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Cinema

Gian Alfonso Pacinotti

Gipi, l’ultimo terrestre

Locandina del film "L'Ultimo Terrestre"Gipi mette KO il suo pubblico. Lo atterrisce con lo sguardo acuminato di chi è abituato a vedere il mondo con occhi diversi da quelli abituali. Sguardi carichi di satira graffiante, che lo hanno reso celebre nelle sue strisce per Internazionale, così come per Appunti per una storia di guerra (albo grazie al quale ha vinto ad Angoulême, unico italiano dopo Vittorio Giardino e Hugo Pratt).

Autore di culto della Coconino Press, Gipi (qui Gian Alfonso Pacinotti, in onore al padre che lo ha iniziato al mondo del cinema) lascia le matite e si mette dietro la macchina da presa per dipingere un ritratto impietoso e surreale della provincia italiana (o dell’Italia provinciale, che dir si voglia), filtrandolo con gli occhi alienati di un outsider alle prese con un mondo in fibrillazione per il prossimo arrivo degli alieni.

Dietro di lui, o meglio accanto, c’è la graphic novel di Giacomo Monti Nessuno mi farà del male, in cui l’autore offre uno specchio (rotto) composto da 18 frammenti attraverso i quali osservare quest’Italia “dimezzata”. Come sia possibile parlare del Belpaese tramite una storia che ha come filo conduttore l’amoralità elevata al rango di normalità e come protagonisti gente che va a puttane (il personaggio principale, Luca Bertacci) e gioca d’azzardo, trans, sfigati, bugiardi, è molestamente sotto gli occhi di tutti. Basta accendere i led del televisore o rimanere imbottigliati nel traffico per accorgersi quanta bestialità ci sia nei comportamenti che molti continuano a definire umani.

E a proposito di linguaggio televisivo, è Maria Cuffaro, giornalista del TG3 in persona ad indicare come la folla di fedeli e curiosi si sta preparando all’avvento degli alieni. Nonostante la citazione di un luogo inesistente, Petralla, e di un’enciclica papale mai scritta (Adventus Martianis) si scatena un putiferio mediatico sulla rete in risposta a questa campagna di viral marketing ben orchestrata [2].

Gian Alfonso Pacinotti, dal canto suo, con questo suo esordio ricevendo immediatamente un premio importante [1], di cui riportiamo la motivazione:

Un film diverso, surreale e divertente nel quale la storica provocazione di Orson Welles diventa oggi, tra spunti di fantasia e realtà quotidiana, un apologo sulla solitudine esistenziale in un mondo in cui i veri alieni sono, forse, proprio tra i terrestri. Un film che offre uno sguardo inedito sulla società e sugli affetti, ben sostenuto dagli interpreti e soprattutto da un protagonista che è un’autentica rivelazione.

Nonostante gli alieni (di gomma, per dimostrare il suo animo burlone) L’Ultimo Terrestre di Gian Alfonso Pacinotti non è un film di fantascienza, è bene chiarirlo subito. Forse lo potremmo chiamare fantastico, poiché prefigura una sorta di giudizio universale ad opera di entità extraterrestri che vengono a portare un po’ di giustizia in questa patria devastata. Come nella farsa di Flaiano, Un marziano a Roma, l’alieno è un pretesto per parlare della società circostante, di quell’alienazione strisciante che si prova ad essere diversi in un mondo che fa dell’omologazione culturale un valore dominante. Sulla relazione tra gli alieni e la storia da lui raccontata Gipi così si esprime:

Gli alieni non rappresentano i cattivi, ma hanno capacità di distinguere il bene dal male, e sbarcano in una società umana che, al contrario, non ha più chiari i propri valori, confusa e disillusa. […] Devo molto al cast: Gabriele Spinelli, il protagonista, è un attore di un’umanità profondissima, in cui penso il pubblico potrà ritrovarsi molto.

Spinelli ed Herlitzka

Per chi si nutre di immaginario, Gipi era uno degli ospiti più attesi dell’undicesima edizione del Trieste Science Plus Fiction Festival e Fucine Mute non poteva certo perdere l’occasione di intervistare per voi il grande disegnatore toscano, alla sua prima prova cinematografica. Ecco l’intervista tenutasi al caffé dell’Hotel Continentale, dopo l’incontro del venerdì mattina con il pubblico del festival.

Leonardo Vietri (LV): Siamo qui al Science Plus Fiction di Trieste, storico festival di fantascienza, e in questa cornice viene subito naturale chiederti dei tuoi rapporti con la fantascienza cinematografica.

Gian Alfonso Pacinotti (GP): Bé intanto io sono finito qui per errore, perché il mio non è un film di fantascienza. Il mio film ha dei marziani dentro ma io non avevo nessuna intenzione di fare un film di fantascienza. Riguardo ai legami con questo genere cinematografico sono ovviamente quei film con i quali sono cresciuto, Blade Runner, Alien e compagnia bella, e poi ero un lettore accanitissimo di Dick. Però davvero nel mio film c’è un po’ di fanta, ma non c’è scienza. C’è soltanto questa figura di alieno molto di gomma, molto fasullo.

LV: Prima scherzavi sulle voci che giravano sul set, ci puoi accennare al clima che si respirava sul set di Gipi?

GP: La cosa buffa della lavorazione del film è stata che sin dalla preparazione io mi divertivo molto e tutti mi dicevano: “Ti diverti adesso ma poi vedrai sul set, sarà un inferno”, invece io son stato benissimo anche lì. Poi chiaramente mi hanno detto: “sì ora ti diverti, ma poi vedrai in montaggio”. Invece in montaggio mi sono divertito lo stesso (ride). Mi dicono, perché non ho termini di paragone, che sia stata una cosa un po’ anomala la lavorazione: non ci sono stati litigi, non ci sono state tensioni, ho avuto persone che lavoravano con me che erano splendide. Ero convinto di poter costruire una bella atmosfera, e questo è successo, ho lavorato con degli amici.

LV: A proposito delle scelte sul cast, l’attore Gabriele Spinelli, è stata una scelta umana o artistica? Lui è pisano, giusto?

GP: Sì lui è pisano ed è un mio amico da tantissimi anni però non avrei mai messo un protagonista perché è mio amico, l’ho scelto perché ero convinto che avrebbe fatto un bel lavoro e poi abbiamo lavorato tanti mesi insieme a studiare il personaggio e quella è una buona cosa che non sempre puoi fare, quando lavori con attori professionisti, spesso si leggono la parte due giorni prima di venire sul set e te non hai grossi margini di costruzione invece con lui è stato un lavoro lungo. È stata una scommessa, perché primo film, attore esordiente e tutto, era una roba un po’ da brivido. Invece è andata bene, secondo me è un attore molto molto bravo.

Gabriele Spinelli in una scena del film

LV: Infatti è stato anche menzionato come vero valore aggiunto del film dal premio della critica cinematografica che la pellicola si è aggiudicata subito dopo Venezia.

GP: Sì infatti, lui ha già girato un altro film subito, spero che continui. Non so cosa vorrà fare, andrebbe chiesto a lui, anche perché lui non era uno che nasceva con questo desiderio attoriale, ci interessava entrambi fare un percorso insieme insomma, a me lui piaceva parecchio fisicamente, come forme. E poi ero sicuro che sarebbe stato bravo, e ha retto.

LV: Il linguaggio cinematografico ti apparteneva già da tempo, in quanto hai una tua casa di produzione, la Santa Maria Video…

GP: …(ride) No rido perché Santa Maria Video era una truffa, non era una casa di produzione. Ero io con una tele camerina e un computer, facevo dei cortometraggi casalinghi, fatti con quello che avevo per le mani in quel momento. IN realtà il set e tutta la lavorazione del film “vero” è stato un altro mondo, completamente. Per cui sì, avevo già fatto delle inquadrature, però lavorare con la macchina cinema è stata un’esperienza completamente diversa.

LV: Ma tu come nasci, come regista o come disegnatore?

GP: No, sicuramente come disegnatore. Anche se fin da ragazzo avrei voluto fare cinema, ma non sapevo come intraprendere quella strada, proprio non avevo idea, io sono un provincialissimo, non conoscevo nessuno. E poi avevo questa cosa che sapevo disegnare, e siccome avevo questa smania di raccontare le storie e visto che sapevo usare il mezzo del disegno, ho usato quello senza mai dire “sono un fumettista”. Nemmeno ora dico “sono un regista”. Io sono solo uno fissato con i racconti. Poi con quale mezzo viene messa in pratica può cambiare, l’ho fatto con la scrittura, l’ho fatto con il disegno, ora con questa cosa del cinema, vedremo poi in futuro.

Gian Alfonso Pacinotti

LV: Questa fissazione per le storie è tipica anche della direzione artistica della Coconino Press, di Igort, la storia al centro di tutto e poi intorno il mezzo di espressione.

GP: Sì, sicuramente. Uno dei motivi per cui Igort si è avvicinato a me è perché ha visto quella cosa lì, ha visto che al di là della forma avevo una vera e propria ossessione per il racconto.

LV: Cosa ci dici delle musiche del film? Valerio Vigliar è un autore stravagante ed eclettico, com’è andata la vostra collaborazione?

GP: Mi sono trovato benissimo anche perché abbiamo lavorato pure insieme, io un pochino lavoricchio con la musica pure, mi sono detto che avrei fatto prima a fargli sentire qualcosa che a blaterare a vuoto su qualche argomento. E quindi poi abbiamo passato tante nottate insieme a lavorare su quelle cose, io ci mettevo i miei suggerimenti di elettronica, che lui prendeva, sviluppava e ricostruiva. Siamo diventati amici, un altro di quelli con cui ho lavorato in questo film con cui siamo diventati amici. È stato un bell’incontro, sono molto contento.

LV: Un aneddoto sulla lavorazione del film proprio non ce lo racconti?

GP: Ce ne sono tanti ma quelli che mi fanno più ridere in realtà se li racconto mi becco una denuncia, quindi… devo stare attento! (ride)

LV: Quando hai presentato LMVDM hai fatto un tour nei centri sociali e festival con un reading in cui venivi accompagnato con la chitarra e dietro proiettavi il video. Hai intenzione di continuare con queste sperimentazioni?

LMVDMGP: La prima volta che ho fatto le letture con le musiche ero io e un tastierista, con le immagini proiettate, e dopo qualche serata siamo diventati in quattro, con batteria, chitarra, tastiere e io alla voce, abbiamo tolto le immagini proiettate perché mi sono accorto che il racconto stava in piedi anche da solo ed è diventata una roba abbastanza rock, molto divertente. Ne abbiamo fatte tante in tutta Italia, fino al giorno in cui secondo me ne avevamo fatte abbastanza, quando poi cominci a ripetere e diventi fasullo, io a quel punto lì di solito smetto di fare le cose.

LV: Adesso a che cosa stai lavorando, in campo cinematografico e non? Credi che ti affaccerai di nuovo verso la fantascienza?

GP: Ora sto lavorando a un secondo film che non ha elementi di fantascienza dentro, ha alcuni elementi fantastici. Tra l’altro secondo me anche L’ultimo Terrestre è un film fantastico, non un film di fantascienza. E quindi si ci saranno elementi fantastici anche se molto più contenuti.

LV: Si potrebbe dire che L’ultimo terrestre è molto vicino a una fantascienza dickiana perché coglie nel segno senza far sfoggio di astronavi aliene. Gabriele Spinelli è molto più alieno dell’alieno che utilizzavate…

GP: …(ride) Bé per me gli alieni lì erano proprio un pretesto per raccontare altre cose. Non so, forse avrei potuto anche usare un altro escamotage narrativo che non fosse quello, però il fatto era che mi piaceva il fatto di avere un marziano di gomma al fianco di Herlitzka. E tra l’altro non dimentichiamo che il mio film è tratto da un romanzo a fumetti, dove questo evento ad esempio della marziana che arriva a casa di un vecchio che poi se la prende con sé era lì. Io l’ho solamente ricostruito, riscritto e rinfilato in una trama. Però non è tutta roba mia, c’è Giacomo Monti dietro.

LV: Cosa ti ha colpito in questa graphic novel di Giacomo Monti (Nessuno Mi Farà Del Male, Canicola)?

GP: Giacomo ha uno sguardo molto duro, molto cattivo anche, però secondo me è anche molto compassionevole, che è la parte che mi interessa. Mi ha colpito il fatto che secondo me aveva fatto una fotografia dell’Italia, un’Italia leggermente spostata nel futuro, secondo me, ma non di tanto. E quindi ho pensato – ma questo non la prendete come presunzione – “ecco cosa ha provato Altman quando ha letto Di Cosa Parliamo Quando Parliamo D’Amore di Carver. E poi ha fatto America Oggi.” Trovi un romanzo dove qualcuno ha fatto una polaroid al volo del tuo momento, cosa che secondo me io non ero riuscito a fare. E quindi ho detto, “Bé, lui è andato più avanti di dove sono andato io”, e in più c’era questa cosa dell’arrivo dei marziani che era una mia ossessioncina (fai conto che nel 2001 avevo fatto un cortometraggio chiamato Vaffanculo del Terzo Tipo, dove arrivavano gli alieni nella campagna toscana, e venivano presi a sassate, perché la gente, i vecchi del posto gli urlavano “cosa siete venuti a fare ora, noi vi aspettavamo negli anni sessanta, oramai è tardi!” Quindi era un tema che ricorreva nella mia immaginazione.

Gian Alfonso Pacinotti

LV: Hai giocato al tradimento o alla fedeltà nel trasporlo sul grande schermo?

GP: Non ho giocato a nulla, nel senso che non ci ho pensato, però la via alla fine è stata il tradimento, perché per quanto i fumetti quando qualcuno li legge possano dare l’idea di essere già pronti per farne trasposizioni cinematografiche, ma io sono convinto che sia un’illusione data dal fatto di avere delle immagini davanti. In realtà le componenti che servono per una storia cinematografica sono molto diverse, quindi io ho tenuto l’intuizione di Giacomo e un paio di episodi, che mi piaceva rifare così com’erano anche come omaggio. Ma poi la storia ha preso tutta un’altra direzione.

LV: È vero che hai cominciato a disegnare dopo aver letto Disegnare con la parte destra del cervello?

GP: No, è vero che ho cambiato visione del mondo dopo aver letto Disegnare con la parte destra del cervello. Cioè sono diventato adulto nel disegno, ho cambiato lo sguardo sul mondo, è diventata la mia filosofia di esistenza quel libro lì mentre prima sostanzialmente non ne avevo una. Prima ero un ragazzo e non vedevo nulla. I ragazzi giovani, specialmente quelli che avevano velleità artistiche come le avevo io, hanno spesso lo sguardo rivolto all’interno di sé, e sono convinti che dentro di sé ci sia un sacco di roba fantastica da raccontare, e io facevo parte di quelli che poi in realtà quando vanno a raccontare non hanno niente da dire. Perché secondo me, dentro di noi, non c’è nulla. Sono molto convinto di questo. Invece iniziando a fare il lavoro dal vivo usando quella tecnica, ho iniziato a vedere le cose, prima credevo di vederle ma in realtà non vedevo niente. Intendo proprio delle forme, vedi le forme negli oggetti che pensavi di conoscere, e per oggetti parliamo ad esempio di alberi, e ci scopri dentro una grazia e una bellezza che non avevi mai visto. E poi dici, “ma se questo tipo di sguardo lo applico a un posacenere”? E ci trovi la grazia anche lì. E allora ti dici, se lo applichi alle persone? Rivoluzione! Perché vuol dire che quelli accanto a me, i miei amici sono belli, e prendono una valenza estetica e ti viene il coraggio di raccontarli, perché altrimenti i ragazzi giovani cercano sempre un altro livello superiore – vedi il fantasy e i supereroi – come se gli organismi viventi che hanno intorno non fossero sufficienti. Ma secondo me solo perché non li vedono. (ride) Ecco, ho fatto il maestrino della minchia!

Scheda biografica

Gian Alfonso Pacinotti, in arte Gipi (Pisa, 1963) è uno dei fumettisti italiani più apprezzati e riconosciuti sia in Italia che all’estero, dove ha vinto numerosi premi e riconoscimenti tra cui il “Premio Goscinny” (con Appunti per una storia di guerra) come “miglior libro” al Festival International de la Bande Dessinée d’Angoulême, nella patria mondiale del fumetto d’autore. I suoi romanzi a fumetti sono tutti pubblicati in Italia dalla Coconino Press, la casa editrice bolognese diretta da Igort. Le sue pubblicazioni sono state tradotte in Francia, Spagna, Germania e Stati Uniti. Tra le sue collaborazioni attuali e passate, ci sono strisce e illustrazioni periodiche per il quotidiano La Repubblica e il settimanale Internazionale.

Note

[1] Si tratta del premio “Francesco Pasinetti” come Migliore Opera Prima presentata al 68 Festival di Venezia, attribuito dal Sngci, ovvero dai giornalisti cinematografici, e alla premiazione del 14 settembre al cinema Greenwich di Roma, è intervenuto un Gipi senza parole e ancora sotto shock per l’esperienza di Venezia.

[2] Oltre al filmato virale, è stato costruito anche un sito “satellite” chiamato Esseri di Luce.

Opere citate nell’articolo

Un Marziano a Roma, di Ennio Flaiano (Mondadori, 1960)

Blade Runner, di Ridley Scott (1982)

Alien, di Ridley Scott (1979)

LMVDM – La mia vita disegnata male, di Gipi (Coconino Press, 2008)

Nessuno Mi Farà Del Male, di Giacomo Monti (Canicola, 2006)

Di Cosa Parliamo Quando Parliamo D’Amore, di Raymond Carver (Minimum Fax, 1987)

America Oggi, di Robert Altman (1993)

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  1. […] vincitore del premio Nocturno e del Meliés d’argento, e il fenomenale L’ultimo terrestre di Gipi, che ha fatto incetta di premi al Festival di Venezia ed è stato poi “castigato” al botteghino […]

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