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Cinema

Midnight in Paris. Tempo di stardust memories

Locandina di Midnight in ParisElegia melanconica e idillio metropolitano, notturno romantico e gioconda stravaganza, Midnight in Paris è, prima di tutto, un atto d’amore verso la capitale francese, e, ancora, un sogno a occhi aperti, la mitografia di una temperie culturale e creativa irripetibile, la celebrazione di un passato che s’imbosca nei recessi della Storia e che misteriosamente ricompare, tempo perduto e ritrovato, proiezione di languidi, fantasiosi e struggenti desideri di un altrove inattingibile. Perché, come pontifica il personaggio di Paul, intellettuale petulante e indigesto, per bocca di Michael Sheen che lo interpreta: “La nostalgia è negazione, la negazione di un presente infelice”.

L’opinione corrente, in maniera del tutto motivata, associa il nome e la poetica di Woody Allen all’inesausta disamina delle dinamiche e delle nevrosi della coppia, a storie di mariti e mogli che tra appartamenti newyorkesi, passegiate nel parco, sedute di psicanalisi, gallerie d’arte e ristoranti di lusso, finiscono inevitabilmente per rimescolarsi. Se però si osserva la filmografia del regista con minuzia, si può assistere alla periodica riemersione di due motivi che, riaffiorando in moduli differenti, si qualificano come tratti identitari pregnanti. Uno è il soprannaturale, che accomuna, nella pluralità delle sue espressioni, tappe anche distanti del percorso artistico di Allen, retaggio o conseguenza, arduo stabilirlo, della fascinazione per la magia che appassionò l’adolescente Woody, all’epoca Allan Stewart, ai giochi di prestigio: in Una commedia sexy in una notte di mezza estate, entità spirituali, evocate da una lanterna fatata, fluttuano sulle acque lacustri; in Alice, strane erbe consentono a chi le assume di diventare invisibile, e si potrebbe proseguire. L’altro ingrediente di cui spesso si avverte il sapore è la nostalgia, sia essa declinata in chiave autobiografica come nel delizioso Radio days, oppure omaggio al cinema di una volta, la fabbrica del sogni che risollevava il morale di una platea ancora ingenua durante la Depressione, come nella Rosa purpurea del Cairo.

Woody Allen con Owen Wilson sul set di Midnight in Paris

In Midnight in Paris, questi due vettori s’intersecano. Gil (Owen Wilson) vive dissociato dal suo tempo, nel culto di scrittori e artisti del passato. Screenplayer hollywoodiano lautamente remunerato, è oppresso, tuttavia, come spesso avviene ai personaggi di Allen, dalla frustrazione di un romanzo che continua a rimanere nel cassetto. Una vacanza a Parigi con la frivola fidanzata Inez (Rachel McAdams) e i genitori snervanti di lei segnerà l’attesa svolta. Allo scoccare della mezzanotte, mentre si trova, da solo, a passeggio per la città, Gil, sera dopo sera, verrà attirato nelle spirali del tempo, per ritrovarsi nella leggendaria Parigi degli Anni Venti, la stessa che affolla il suo immaginario con lo stuolo di artisti e celebrità richiamati, in quel decennio roboante, dal clima bohémien della Francia.

La stessa fantasmagorica ed estrosa poesia che guidava, in Arca russa di Sokurov, un regista del Duemila e un nobiluomo dei secoli andati lungo i corridoi e le sale di un Ermitage dove era possibile incrociare Puškin, Caterina la Grande o la famiglia di Nicola II, conduce le scorribande notturne di Gil a casa di Gertrude Stein, bazzicata da Pablo Picasso ed Henri Matisse, o tra caffè, bistrot e ricevimenti ad alto tasso etilico dove Cole Porter intona Let’s do it e dove si può discutere con Francis Scott e Zelda Fitzgerald o con Ernest Hemingway, e magari suggerire a Luis Buñuel il soggetto dell’Angelo sterminatore. Lontano dalle angustie asfissianti del presente, inebriato dal contatto con i suoi idoli, Gil ricaverà ispirazione letteraria e sicurezza nelle proprie possibilità, ma soprattutto conoscerà Adriana (Marion Cotillard), già amante di Modigliani, Braque, Picasso ed Hemingway, destinata a stampargli un’orma sul cuore.

Foto di scena di Midnight in Paris 1

Accolto con plauso unanime all’ultimo festival di Cannes, dove ha inaugurato il concorso, Midnight in Paris, che negli Stati Uniti si è rivelato, a sorpresa, il film più redditizio che Woody Allen abbia mai girato, non è certo il capolavoro del regista, come, d’altra parte, faticherebbe anche ad aggiudicarsi una medaglia d’argento o di bronzo. Possiede, tuttavia, un fascino e un carisma, oltre a una sapienza artigiana a monte, che lo promuovono a film riuscito. Muovendosi con agilità per le strade di Parigi, set del suo debutto come attore cinematografico e sceneggiatore (Ciao Pussycat), incensato, nel prologo, da un montaggio di cartoline filmate, Allen inietta una sana dose di trasognata leggiadria al suo pubblico, per tramite di un Owen Wilson al quale, con intelligenza, risparmia lo statuto di alter ego speculare e riproduzione fedele di tic e psicosi ai quali solo Woody saprebbe offrire un corpo adeguato, senza per questo condonare a Gil ugge e tormenti. Una riflessione, per nulla scontata, sulla relatività di ogni percezione umana e sulla natura fondamentalmente interiore di luoghi e tempo, dimensioni, ambedue, dell’anima, prima che realtà oggettive, cammina a braccetto con i personaggi e alimenta un ulteriore senso di rattristante difformità fra le cose come sono e come vorremo che fossero: quando Gil e Adriana si concedono un tuffo dal passato al trapassato, dagli anni Venti alla Belle Époque, trovandosi a chiaccherare a un tavolino del Moulin Rouge con Henry de Toulose-Lautrec, Edgar Degas e Paul Gaugin, Gil realizza che Adriana è anch’ella in fuga dal suo presente e attratta dalla chimera di un passato nel quale finirà per smarrirla.

La padronanza del mezzo cinematografico è aliena, ormai, da ogni sospetto di manchevolezza. Al contrario, le virtù formali di Midnight in Paris si lasciano ammirare in tutta la loro portata. La fotografia di Darius Khondji, già al fianco di Allen in Anything else, gioca consapevolmente su due registri: il vigore cromatico delle scene diurne, quando la Parigi turistica esibisce il suo volto ridanciano, e le atmosfere brumose, ovattate e oniriche della notte, quando la città svela, a chi sappia coglierli, i suoi segreti.

Foto di scena di Midnight in Paris 2

Tra caratterizzazioni efficaci (la volitiva Gertrude Stein di Kathy Bates, il sensibile Fitgerald di Tom Hiddleston) e altre più frettolose (la Zelda di Alison Pill, l’Hemingway di Corey Stoll e il Salvador Dalì di Adrien Brody sono, francamente, tre caricature), in un susseguirsi di gag scoppientanti (il battibecco sulla moglie di Rodin tra Paul e la guida turistica limpidamente impersonata da Carla Bruni; lo spassoso incidente che si crea intorno agli orecchini di perla di Inez), con una vampata demenziale in odor di Amore e guerra (il detective incaricato di pedinare Gil finirà “intrappolato” nel Settecento), Allen si – e ci – diverte, sospendendo, per una volta, il giudizio sui grattacapi metafisici che da sempre lo assillano, dalla latitanza di Dio alla monarchia del caso sugli affari umani. Ciò a cui non rinuncia, però, è il fulcro della sua antropologia, sintetizzato perfettamente in una battuta di Hannah e le sue sorelle, quando lo stesso  Woody, rivolgendosi a Dianne Wiest, dice: “Il cuore è davvero, davvero un muscoletto molto elastico”. Le imprevedibili direzioni che i sentimenti sono capaci d’imboccare riserveranno a Gil e Inez un cambio di programma di non modeste proporzioni nel futuro di entrambi. Anche da questo punto di vista, Parigi è sempre Parigi.

Midnight in Paris

Regia, soggetto e sceneggiatura: Woody Allen
Fotografia: Darius Khondji
Montaggio: Alisa Lempselter
Musiche: Stephane Wrembel
Cast:
Owen Wilson, Rachel McAdams, Marion Cotillard, Kathy Bates, Adrien Brody, Corey Stoll, Tom Hiddleston, Alison Pill, Michael Sheen, Carla Bruni
Produzione: Graver Productions, Mediapro
Distribuzione: Medusa
Origine: Usa, 2011

Commenti

3 commenti a “Midnight in Paris. Tempo di stardust memories”

  1. Bella recensione, per un film alquanto gradevole. Che nostalgia per quei tempi e rammarico, per non averli vissuti.

    Di Jimmy Milanese | 19 Dicembre 2011, 14:11

Trackbacks/Pingbacks

  1. […] I maligni potrebbero dire che Springsteen ha scelto Parigi con la speranza di piombare a una festa di Cocteau e ascoltare buona musica, ma in realtà è chiaro che lo ha fatto per invitarmi in una città […]

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