quello che ha scritto e per ciò che pensava; per l’interesse che continua a suscitare la sua figura e per la centralità delle tematiche che ha affrontato.

Per il genere che gli ha dato (e tolto) notorietà. Dal punto di vista semiotico crediamo di individuare nella SF e nelle sue contaminazioni uno dei pilastri sui quali poggia tuttora un frammento consistente del nostro immaginario.

Per la sua natura controcorrente e sommersa che lo ha fatto tanto soffrire in vita, ma che lo glorifica dopo la morte. Per fare chiarezza su molti punti, presentare nuovi approcci, e aprire con idee originali nuovi spunti metodologici sullo studio dell’immaginario, nonché sulle piste interpretative da seguire.

Perché insieme a Calvino, Borges e Pirandello ha amplificato il potere della narrazione, squarciando il quotidiano con uno sguardo acuminato, permettendoci di esperire un numero infinito di mondi possibili.

Perché insieme a Platone, Berkeley, Heidegger, ma soprattutto Nietzsche, ha combattuto con una realtà che gli stava troppo stretta, smontandola e rivelandone i retroscena, mostrando le potenzialità insite nell’essere umano insieme alle sue idiosincrasie e alle sue smanie.

Perché insieme ad Einstein, Rosen, Heisenberg e Bateson ha rivoluzionato la concezione del tempo e dello spazio, rivelando la natura relativa e allo stesso tempo intersoggettiva del mondo, riuscendo a cogliere nessi dove altri vedevano solo divisioni.

Perché crediamo che tra le pieghe della sua vita e nel profondo delle sue riflessioni vi sia quell’ultima verità che l’uomo occidentale ha sempre perseguito, spesso con scarsi risultati[10].

Quello che veramente conta per noi è focalizzarci su questo punto di snodo fondamentale dell’immaginario, consapevoli dell’utilità di questo approccio sociosemiotico, nonché della necessità di integrare altri punti di vista[11], orientamenti aperti da altre discipline. Il territorio di questa analisi sarà il corpus dickiano, grazie alla forza e alla coerenza della sua enunciazione. Anche se la sua opera si dispiega quasi totalmente all’interno di un genere narrativo come la fantascienza, il suo corpus è oggi considerato come momento fondativo di molte delle riflessioni che investono la cosiddetta postmodernità. Da quando è stato messo in circolo nella semiosfera, il suo pensiero non ha mai smesso di crescere.

Etichettare questo autore in una o nell’altra maniera non rende giustizia al volume di immaginario che la sua produzione sta smuovendo ancora oggi, per non parlare del prossimo futuro.

La figura di Philip Dick ha assunto negli anni lo status del mito e – come spesso accade – ciò ha determinato una rielaborazione sia nel mercato mainstream sia nel mercato più laterale e underground. Attraverso un’analisi sociosemiotica crediamo di poter mettere in evidenza le potenzialità insite nei differenti livelli dell’opera di Dick, e di rendere palpabile la centralità del discorso dickiano, partendo proprio dagli aspetti visuali del suo corpus narrativo.

Philip DickLa natura di quest’influenza crescente ed implacabile porta a ulteriori riflessioni e ipotesi: sicuramente le forme di traduzione più interessanti di Dick si sono date in circostanze dove era massima l’infedeltà e non viceversa. Questo ci aiuta a parlare di traduzione intersemiotica, adducendo che l’infedeltà è una costante strutturale e le operazioni di calco raramente trovano il successo di pubblico e di critica, spesso nemmeno quello dei fan. Come emerge dall’intervista con Luca Briasco[12], i lettori di SF oggi non sono più riconoscibili come lo erano in tempi passati, dove la preferenza letteraria la si portava “scritta” in volto, e chi legge Dick oggi non è detto che legga anche altri classici del genere come Asimov e Heinlein, così come non è detto che segua le evoluzioni del cyberpunk di Gibson e Sterling, tanto più che gli stessi autori cambiano rotta puntando ormai verso il thriller o la saggistica per inseguire i gusti di un mercato che non premia il consumo e quindi la produzione del genere fantascientifico. Purtroppo questo non è un buon segnale, perché i corpi sociali hanno bisogno del discorso fantascientifico, che, pur in mancanza di degna considerazione e copiosa produzione, contamina altri linguaggi, contagiando altre forme espressive e innovandole attraverso una continua sperimentazione, come la corrente AvantPop sta ampiamente dimostrando. Ipotizziamo che dietro le esperienze sperimentate dal postmoderno che conta vi sia lo “zampino” di Philip K. Dick, nume tutelare del nostro momento culturale con le sue riflessioni sul virtuale e sul simulacro.

PKD è anche molto altro e gli studiosi non tralasciano di aprire altre piste interpretative, che vanno dagli aspetti teologici del suo lavoro alle speculazioni filosofiche, passando per un forte interesse per la psicologia e l’invasione della psichiatria nella sua vita e nei suoi scritti. Noi non affronteremo Dick da questi punti di vista – che pure sono importanti per capirlo – se non per quegli elementi che serviranno per spiegarne gli aspetti visuali, che sono il nostro principale oggetto di indagine.
Come molto acutamente fa notare Dick nelle sue pagine teoriche, l’intero linguaggio SF si fonda intorno all’idea nuova, che deve essere spiazzante rispetto al senso delle cose quotidiano, deve fuoriuscire dalla normalità del corso degli eventi; non si tratta per forza di una innovazione di carattere tecnologico (il novum), né tanto meno si colloca sempre in un momento futuro.
Quello dickiano è un linguaggio basato sugli scarti di sensi, che gioca con le alterazioni dello status quo, in barba alle condizioni dominanti e ai discorsi imperanti. Sono giochi sul senso, altamente semiotici in quanto rimettono in discussione i consueti regimi di significazione, le pratiche linguistiche consolidate intorno alle quali si è fondata tutta una sovrastruttura di potere che esercita il suo poter-far-fare/pensare proprio grazie all’esercizio del linguaggio. Quello che risulta essere una peculiarità della SF è uno “sguardo” particolare rispetto alla configurazione di senso del mondo e della narrazione.
È un’idea profondamente radicata nella SF, quella del linguaggio che cambia il mondo, che riflette e costruisce la società dove circola, divenendo sia moneta di scambio che collante sociale.
Dick stesso, riprendendo la lezione di Orwell, afferma a più riprese che “chi controlla il significato delle parole controlla anche chi usa quelle parole” e pone questa proposizione come base dei suoi universi, e nel farlo ci autorizza ad usare la semiotica come strumento per controllare la temperatura di questo cambiamento.

1.1 Ai confini della realtà. La vita di Philip K.Dick

La vita di Philip K. Dick e la sua opera, così come il suo pensiero espresso in forma saggistica ed epistolare, formano un insieme coeso di difficile scissione o – per dirla in termini semiotici – costituiscono un tutto di significazione[13]. È solamente a titolo euristico che compiremo un’operazione fuorviante come quella di dividere tra loro eventi in realtà compresenti e perlopiù coincidenti. Ne La Semiosfera il semiologo Jurij Lotman sottolinea:

Come un volto, che si riflette in uno specchio, si riflette anche in qualunque suo frammento, che appare così una parte dello specchio e nello stesso tempo simile ad esso, nel meccanismo semiotico il singolo testo è per certi aspetti isomorfo al mondo testuale. Esiste infatti un evidente parallelismo fra la coscienza individuale, il testo e la cultura nel suo insieme.

(Lotman 1985, p.66)

Ci riferiremo quasi esclusivamente alla biografia ufficiale di Philip Dick redatta da Lawrence Sutin, riconosciuta da tutti (compreso Paul Williams, suo primo esecutore testamentario) come la più completa e accurata. Useremo il tempo presente per rendere l’attualità del vissuto dickiano.

Vita di Philip K. Dick

1928-1944 anni giovanili (0 – 16 anni)

Il trauma della morte di Jane rimase l’evento centrale della vita psichica di Phil. Tale tormento si estese lungo tutta la sua esistenza, manifestandosi in rapporti difficili con le donne, in un’attrazione a risolvere i dilemmi dualistici – fantascienza/mainstream, reale/falso, umano/artificiale – e, alla fine, nella cosmologia dalla duplice origine descritta nel suo capolavoro Valis (1981).

(Sutin 2001, p.31)

PKD e il padrePhilip Kindred Dick nasce a Chicago il 16 dicembre 1928, frutto di un parto gemellare, figlio di un funzionario del Ministero dell’Agricoltura, Edgar Dick, e di sua moglie Dorothy. Dopo poche settimane, agli inizi del 1929 la sorellina Jane Charlotte muore per le insufficienti cure ricevute, aprendo una ferita insanabile nella vita di Philip. I genitori divorziano nel 1933 in piena Depressione, in seguito al rifiuto di Dorothy di seguire Edgar in Nevada, dove si trova il suo nuovo posto di lavoro. Poco dopo il piccolo Phil si traferisce con la madre a Washington, dove frequenta i primi anni delle elementari prima di tornare definitivamente nella San Francisco Bay Area nel 1938. A questa giovane età Philip manifesta, oltre ad una propensione verso la scrittura di poesie e racconti, anche i segnali di una salute cagionevole, con disturbi di carattere psicosomatico come l’agorafobia, la difficoltà a deglutire e la tachicardia, uniti ad un odio quasi viscerale nei confronti delle strutture scolastiche. A 12 anni scopre la fantascienza per caso comprando Stirring Science Stories in edicola, una delle tante pubblicazioni di SF di quegli anni, che insieme ai fumetti e alle riviste “pseudoscientifiche” sono le letture preferite di Phil.

1944-1950 (16 – 22 anni)

Ricordo, ero un adolescente e andavo da uno psichiatra – avevo dei problemi a scuola – e gli dissi che avevo incominciato a domandarmi se il nostro sistema di valori – ciò che è giusto e ciò che è sbagliato – fosse vero in senso assoluto o se non fosse semplicemente relativo, dal punto di vista culturale. E lui mi disse: «Questo è un sintomo della tua nevrosi, il fatto che dubiti di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato».

(Sutin 2001, p.70)

Insediatosi a Berkeley, frequenta la Berkeley High School, cosa che non riesce a placare, semmai acuisce i suoi attacchi di asma, tachicardia e di vertigini. Molti lo descrivono come un ipocondriaco nei confronti delle sue condizioni mentali, motivo per il quale va regolarmente da uno psichiatra, verso cui nutre un certo risentimento. Ancora alle superiori Philip comincia a fare dei lavoretti come commesso alla University Radio e poi presso l’Art Music, entrambi di proprietà di Herb Hollis. Come rileva Sutin,

i valori che Hollis e la sua strana ciurma incarnavano – competenza, lealtà, indipendenza di spirito, il piccolo individuo che sa ergersi al di sopra del cartello corporativo privo d’anima – formarono il credo sociale cui Phil si attenne attraverso tutte le mutevoli realtà della sua narrativa.

(Sutin 2001, p.71)

Appassionato di musica classica, per qualche tempo cura un programma alla radio locale. Sempre al negozio di Hollis conosce Jeannette Marlin, la sua prima moglie anche se per breve. Abbandona l’università per un esaurimento nervoso.

1950-1958 (22 – 30 anni)

PKD a 25 anniOrmai a ventidue anni, dopo aver abbandonato l’università per il suo innato pacifismo oltre che per i sempre presenti motivi di salute, Philip conosce Kleo Apostolides, che diventa una moglie comprensiva e stimolante dal punto di vista intellettuale. In quegli anni Dick si divide tra il lavoro e la casa, e proprio grazie al lavoro all’Art Music che conosce Anthony Boucher, incontro decisivo per la sua futura carriera di scrittore. A lui infatti vende il suo primo racconto fantasy «Roog», incentrato sul punto di vista di un cane. A questo punto, con un vero e proprio boom del mercato delle testate fantascientifiche (nel 1953 uscivano regolarmente ben 23 riviste di SF) Phil “in un impeto faustiano” lascia ogni altra occupazione per dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. Nel 1952 approda all’agenzia Scott Meredith, alla quale resterà legato con qualche breve eccezione, per tutto il resto della sua carriera.
Anche se riesce ad appagare la sua più grande ambizione che è quella di scrivere, Phil si sente frustrato per lo scarso ‘salario’ del suo lavoro, versando spesso in condizioni di miseria economica.
Ha un’enorme conoscenza di argomenti quali la letteratura, la teologia e la musica classica, ma questo non basta per farlo accettare come un “artista” nell’ambito in cui si trova. Fuori dalle convention di SF – curiose comunità frequentate da trolls e wackos, “eccentrici” – dove si sta facendo un nome, egli viene per lo più considerato un poveraccio che si guadagna da vivere scrivendo fesserie. Dick chiaramente soffre molto questi malvagi pregiudizi, che non solo relegano la SF a genere paraletterario, ma con ogni probabilità gli impediscono di vendere i suoi romanzi mainstream alle casi editrici dell’epoca. Per tutti gli anni ’50, di fatto, Dick si dedica in maniera assidua ad una produzione non di genere, nutrendo la nascosta ambizione di venire pubblicato fuori dal circuito delle riviste pulp e degli Ace Double[14]. Nondimeno in occasione di questi incontri, come nella Science Fiction Worldcon del 1954, fa la conoscenza di giovani fan, come Harlan Ellison, e scrittori affermati come A.E.Van Vogt e Poul Anderson. Dal 1951 al 1958 scrive un’ottantina di racconti e 13 romanzi, sei di fantascienza , sette mainstream; il 1954 in questo senso rappresenta l’anno di svolta in favore dei romanzi.

1958- 1963 (30 – 35 anni)

A fine estate del 1958 Philip e Kleo si trasferiscono a Pont Reyes Station, allontanandosi da Berkeley. Dopo un breve periodo di felicità, il loro matrimonio entra in crisi grazie all’incontro della coppia con Anne Rubenstein, una colta e facoltosa vedova che abita in zona. Phil e Anne intrecciano una relazione che provoca chiaramente il divorzio con Kleo. Le vicissitudini di Philip e Anne sono narrate, con buona aderenza ai fatti reali, nel suo romanzo mainstream Confessioni di un artista di merda. Nel ‘59 Phil, trasferito nella “vistosa” casa di Anne, la sposa.

PKD e Anne

La sua prima figlia, Laura Archer Dick, nasce nel 1960. A quel tempo Phil vagheggia addirittura di lasciare la scrittura – in quanto poco remunerativa – per aiutare l’attività di creazione e commercio di gioielli che Anne ha messo in piedi. Fortunatamente il risentimento di Dick sfocia in un altro esaurimento nervoso dal quale ne esce vittorioso con il suo primo capolavoro: L’uomo nell’alto castello, che gli varrà il massimo riconoscimento letterario all’interno del circuito SF, il Premio Hugo. In quegli anni scrive anche Noi Marziani, “uno sguardo umano e divertito sulla vita delle colonie terrestri in lotta su Marte”.

1963-1965 (35 – 37 anni)

Nel 1963-1964 Phil scrive ben 11 romanzi di fantascienza, tra cui spiccano Cronache del dopobomba, Follia per Sette Clan e Le tre stimmate di Palmer Eldritch. Malgrado le discussioni e i rapporti con Anne assumano toni sempre più accesi, Philip Dick “prospera nel caos”, riuscendo ad autoimporsi una disciplina fuori dal comune. A metà del 1963, mentre attraversa un periodo di isolamento e angoscia, Philip ha un’orrenda visione nel cielo di West Marin: una faccia metallica e crudele sembra scrutarlo. In seguito a questa Visione, Phil si rivolge alla religione in preda ad una crisi spirituale, ma l’incontro con lo gnosticismo di certo non favorisce la scomparsa della sue paure. Non bisogna dimenticare che in quel periodo Philip assume crescenti quantità di anfetamine per sostenersi e scrive Palmer Eldritch proprio sotto l’effetto di tali sostanze unite ad altre non meglio precisate «sostanze psichedeliche». Nel 1964 Dick affronta la sua terza separazione, divorziando da Anne e ristabilendosi nell’ambiente sociale della Bay Area. Per qualche mese convive con Grania Davidson, futura scrittrice di SF, che così lo ricorda:

Certo che era pazzo, come una civetta. Ma era anche molto più di tutto questo, aveva una personalità ricca e complessa. La pazzia costituisce solo una sfaccettatura di quest’uomo incredibilmente complesso, brillante, autenticamente mistico, assolutamente umano.

(in Sutin, op.cit.)

La loro casa di East Oakland è un salotto sociale della fantascienza, con una cerchia di amici composta da Ray Nelson, Poul e Karen Anderson, Marion Zimmer Bradley e altri. Sempre solo e alla ricerca di qualche musa candida e gentile che lo affianchi, Philip tenta un paio di flirt occasionali prima di impelagarsi con una ragazza di ventuno anni con i capelli scuri, Nancy, che di lì a poco sarebbe diventata sua moglie.

PKD e Isa

1965-1970 (37 – 42 anni)

In un momento dapprima molto felice Philip si innamora di Nancy, ragazzina ventunenne con problemi simili ai suoi, come a cercare vicendevole sostegno. Quando Nancy rimane incinta, si sposa nel ‘66  per la quarta volta; la loro figlia Isolde Freya nasce il 15 marzo 1967. Nonostante l’ubiquo pericolo della povertà in canna e le preoccupazioni legate alla nascita della seconda figlia, Dick scrive in quei prolifici anni nove romanzi completi, parti di altri tre e numerosi racconti e saggi. Tre fra i suoi romanzi migliori risalgono a questo momento: In senso inverso, Ma gli androidi sognano pecore elettriche? e Ubik, che gli vale addirittura la nomina di membro onorario al College de Pataphysique. Rammenta Sutin che “durante la composizione di Scorrete lacrime, disse il poliziotto, nel 1970, fece sgorgare centoquaranta pagine in una seduta di quarantott’ore”. Gli stimolanti lo mettono in condizione di lavorare con poche ore di sonno e gli alleviano le sue brucianti depressioni. Sempre in quel periodo conosce una persona molto importante: James A. Pike, il vescovo episcopale della California. Divengono amici molto intimi grazie alla loro abilità nelle ardite speculazioni a carattere teologico, che confluiranno in buona parte nelle opere di finali di Dick e specialmente in Labirinto di Morte e La trasmigrazione di Timothy Archer.

Phil non ama le spiegazioni «occulte» che evitano un’analisi rigorosa, è piuttosto scettico riguardo ai fenomeni psichici, ma l’esperienza con un «trip» di mescalina gli dà l’idea per un romanzo (Scorrete lacrime) e gli fa provare “una sorta di amore mistico per gli estranei”, cosa che lo porta ad aprire la propria casa ad un incontrollato flusso di sbandati e perdigiorno accomunati dall’interesse per la droga. Conseguenza e causa di questo comportamento è l’abbandono di Nancy, che porta Isa con sé poiché non poteva più far fronte all’accoppiata di droghe & depressioni, che affliggono Philip ormai in maniera cronica. È necessario ricordare che “lo Zeitgeist degli anni Sessanta conferiva alle droghe una patina di gloria e avventura oggi del tutto assente” e Dick, pur non essendo un convinto assertore delle droghe, ne fa un uso “convenzionale”. Testimonianza di questo atteggiamento ambivalente è la sua partecipazione alla “antologia psichedelica” di Harlan Hallison Dangerous Visions, a cui Dick partecipò con un racconto – La fede dei nostri padri – che nelle intenzioni del curatore avrebbe dovuto essere composto sotto dettatura mescalinica, ma in realtà, come ammette più tardi lo stesso Dick, non è stato scritto in tali condizioni. Alla convention SF Baycon del 1968, ufficiosamente chiamata «Drugcon», in un contesto su di giri Philip Dick fa amicizia con altri scrittori di SF come Philip José Farmer, Ray Bradbury, Robert Silverberg, Fritz Leiber, Norman Spinrad e Roger Zelazny (con cui dopo collaborerà per Deus Irae). Nonostante questo, di certo non si può interpretare la portata del pensiero dickiano leggendolo come una cartina al tornasole di un consumo sfrenato di droghe allucinogene; prova ne è la dimensione del suo corpus letterario, inimmaginabile senza un’abbondante dose di disciplina[15].

1970-1972 (42 – 44 anni)

K. Reeves in A Scanner Darkly (2006)

Quello che avete letto è un romanzo che riguarda alcune persone che sono state punite eccessivamente per quello che hanno fatto. Volevano divertirsi, ma si comportarono come quei bambini che giocano per strada, che per quanto possano vedere come ciascuno di loro, l’uno dopo l’altro, rimanga ucciso, travolto, mutilato, annientato, non per questo smettono di giocare. Per un certo lasso di tempo noi tutti siamo stati davvero felici, seduti qua e là senza faticare, semplicemente pazzeggiando e giocando. Ma questo lasso di tempo è stato terribilmente breve e la punizione che ne è seguita è stata al di là di ogni immaginazione, e anche quando infine la vedemmo abbattersi su di noi, non riuscivamo a crederci.

«Nota dell’autore», Un oscuro scrutare (1977)

La struggente nota posta da Dick a conclusione di uno dei più bei romanzi sulla droga mai scritto, ben descrive la “valle di lacrime” in cui si muove negli anni successivi all’abbandono della sua quarta moglie e di sua figlia Isa. A peggiorare le cose ci sono le perdite ravvicinate di due grandi figure paterne per Dick: Anthony Boucher ed il vescovo Pike.

Isolato dal mondo, lo scrittore sente il bisogno di circondarsi di vita a qualunque costo, per non cedere alle derive schizofreniche che insidiano la sua psiche in costante pericolo. La quantità di droga e musica (si spazia da Mozart ai Grateful Dead) a tutto volume nella casa di Santa Venetia è inferiore solamente alle vette di paranoia che Philip può raggiungere; non passa giorno che egli non tema i comunisti, i nazisti, l’FBI e la CIA.

Vive in una costante situazione di allarme per qualche pericolo imminente che possa sconvolgere il precario equilibrio creato in quel piccolo universo che è casa sua, dalla quale non esce mai. Nel novembre del 1971, proprio quando la sensazione di pericolo si fa più vivida, la sua casa subisce un furto con scasso del quale non si scoprirà mai il responsabile; Phil sforna un elenco di sospettati lunghissimo che, molto dickianamente, comprende anche lui stesso.

1972-1974 (44 – 46 anni)

Nel 1972 Philip Dick viene invitato in Canada come ospite d’onore di una convention di SF; il suo saggio L’androide e l’umano è accolto talmente bene che Phil per qualche tempo pensa di trasferirsi in Canada. Purtroppo fantasmi vecchi e nuovi (certi “mafiosi” che lo caricano in limousine facendogli domande che non ricorda), uniti alla solitudine, lo spingono verso l’ennesimo e quasi riuscito tentativo di suicidio l’anno seguente a Vancouver. Dopo un breve soggiorno alla clinica X-Kalay per disintossicarsi dalle anfetamine, Philip torna a Fullerton, ricevendo diverse offerte d’aiuto. Qui conosce quella che diventerà la sua quinta moglie, Tessa Busby, chem nel 1973 gli dà il suo primo figlio maschio, Christopher. In quell’anno, mentre lavora ad Un oscuro scrutare, Phil si trova al centro dell’attenzione pubblica, la BBC e una troupe francese vengono per riprenderlo a Fullerton; tra i giornali il Vertex e il London Daily Telegraph lo intervistano mentre la Entwhistle books manifesta l’intenzione di pubblicare Confessioni di un artista di merda.

Febbraio 1974- febbraio 1975 (46 – 47 anni)

16 marzo 1974: è apparso – in un fuoco vivo, dai colori splendenti e dai motivi ben equilibrati – e mi ha liberato da ogni schiavitù, interna ed esterna.

18 marzo 1974: Esso, da dentro di me ha guardato fuori e ha visto che i conti del mondo non tornano, che a me – e a lui – hanno mentito. Ha negato la realtà, e il potere e l’autenticità del mondo, dicendo: «Ciò non può esistere; non può esistere».

20 marzo 1974: Si è completamente impadronito di me, sollevandomi dai limiti della matrice spazio-temporale; mi ha dominato mentre, allo stesso istante, sapevo che il mondo attorno a me era irreale, era una finzione. Grazie alla sua forza ho inteso, tutto d’un tratto, l’universo per quello che è; grazie alla sua capacità percettiva ho visto cosa esisteva realmente, e grazie alla sua forza di decisione senza pensiero ho agito in modo da liberarmi. Ha ingaggiato battaglia, da campione di tutti gli spiriti umani in schiavitù, contro ogni male, ogni Cosa di Ferro che ci imprigiona.

(Sutin 2001, pp. 243-4)

ValisQuesto è un anno cruciale per Philip K. Dick. Quello che accade nel corso di questo spazio di tempo sarà al centro delle quasi ottomila pagine redatte da Phil nella sua Esegesi. Ripercorrendo i fatti immediatamente antecedenti all’evento troviamo un Dick sempre più esasperato dalle responsabilità di una nuova paternità, terrorizzato dal fisco e attanagliato da dolori fisici e mentali (parla di «psicosi totale»). Ma la sua vita è giunta ad un punto di svolta: la rivelazione tanto bramata arriva sotto le parvenze di una bella ragazza venuta a portargli un antidolorifico per il suo dente del giudizio.

Aprendo la porta Dick rimane letteralmente “abbagliato” da un ciondolo a forma di pesce dorato e si ritrova in balia di una forza ignota, sperimentando un’anamnesi, ovvero un recupero di vite passate e ricordi genetici. A questo affascinante episodio della sua vita, il mito del fumetto underground americano Roger Crumb dedicherà le otto tavole che analizzeremo nel terzo capitolo, quindi eviteremo di entrare troppo nel dettaglio. La cosa importante non è tanto cosa realmente sia avvenuto – che non ci è dato sapere – ma cosa quell’avvenimento ha rappresentato per Phil, all’interno della sua vita psichica. Secondo Dick, infatti, c’è stato un contatto con l’elemento divino, l’irruzione di una forza primigenia che lo ha messo in contatto con un’altra entità dentro di sé. La sua mente diviene teatro di un’intensa «attività fosfenica[16]»

Per quasi otto ore continuai a vedere  questi spaventosi vortici di luce, se così si può dire; ruotavano di qua e di là, e si spostavano a velocità incredibile. La cosa più dolorosa era la rapidità dei miei pensieri, che sembravano in sincronia con le luci; era come se io stesso mi muovessi e le luci fossero immobili.

Ma il più sensazionale di tutti i cambiamenti fu l’avvento del raggio di luce rosa che sparava informazioni nel cervello di Phil. […] incominciò a vedere immagini rettangolari rosa sulle pareti del loro appartamento anche quando non aveva ancora guardato l’insegna del pesce alla luce del sole. Quando lo colpiva, il raggio di luce rosa era accecante, come un flash che scattasse sulla faccia di Phil. Il raggio era ricco di informazioni e pieno di sorprese a carattere spirituale.

(Sutin 2001, p. 242, 247)

Phil è sicuro di comunicare con un ente dopo il 2-3-74: lo chiama VALIS, acronimo di Vast Active Living Intelligence System.

Come nota spiritosamente Sutin,

in America, se uno è abbastanza sfortunato da avere delle visioni dalla parvenza spirituale, è meglio che queste siano conformi alle dottrine di una qualche chiesa ufficiale. Se così non è si diventa pazzi, punto e basta.

(Sutin 2001, p. 250)

E più avanti, precisa:

Phil non aderiva a nessun singolo credo. L’unica tradizione che indubbiamente gli apparteneva era quella della fantascienza – che esalta il «What If», al di sopra di ogni altra cosa. Nel 2-3-74 tutti gli «E se…» erano mischiati tra di loro.

(Sutin 2001, p. 262)

Philip non solo non riesce ad incastrare le visioni in una dottrina precostituita, ma come sempre si trova alle prese con la sua salute cagionevole, slogandosi la spalla già malandata mentre gioca a baseball; in cambio però riceve un’informazione che salverà la vita a suo figlio. Il raggio rosa, infatti, lo informa della grave ernia inguinale non diagnosticata che affligge Cristopher, con una precisione e un tempismo che riusciranno a salvare il piccolo giusto in tempo.

In questo annus mirabilis, denso di visioni e comunione mistica con l’universo, Dick riceve anche i primi seri corteggiamenti da parte di Hollywood, che lo farà penare non poco nei suoi ultimi anni di vita. Diversi libri vengono opzionati: da Tempo Fuori Luogo a Le tre stimmate di Palmer Eldritch, da Ma gli androidi sognano pecore elettriche? a Ubik, che addirittura mobilita il regista outsider francese Jean-Pierre Gorin, il quale, oltre ad avere collaborato con Jean-Luc Godard, aveva interessato anche Francis Ford Coppola alla produzione. Purtroppo queste vicende hollywoodiane non troveranno un’attualizzazione che alla sua morte. Rilascia anche una lunga intervista a Rolling Stone, nel corso della quale discute con Paul Williams di molti aspetti implicati nei suoi libri e approfondisce le sue teorie sull’intrusione subita nel ’71, in un crescendo di paranoia che culminerà con la lettera Xerox, una missiva che doveva annunciare la sua morte.

Sutin ricorda che anche ipotizzando che le sue percezioni siano state alterate da una lesione al lobo temporale, in ogni caso egli sarebbe in buona compagnia, visto che anche Dostoevskij e Pascal soffrivano gli stessi sintomi.

1975-1978 (47 – 50 anni)

Dopo l’ennesimo abbandono di Tessa, dovuto alle tensioni familiari, Phil prova per l’ultima volta a togliersi la vita ingerendo quarantanove tavolette di digitalina, un vasto assortimento di pillole e mezza bottiglia di vino, tagliandosi il polso sinistro e sedendo nella sua Fiat dentro il garage col motore acceso. Benché abbia previsto tutto, fortunatamente non riesce nell’intento. Dopo il mancato suicidio, Phil lascia Tessa e nell’estate del 1976 si trasferisce in un condominio a Santa Ana. Comincia a vedersi con Doris Sauter, con cui intrattiene una relazione sempre più stretta, alternando momenti di pace e beatitudine ad altri di gelosia e isolazionismo, condizione che gli è vitale per scrivere.

In seguito alla sua divina invasione, Dick si ritrova totalmente coinvolto nel tentativo di comprendere la sua esperienza, sia dal punto di vista razionale che metafisico. Lo fa con l’Esegesi, un monumentale documento di oltre ottomila pagine scritto a mano.

Inaugura un lungo periodo di ricerche che lo portano ad investigare dalle opere sul pensiero gnostico, orfico e zoroastriano alle concezioni orientali del buddismo, passando per l’attenta consultazione dell’ Encyclopaedia Britannica e dell’ Encyclopaedia of Philosophy.  Elabora delle nuove teorie alla luce delle recenti scoperte in campo scientifico, come quella del «Principio Zebra» (legge sul mimetismo animale nata dallo studio degli uccelli che Dick applica al contesto umano) o, ancora, le proporzioni del rettangolo aureo (studiate da Fibonacci) o le ricerche sugli emisferi del cervello.

Dick prova a sistematizzare un sapere vastissimo, traendo le somme della sua opera, per interpretare gli eventi del 2 marzo 1974, alla ricerca del loro senso più profondo, ma non è impresa facile.

A quest’epoca risalgono i saggi Cosmogonia e Cosmologia e Come costruire un mondo che non cada a pezzi dopo due giorni, in cui egli vede in alcuni “valori rivisitati” la possibilità di arrivare al cuore della realtà: l’amore, la ribellione, l’umorismo, la determinazione, i piccoli valori.

Nella sua vita esteriore Dick guadagna preziosi amici e comincia a sperimentare la fama; nel 1977 infatti, è chiamato in Francia per il Festival di SF di Metz e viene accolto come il più grande scrittore di tutti i tempi, il suo discorso si intitola «Se vi pare che questo mondo sia brutto dovreste vederne qualcun altro». Intanto in patria trova il “pungolo” teorico di K.W.Jeter, suo carissimo amico e apprendista con cui scopre nuovi input (Discreet Music di Brian Eno e L’uomo che cadde sulla terra con David Bowie) e sperimenta alcune soluzioni linguistiche (il cut-up); a Jeter dedicherà un’intensa introduzione per il suo Dr. Adder.

È un momento felice per chi, come Dick, ha necessità di sicurezza e amicizia, poiché trova anche la preziosa guida e il conforto di Russel Galen, neoassunto all’agenzia Meredith, che riesce a fargli superare la sua impasse creativa, e a cui dedica Valis per avergli “indicato la via”.

Dopo quattro anni di interrogativi su quale forma narrativa dovesse assumere il 2-3-74 e se fosse possibile romanzare qualcosa che forse non era accaduto, Dick trova di nuovo le motivazioni e l’aiuto di cui aveva bisogno per continuare a scrivere.

1978 – 1982 (50 – 54 anni)

PKD

Philip comincia a ricevere il meritato compenso per chi lavora con la fantasia; i soldi che gli arrivano dai proventi delle sue vendite editoriali e le opzioni dei suoi libri per il cinema per la prima volta stabilizzano la sua situazione economica. Ma Phil non si sente tranquillo, deve sistemare una questione in sospeso: drammatizzare gli eventi del 2-3-74. Nonostante la sua vita esteriore assuma un andamento routinario grazie ai suoi fedeli amici che lo circondano, Dick sfodera in rapida successione quella che sarà conosciuta come la Trilogia di Valis, a cui andrebbe aggiunta Radio Libera Albemuth, nella veste di prologo. Nel ’78 completa Valis e nel 1980 in due settimane scrive di slancio anche Divina Invasione, originariamente intitolato Valis Regained, che unisce le idee religiose ad una trama SF di invasione.

A questo punto subentra l’imponderabile, il 17 novembre 1980 si riaccende il contatto diretto col divino; nelle cinque pagine che Phil scrive a caldo dopo la «teofania» per la sua Esegesi, si trova alle prese con l’Infinito. Chiaramente è una partita che rimane aperta.

L’ultimo romanzo che Dick riuscirà a completare è La Trasmigrazione di Timothy Archer, l’esplorazione dell’anima di un uomo, modellato sul vescovo Pike, alle prese con le sue ossessioni. Ma Philip è sempre più stanco di tutto e di tutti. Sente che la sua ora si avvicina inesorabile e infelice per l’incompiutezza della sua ricerca spirituale (l’Esegesi), abbandona anche l’ultimo progetto che aveva in cantiere, The Owl in Daylight.
L’ultima cosa che Dick fa è sostenere che la conoscenza della «iper-struttura» dell’universo è possibile. Potrebbero evolversi in nuove specie, con un più alto livello di coscienza rispetto agli umani, e la «iper-struttura» è impegnata attivamente in questa evoluzione.

Nel 17 settembre 1981 si sveglia in preda ad una visione ipnagogica del Salvatore, che si chiama Tagore e si trova a Ceylon.

Con l’intervistatore Gregg Rickman parla molto degli avvenimenti che stanno caratterizzando quel periodo, la sua visione di Tagore, la sua esperienza religiosa e Valis sembrano trovare conferma anche nelle affermazioni di un artista ed esoterista inglese, Benjamin Creme, che annuncia l’imminente arrivo della seconda reincarnazione del Cristo, futuro Buddha.

Ho capito: ho un potere. In termini di cosa scrivo & in termini di cosa faccio con i soldi che mi guadagno scrivendo. La parola chiave è efficacia. Mi interessa soltanto una cosa: invece di essere modellato dalla società, voglio modellarla io (1) con i miei scritti, (2) con ciò che faccio con i miei soldi, (3) nelle interviste, (4) nei film (…) Stanno emergendo immense dottrine (…) Ecco dove porta l’intera opera: è un’anticipazione del regno imminente di Dio. In altre parole il kerygma.

(Sutin 2001, p.320)

Philip K. Dick termina la sua esistenza terrena il 2 marzo 1982. Riposerà vicino sua sorella Jane a Fort Morgan, in Colorado.

1.2 “Qualcosa di vivo, mobile e lucente”. Il corpus narrativo di PKD

L’opera di Dick non è solo un complesso sistema testuale, ma – utilizzando una metafora – un vero e proprio generatore di testi, in prospettiva semiotica un serbatoio narrativo e discorsivo in grado di riprodursi attraverso adattamenti e trasposizioni non solo intrasemiotiche (letteratura di genere e non), ma anche intersemiotiche (cinema, televisione, radio). Per questo motivo consideriamo necessario un approccio globale alla sua produzione, proprio alla ricerca di quella coesione interna che caratterizza l’intera mole di scritti dickiani. Nelle pagine che seguiranno non ci arresteremo nell’analisi semiotica dell’opera di Dick, analizzando minuziosamente i suoi romanzi innanzitutto perché sarebbe operazione troppo complessa ed estesa considerata la dimensione del suo corpus narrativo, in secondo luogo perché ci farebbe sviare dal problema specifico della nostra analisi, ovvero gli attraversamenti tra i diversi linguaggi.

Prenderemo in esame quindi queste quattro tipologie espressive (i racconti, i romanzi, i  saggi e l’Esegesi), consapevoli che solo la loro concatenazione rende giustizia al tutto-di-significazione dickiano, introducendo fin d’ora un elemento di primaria importanza, non ancora affrontato dalla critica, il quale può offrire una nuova chiave di lettura per l’opera dello scrittore californiano. Metteremo in relazione la figura di Dick con quella di un altro scrittore di fantascienza, Rudy Rucker, e con la sua concezione di scrittura, così come viene esposta nel suo Manifesto del Transrealismo. Ci sembra che quest’ulteriore riflessione sul ruolo della vita all’interno della narrazione possa chiarire una questione importante e quanto mai dibattuta: quanto la vita di un autore entra nei suoi scritti, e in che modo?

1.2.1 Dick e il Transrealismo

La mia opera di scrittore, in toto, rappresenta il tentativo di prendere la mia vita, e tutto quanto ho visto e fatto, riplasmarla in modo da conferirle senso.

Philip K. Dick

Il matematico e scrittore americano Rudy Rucker, teorizzatore della corrente letteraria del Transrealismo, è considerato da molti il padre del filone del cyberpunk insieme ad alcuni maestri indiscussi del genere come William Gibson e Bruce Sterling.

Diciamolo subito, Dick può essere a ragione considerato il precursore, fondatore e massimo esponente del Transrealismo. Precursore, perché scrive prima di Rucker. Fondatore, perché per primo capisce la potenza dell’accoppiata vita reale ed espedienti SF.
Motivando questa asserzione possiamo senz’altro ricordare che due romanzi di Rudy (Software e Wetware) hanno vinto il Philip K. Dick Award, il che certamente tradisce una marcata affinità tra i due scrittori californiani. Se non bastasse, aggiungiamo che Rucker usa come strumenti la teoria del caos e le geometrie dei frattali (gli insiemi di Mandelbrot) per rendere visibili percezioni rispetto alle quali usualmente non viene prestata attenzione.
Rucker come Dick ha espresso le sue convinzioni in forma saggistica, facendo ricorso alle scienze esatte in misura molto maggiore rispetto agli argomenti filosofici, ma ottenendo spesso risultati simili, specialmente ragionando su temi quali il tessuto tempo-spaziale, la quarta dimensione e l’infinito.
Lo scritto teorico dove Rucker rivela chiaramente le sue intenzioni è senz’altro il Transrealism Manifesto[17], un documento nel quale auspica un superamento dei clichés di produzione letteraria verso una forma di letteratura avanguardistica che prenda a piene mani dalla vita vissuta.

Secondo il primo dettame del manifesto «il transrealista scrive sulle immediate percezioni in un modo fantastico» per questo motivo «i personaggi dovrebbero essere basati su persone vere» e conclude: «il Transrealismo è una forma d’arte rivoluzionaria».
Non bisogna forzare l’immaginazione per rendersi conto che l’intera poetica del Transrealismo è parte integrante della produzione dickiana, che si pone come vera e propria opera d’arte transrealistica ante litteram.

Riguardo Le Tre Stimmate di Palmer Eldtritch, lo stesso Dick afferma:

[…] è un romanzo che venne fuori da potenti paure ataviche presenti in me, paure che risalivano alla mia prima infanzia e senza dubbio si ricollegavano al mio dolore e alla solitudine di quando mio padre ci abbandonò. Nel romanzo mio padre appare sia come Palmer Eldritch (il padre cattivo, il padre-maschera diabolica) che come Leo Bulero, l’individuo tenero, burbero, caloroso, affettuoso, umano. Il romanzo che ne scaturì proveniva dalla più grande angoscia possibile […]

(Sutin 2001, p. 248)

Riguardo la consonanza tra sentimenti provati e passioni espresse nei suoi romanzi, Dick ebbe a dire che ne Le Tre Stimmate di Palmer Eldritch

L’orrore e la paura espressi nel romanzo non sono sentimenti artificiali escogitati per interessare il lettore; vengono dalla parte più profonda di me; il desiderio del buon padre e la paura del padre maligno, il padre che mi ha lasciato

(Sutin 2001, p.157)

Dick è un autore Transrealista in quanto applica il principio di “scrivere sulle sue percezioni immediate in modo fantastico”, come nel caso della faccia di metallo che prende forma nel cielo di West Marin, che diventa il volto di Palmer Eldritch, o le bambole Perky Pat, protagoniste dei mondi simulati dei coloni su Marte.

Scrivere delle percezioni immediate in una forma fantastica, basare i personaggi su persone reali, iniziare un libro senza sapere come finirà, è esattamente ciò che ha fatto Philip K. Dick nel corso della sua carriera. Racconto dopo racconto, inizialmente, e in seguito romanzo dopo romanzo, i personaggi prendono vita e PKD si lascia imprigionare dai mondi che narra, riuscendo a malapena a distinguere gli eventi narrati da quelli vissuti, in una confusione estrema di semiotiche. La sfera narrativa prende terreno su quella esperienziale al punto che Dick si trova nella paradossale condizione più di una volta a scrivere di persone che conobbe solo in seguito o ancora a vivere situazioni esattamente come le aveva descritte nel suo libro. Un testo esemplare che ha dato adito a parecchie sovrapposizioni tra realtà e finzione è sicuramente Flow My Tears the policeman said, scritto in un lasso di tempo brevissimo (Dick confessa di averne scritto centoquaranta pagine sotto dettatura mentale in una sola seduta notturna). Personaggi che Dick avrebbe incontrato e scene che avrebbe vissuto vengono descritte fin nei minimi dettagli, nomi compresi. Quando chiese lumi a un prete ricevette un parere sbalorditivo: «Quello che stai vivendo, ciò di cui hai scritto, corrisponde per filo e per segno agli eventi narrati nelle Confessioni degli apostoli Santi Pietro e Paolo», gli spiega l’uomo di Chiesa. Anche questa “spiegazione” ha già trovato una trasposizione filmica in Waking Life di Richard Linklater (di cui ci occuperemo nel secondo capitolo).

Riguardo al rapporto vita-fiction, un sardonico Dick sostiene:

Suppongo che sia così che va la vita: ciò che temi di più non si verifica mai, ma lo stesso vale anche per ciò che desideri di più. Questa è la differenza tra la vita e la fiction. Suppongo che ci guadagniamo nel cambio. Ma non ne sono sicuro.

(Sutin 2001, p. 249)

Nel Transrealismo, l’aspetto del “trans” è costituito dalla presa di coscienza che gli strumenti della SF non sono altro che aspetti facenti parte della vita, non escapismi futuristici o tecnologici. Geniale da parte di Rucker è la concezione che gli strumenti a disposizione dello scrittore di fantasy e di SF non siano meri espedienti narrativi per dare corpo alla trama, bensì simboli archetipici di modi di percezione. Il viaggio nel tempo è la memoria, il volo è l’illuminazione, i mondi paralleli rappresentano la grande varietà di visioni del mondo individuali e la telepatia sta per la capacità di comunicare pienamente. L’aspetto del “realismo” è il riconoscimento del fatto che “ogni valida forma d’arte si dovrebbe occupare del mondo nella maniera in cui realmente esso è”. Il transrealismo in quest’ottica cerca di cogliere sempre ulteriori rimandi sotto – o sopra – la superficie del reale, non accontentandosi di narrare ciò che appare come realtà.

Ancora una volta la California conferma il suo particolare eclettismo all’interno degli Stati Uniti d’America, divenendo culla dei movimenti (siano essi artistici, letterari, libertari, musicali) e proponendo nuove forme di socialità. La proposta di Rucker non ha nulla da invidiare ad altri manifesti (hacker, hippy, psichedelici). I punti programmatici sono chiari e semplici da seguire – come è tipico negli Stati Uniti – proponendo una corrente letteraria che è insieme anche uno stile di vita, secondo la way of life californiana. Rucker (classe 1946) è passato attraverso tutti i fermenti politici e culturali degli anni ’60, avendo conosciuto Allen Ginsberg e altri esponenti di quei movimenti che sembravano essere sul punto di riuscire a terremotare la società civile dei benpensanti americani. In quel periodo c’erano i Grateful Dead, che spargevano colonne sonore per le coscienze dilatate dei party allucinogeni della West Coast, creando un vero e proprio seguito di massa; il tutto mentre nella East Coast la factory di Andy Warhol animava gli Exploding Plastic Inevitable, che si fregiavano delle musiche distorte dei Velvet Underground.

Note

[1] D’ora in poi nel testo verrà indicato anche con la sigla PKD.

[2] Ci riferiamo marcatamente all’esplosione di cui parla Jurij M. Lotman nel suo saggio La cultura e l’esplosione, su cui torneremo nel secondo capitolo riguardante la semiosfera.

[3] D’ora in poi nel testo l’aggettivo fantascientifico e le sue declinazioni, così come il sostantivo fantascienza verrà indicato anche con la sigla SF (science-fiction).

[4] Alcuni testi che indagano in questa direzione sono tra gli altri Barbieri 1998, Pezzini, a cura, 2002, Peverini 2004 e Pezzini, Rutelli, a cura, 2005.

[5] Infra, l’intervista con Andrea Traina in Appendice.

[6] Nel senso esplicitato in Marrone 2001, Introduzione.

[7] Sutin L.2001 [1989] Divine Invasioni. La vita di Philip K. Dick, Roma, Fanucci.

[8] La pertinenza di queste tematiche nella vita e nelle opere dello scrittore hanno reso possibile l’organizzazione di un convegno a Vicenza il 17 marzo 2006 dal titolo Dalla crisi dell’umano alla creazione di nuovi mondi. Identità, sostanze e paranoia attraverso l’immaginario di Philip K. Dick.

[9] Ci riferiamo al recente volume di Franco Rella, Scritture Estreme. Proust e Kafka.

[10] Significativo in questo senso il titolo di un romanzo di PKD, La penultima verità, che come ha sostenuto Carlo Pagetti è il punto di arrivo delle indagini dickiane.

[11] In questa direzione si sono già attivate riflessioni psicologiche e filosofiche.

[12] Intra, Appendice.

[13] Riprendiamo l’utile nozione dalla semiotica generativa di Denis Bertrand.

[14] Gli Ace Double erano una collana della Ace che pubblicava, schiacciati come un sandwich, due romanzi di ventimila parole in un solo libro; con una copertina per ogni lato. “Terry Carr, un direttore di collane di SF, era solito dire una battuta: se la Bibbia fosse stata pubblicata come un Ace Double, sarebbe stata ridotta a due volumi di ventimila parole, il Vecchio Testamento con il titolo Il Signore del Caos e il Nuovo La Cosa con tre anime.” (cit. in Sutin 2001, p.87)

[15] Questa posizione, tra gli altri, è condivisa anche da Luca Briasco, Infra, Appendice.

[16] Da «fosfene»: Abnorme sensazione visiva di punti luminosi. Devoto-Oli, 1983, Vocabolario illustrato della lingua italiana, p.1083

[17] A questo link è possibile leggere il Manifesto del Transrealismo in lingua originale: http://www.streettech.com/bcp/BCPgraf/Manifestos/transreal.htm

Commenti

3 commenti a “La decostruzione della realtà. La semiosfera di Philip K. Dick (I)”

  1. Che dire?!?! Un grande lavoro! Complimenti!!! Elisa Gentile

    Di Elisa Gentile | 7 Ottobre 2011, 16:44
  2. Tesi elaborata, complessa, ben fatta e molto molto interessante. Bravo! Innocenzo Perrupato

    Di Innocenzo Perrupato | 7 Ottobre 2011, 16:45
  3. Grazie!! Ed è solo l’inizio della tesi.. Seguite le prossime uscite ed iscrivetevi alla newsletter del sito!

    Di Leonardo Vietri | 17 Ottobre 2011, 22:51

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