// stai leggendo...

Musica

Donato Epiro

Suonare la natura

Donato EpiroAbbiamo incontrato Donato Epiro, artista polistrumentista da qualche anno impegnato ad aprire il proprio vaso di pandora per liberare un universo onirico che, dal primo vagito elettro-acustico, passando attraverso la psichedelia e l’avant folk più ricercati, è giunto a sonorizzare una sorta di cosmogonia ancestrale, tribale, pagana oggi approdata alla “fame” di sangue e terra del nuovo progetto Cannibal Movie, tra progetti di un futuro prossimo e flussi d’incoscienza forieri di nuovi suoni e visioni.

Mimma Schirosi (MS): Partiamo dall’ultimo tuo lavoro, lo split con  Black Eagle Child: la sensazione è quella di un folk agreste, costruito sulla predominanza della chitarra acustica e sulle numerose reiterazioni. Come sei riuscito a dare  continuità ad un materiale composto in un arco temporale lungo due anni?

Donato Epiro (DE): In realtà i tre brani presenti nello split sono stati composti in un lasso di tempo piuttosto breve; un primo scheletro dei pezzi era già pronto nel 2008 ma solo a metà 2010 sono riuscito a rimetterci mano. Solitamente le registrazioni non mi prendono troppo tempo, mentre posso passare anche mesi sulla post-produzione. Oltretutto mi lascio facilmente distrarre, così mi capita spesso di accantonare alcune idee per dedicarmi ad altro e di riprendere poi in mano materiale registrato anche anni prima. Temporalmente, i tre brani sono stati registrati subito dopo Three Different Kinds of Poison e sono, quindi, un’evoluzione di quello che è il suono di quell’album; anche dal punto di vista tematico i due dischi non sono molto distanti; qui, però, si approfondisce maggiormente il rapporto fra mondo vegetale e mondo animale. È il mio lavoro più lineare, strutturalmente ed armonicamente i brani sono molto semplici: la trama sonora creata dagli intrecci dell’acustica è in primo piano e crea un movimento circolare in cui occasionalmente si inseriscono altri strumenti, solo per assecondare la  cadenza ostinata e ripetitiva della chitarra che resta il cuore di queste  tre piccole preghiere pagane.

ES: Supercontinent, denso di suggestioni tropicali, drones dall’esotismo acido, sembra costruito intorno all’idea di uno stordimento dei sensi attraverso l’esperienza mistica della natura. Hai mai pensato alla tua musica come ad una sorta di catarsi dal rumore quotidiano fine a se stesso?

DE: Supercontinent segue immediatamente Sounding the Sun e ne è la controparte elettronica. Entrambi i dischi sono stati registrati in piena estate ed in brevissimo tempo. Ancora una volta il tema della Natura è centrale; in particolare una Natura lontana nel tempo. Il disco descrive la Pangea, il continente ancestrale da cui sono nati, per lento e graduale allontanamento,  gli attuali blocchi terrestri: percorrendo il corso di un fiume, scorrono le immagini ed i suoni di questo Supercontinente; attraverso il suo estuario sfociamo infine nel Panthalassa, l’unico mare che ricopriva il globo, il Superoceano. Questa idea di “Unità” primordiale mi affascina tantissimo: ho cercato di rievocarla con un suono molto saturo e compresso, in cui è difficile riconoscere i singoli strumenti: elementi anche molto distanti si fondono per creare un unico flusso sonoro, fluido e compatto. È in questa direzione che continuerà a muoversi la mia ricerca sonora. In questo caso, al rumore quotidiano si contrappone qualcosa di anche più ossessivo e spaventoso, disorientante e molto poco rassicurante, come è la Natura: meravigliosa, misteriosa, violenta.

MS: La Vita Acquatica mi ha ricordato certe sonorità à la Celebration degli esordi. La voce di Katrina Ford ci potrebbe stare. Hai mai pensato alla possibilità di collaborare con un artista vocale nei tuoi lavori?

DE: Non ci ho mai pensato seriamente; non lo escludo per il futuro, ma non ritengo la voce un elemento così necessario. In genere i miei pezzi nascono in maniera molto caotica, come risultato dell’interazione, irrazionale e casuale, di diverse componenti che cerco poi di riequilibrare. A meno che, quindi, la voce non risulti essere già in partenza parte di questo “brodo primordiale” informe, sarà difficile trovarla in primo piano. In realtà proprio ne La Vita Acquatica, anche se difficilmente riconoscibili, perché pesantemente filtrate e processate, le voci hanno un ruolo centrale.

Donato Epiro

MS: Quando componi una traccia, parti dalla suggestione di un’immagine o di un suono ambientale o da altro ancora?

DE: Parto solitamente da un’idea che sviluppo poi nel corso del disco; i temi che più mi attraggono sono gli stessi che mi affascinano da sempre e che fin dall’infanzia hanno alimentato la mia fantasia; non c’è però nulla di semplicistico, nostalgico o romantico nella maniera in cui li affronto. Il mio rapporto con la natura, il tempo, il sacro, si evolve con me, progredisce e cambia. Lo studio, l’esperienza, la stessa coscienza più profonda del senso del mistero, non hanno, però, intaccato troppo quell’istinto cognitivo irrazionale che costantemente torna a manifestarsi, soprattutto nei sogni, con visioni ed intuizioni spesso sorprendentemente eccitanti e rivelatorie.

MS: Qual è lo split a cui sei più affezionato?

DE: Senza alcun dubbio quello condiviso con gli Alberorovesciato. Sono un gruppo che adoro e con cui vorrei, in un modo o nell’altro, poter continuare a collaborare. Ho prodotto il disco io stesso, con la mia Sturmundrugs Records, e questo mi ha permesso di curare personalmente ogni particolare della sua realizzazione. Penso sia un disco particolarmente riuscito.

MS: Trovo il primitivismo dei tuoi lavori piuttosto colto e, al contempo, terrestre, assolutamente lontano da qualsivoglia forma di cerebralità. I fiati nella seconda parte de La Guerra dei Fiori, dallo split con Alberorovesciato, sembrano usciti direttamente dall’Arkestra più inebriata che mai di Sun Ra. La composizione è anche frutto di un tuo determinato ascolto, in un certo periodo?

DE: Sono una persona molto curiosa e recettiva; quello che ascolto può senza dubbio influire su quello che produco, così come può farlo una particolare lettura, un film, un incontro: sono tutti stimoli che possono deviarmi su traiettorie diverse da quelle che avevo previsto o programmato, indicandomi nuove possibilità o semplicemente riportando la mia attenzione su aspetti che avevo prima trascurato o trattato marginalmente; il tutto, ovviamente, tenendomi alla larga da qualsiasi tipo di manierismo. Mi piace mescolare in modo imprevisto diverse fonti, creare ponti fra universi distanti, geograficamente e temporalmente; immaginarmi nella celebrazione di una antichissima cerimonia all’interno di in un tempio ipertecnologico.

MS: I tuoi ultimi lavori mi danno la sensazione di voler aprire un varco da cui fuggire dalla metropoli per perdersi in un micro-cosmo ancestrale. Una sorta di momentanea assenza dal clangore post-moderno, per tornare al ventre primigenio del mondo. Che rapporto c’è, nella tua musica, tra natura e civiltà?

DE: Il primo legame tra natura e civiltà sono io stesso. Per quanto possa sforzarmi di essere neutrale, resto il risultato della società in cui vivo e, mio malgrado, non sono immune alle sue brutture e deviazioni: passando attraverso me, idee originariamente pure, non possono che contaminarsi ed assumere una forma alterata: è quindi difficile trovare riparo nella mia musica che, più che una via di fuga, risulta essere un viaggio avventuroso all’interno di una dimensione atemporale. C’è poi la tecnologia che, occupando un ruolo centrale non solo nel processo produttivo ma anche in quello creativo, influisce in maniera decisiva nel definire i colori e le forme di questo mondo  ibrido.

Donato Epiro

MS: In Sounding the Sun la combinazione tra ogni elemento (percussioni, canto mantrico, chitarra acustica, fiati) mi pare funzionale alla ricerca di una sacralità molto vicina al raga. Che rapporto hai con la world music?

DE: Non è tanto la world music ad interessarmi, quanto l’idea di universalità, e che siano i ritmi ossessivi e ripetitivi della musica africana o le bordate noise della scena di Providence a rievocarla, per me non fa alcuna differenza.

MS: La tua ricerca sonora riesce a ricoprire ogni sfumatura dell’ambiente, dalla ferocia delle fiere nella foresta alla grazia degli impercettibili insetti. Nel tuo immaginario acustico esiste una corrispondenza particolare tra uno strumento e l’immagine che, di volta in volta, decidi di descrivere (come mi viene in mente ascoltando Il Fantasma di una Pulce)?

DE: Non ci avevo mai pensato, ma effettivamente credo che, almeno a livello inconscio, ci sia un legame. La combinazione, spesso incidentale, dei suoni crea risultati imprevedibili e le immagini che ne  scaturiscono sono frutto di chissà quale strana connessione. Evito, però, di usare i suoni in maniera esplicitamente descrittiva; il mio obiettivo è più quello di evocare, o meglio, di provocare delle visioni.

MS: L’esotismo di Three Different Kinds of Poison, tenuto insieme dalla circolarità della chitarra in primo piano, sembra il baricentro di un cosmo dimentico dei suoi punti cardinali, un’opera omnia della natura d’ogni dove. È solo una mia sensazione?

DE: Three Different Kinds of Poison è effettivamente un disco in bilico, ha ancora qualcosa della precisione elettronica del disco precedente (in ordine di realizzazione è il mio secondo disco, anche se è stato pubblicato dopo lavori più recenti), ma presenta già parecchi degli elementi che ho poi continuato a sviluppare. È un disco di transizione e come tale è parecchio acerbo. Rappresenta il mio primo avvicinamento ad una strumentazione completamente acustica ed è il primo lavoro in cui faccio riferimento a temi naturalistici, in questo caso, anche se credo non sia proprio così evidente,  alla paura nei confronti delle piante.

MS: Il lavoro precedente, Men Always Eaten Their Gods, del 2008, invece, leggeva l’arcano in chiave elettro-acustica, creando un vortice cerebrale più oscuro dei lavori seguenti. La scelta è stata funzionale alla tematica in esame?

DE: Il tema della Teofagia non poteva che essere affrontato in chiave cosmica. Questo disco, uscito in cassetta in edizione molto limitata, mi piace ancora moltissimo e mi dispiace sia passato un po’ inosservato. I drones sono stati creati partendo da fonti sonore acustiche, giocando molto con riverberi e distorsori, alla ricerca di un suono denso ed imponente.

MS: After Dinner Blackout: un’opera prima, dopo le svariate partecipazioni a compilations e split, assolutamente densa di suggestioni, un punto di ritorno dal non ritorno del già detto e fatto. Quando componi, scomponi, assembli, ti metti nei panni dell’ascoltatore?

DE: Sto imparando a farlo. Se dovessi comporre esclusivamente per me stesso, pubblicare dischi non avrebbe senso. Voglio che la mia musica provochi qualcosa, che risvegli  impulsi sopiti e ricordi di altre vite; non mi interessa creare qualcosa di formalmente impeccabile, di definito e completo; è di altro che abbiamo bisogno per essere realmente stimolati, ed io sto ancora cercando.

MS: Hai all’attivo diverse collaborazioni: dai Comfort ai Maisie. Voglia di sperimentarti su diversi fronti o pura casualità?

DE: Entrambe le cose. In passato mi è piaciuto avventurarmi, o mi ci sono lasciato trascinare, in territori anche molto lontani dal mio. Ho cercato, in ogni progetto, di intervenire nella maniera quanto più discreta e funzionale  possibile, cercando di disciplinarmi e lavorando in maniera completamente opposta a quella, assolutamente anarchica, a cui sono abituato; ogni esperienza è stata fondamentale, ed anche di quelle meno felici ho fatto tesoro ed ho un buon ricordo; mi ritengo poi abbastanza soddisfatto dei risultati ottenuti. Non rinnego nulla, ma al momento non credo riuscirei ad impegnarmi ancora in collaborazioni di questo tipo. Il mio approccio alla creazione musicale è cambiato parecchio in quest’ultimo periodo: suono molto poco seguendo esclusivamente il mio umore; accumulo idee, esperienze, immagini, suoni e senza alcuna fretta, attendo il giusto momento per riorganizzare tutto. Lavorare in maniera diversa, con scadenze, metodo, ed aspettative che non siano le mie, sarebbe per me, almeno in questo determinato momento mia vita, assolutamente impossibile.

Donato Epiro

MS: Attualmente il tuo nome continua a circolare per il progetto Cannibal Movie, a fianco di Gaspare Sammartano. Avorio, album di debutto, mi pare il naturale punto d’arrivo dei tuoi lavori solisti immediatamente precedenti, con uno sviluppo estremo della visionarietà attraverso l’uso terrorifico dell’organo ed esoterico della sezione percussiva. Ce ne vuoi parlare?

DE: Con i Cannibal Movie puntiamo ad un suono crudo, essenziale e privo di qualsiasi artificio. Melodie semplici, armonie elementari ed un pulsare atavico per un suono assolutamente inconfondibile. I Cannibal Movie portano all’estremo gli elementi presenti nei miei lavori, privandoli di quel residuo razionale, di quel freno che ancora li costringe in una struttura organizzata. Qui non c’è alcuna mediazione ed  è la fame a dettare legge. Il progetto vive di una doppia anima, una fortemente legata alla tradizione musicale e cinematografica italiana l’altra, quella esotica ed avventurosa che le stesse pellicole e colonne sonore italiane ci hanno insegnato ad amare.

MS: Donato Epiro nel futuro più prossimo?

DE: Al momento sono totalmente assorbito dai Cannibal Movie. A breve ristamperemo in Lp la tape  Avorio quindi cominceremo a registrare il nuovo materiale che finirà nel secondo Lp ed in uno split che divideremo con gli amici In Zaire. Approfondiremo poi il connubio audio/video (già sperimentato durante i live e che fino ad ora ho curato io) lavorando assieme ad un artista video, per la pubblicazione di un dvd. Non fermeremo nel frattempo l’attività live e, una volta chiusa a metà gennaio la prima parte del tour, cominceremo ad organizzarci per la primavera. Approfitterò di questo periodo per riorganizzare le idee in vista del prossimo lavoro in solo che, non ho dubbi, sarà per me un nuovo punto di partenza.

Nota biografica

Donato Epiro, pugliese, nasce nel 1981. Biologo per professione, musicista polistrumentista per vocazione, esploratore di sogni, visioni e suggestioni per passione.

Siti web

donatoepiro.blogspot.com
cannibalmovie.blogspot.com

Commenti

Non ci sono ancora commenti

Lascia un commento

Fucine Mute newsletter

Resta aggiornato! Inserisci la tua e-mail:


Leggi la rubrica: Viator in fabula

Articoli recenti

Pen Lettori Trieste: Punto di fuga di Mikhail Shishkin

Pen Lettori Trieste: Punto di fuga di...

Doc nelle tue mani 3: che il flashback sia con voi (fino allo sfinimento)

Doc nelle tue mani 3: che il...

Trieste Film Festival 2024

Trieste Film Festival 2024

Lascia che la carne istruisca la mente: Intervista a Anne Rice (II)

Lascia che la carne istruisca la mente:...

Lascia che la carne istruisca la mente: Intervista a Anne Rice (I)

Lascia che la carne istruisca la mente:...

Nel castello di Giorgio Pressburger al Teatro Stabile Sloveno di Trieste

Nel castello di Giorgio Pressburger al Teatro...

Lucca Comics & Games 2023: Incontro con Pera Toons

Lucca Comics & Games 2023: Incontro con...

Lucca (meno) Comics & (più) Games 2023:...

Lucca Comics & Games: Intervista a Davide Barzi

Lucca Comics & Games: Intervista a Davide...

Lucca Comics & Games 2023: Intervista a Matteo Pollone

Lucca Comics & Games 2023: Intervista a...

Il futuro (forse) del fumetto: Martin Panchaud

Il futuro (forse) del fumetto: Martin Panchaud

Femminismo all’ombra dello Shogun: Camille Monceaux

Femminismo all’ombra dello Shogun: Camille Monceaux

Lucca Comics & Games 2023: Intervista ad Andrea Plazzi

Lucca Comics & Games 2023: Intervista ad...

I quarant’anni della “scatola rossa”

I quarant’anni della “scatola rossa”

Trieste Science + Fiction Festival 2023: River

Trieste Science + Fiction Festival 2023: River

Trieste Science + Fiction Festival 2023: cortometraggi

Trieste Science + Fiction Festival 2023: cortometraggi

Il fiore del mio segreto (Almodóvar, 1995): la letteratura come seduzione

Il fiore del mio segreto (Almodóvar, 1995):...

Good Omens 2: amore e altri disastri

Good Omens 2: amore e altri disastri

The Plant: il romanzo incompiuto di Stephen King

The Plant: il romanzo incompiuto di Stephen...

The Phantom of The Opera per la prima volta in Italia

The Phantom of The Opera per la...

Pélleas e Mélisande di Claude Debussy: parodia del 1907

Pélleas e Mélisande di Claude Debussy: parodia...

Prigionieri dell’oceano (Lifeboat) di Alfred Hitchcock

Prigionieri dell’oceano (Lifeboat) di Alfred Hitchcock

Tutto il mondo è un Disco

Tutto il mondo è un Disco

Il commissario Ricciardi 2: quattro puntate di noia profonda

Il commissario Ricciardi 2: quattro puntate di...

Sanremo anche no

Sanremo anche no

Casomai un’immagine

bon_sculture_06 Jingle fisher 22 esplosa-02 galleria21 pm-15 holy_wood_02 lor-3-big 08 brasch1 antal cas-03 busdon-16 mccarroll09 bis_II_03 sir-34 018 petkovsek_08 kubrick-8 kubrick-43 kubrick-16 th-70 th-64 th-30 viv-38 viv-15 mar-39 mar-38 mar-37 mar-36
Privacy Policy Cookie Policy