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Palcoscenico

Eugène Ionesco e la cronaca di un amore defunto

Amedeo, o come sbarazzarsene

Eugène IonescoIl primo febbraio 1954, sulla Nouvelle Revue Française, Eugène Ionesco pubblica il racconto breve Orifiamma che gli servirà da fonte di ispirazione per la sua prima pièce teatrale in tre atti, Amedeo, o come sbarazzarsene. Dal testo alla pièce il passo sarà breve, due mesi appena, ma le notevoli modifiche apportate dall’autore trasformeranno il raccontino in un vero e proprio oggetto di culto, destinato a suscitare l’interesse dei critici e degli studiosi.

La vita di Ionesco e il suo rapporto con il teatro:

Eugène Ionesco nasce nel 1912 a Slatina, in Romania; la famiglia decide però di trasferirsi in Francia fin da quando egli è piccolissimo e di conseguenza il francese diventa la sua prima lingua. Rientrato in Romania ancora bambino, a causa di un nuovo trasferimento dei genitori, egli è costretto a confrontarsi non solo con una lingua che parla a malapena, ma persino con un mondo che non conosce:

[…] Non avevo superato l’età dell’infanzia quando, appena giunto nella mia seconda patria, vidi un uomo, ancora giovane, alto e robusto, prendere a calci e pugni un uomo anziano. […] L’unica visione che ho del mondo è legata all’evanescenza e alla brutalità, alla vanità e alla rabbia, al nulla o all’odio orribile e inutile. Tutto quello che ho vissuto da allora non ha fatto altro che confermare quanto avevo visto e compreso durante la mia infanzia: rabbia vana e sordida, urla improvvisamente soffocate dal silenzio, ombre inghiottite per sempre dalla notte. Cos’altro mi resta da dire?[1]

Paesaggio nei dintorni di Slatina

La sua personalità, tuttavia, gli permette di riprendersi dallo smarrimento iniziale e di dedicarsi agli studi letterari: nel periodo universitario pubblica una critica in cui attacca apertamente tre dei più celebri scrittori romeni dell’epoca, Tudor Arghezi, Ion Barbu e Camil Petresco, accusandoli di provincialismo e di mancanza di originalità. Pochi giorni dopo, però, esce un secondo saggio, sempre di Ionesco, incentrato sugli stessi autori, in cui egli ne tesse le lodi e li indica come i migliori rappresentanti della letteratura romena. Lo scopo di tutto questo è dimostrare l’arbitrarietà del giudizio critico[2]. I due saggi saranno poi raccolti in un unico volume intitolato No! pubblicato nel 1934.

Se Ionesco dimostra apertamente, fin dall’inizio, di apprezzare la letteratura, altrettanto non si può dire del teatro:

[…] Romanzi, musica e pittura sono costruzioni pure, che non contengono elementi a esse eterogenei; ecco perché sono validi e accettabili. Il cinema stesso si può considerare valido perché è costituito da una sequenza di immagini, e questo lo rende a sua volta puro. Il teatro, però, mi è sempre sembrato sostanzialmente impuro, perché al suo interno la finzione si mescolava ad elementi che le erano estranei, e quindi diventava finzione imperfetta, una materia grezza che non aveva subìto la necessaria trasformazione e mutazione. Insomma, tutto nel teatro mi esasperava. Quando ad esempio vedevo gli attori immedesimarsi completamente nei personaggi drammaturgici e versare, in scena, lacrime vere, la cosa mi risultava insopportabile, e lo trovavo assolutamente indecente. Quando, al contrario, vedevo l’attore troppo padrone del suo personaggio, fuori dal suo personaggio, intento a dominarlo e a separarsi da esso come esigevano Diderot o Jouvet, o Piscator, o dopo ancora Brecht, la cosa mi provocava lo stesso tipo di disagio.[3]

La cantatrice calva:

Il cast de La cantatrice calvaIl momento della svolta avviene nel 1948, quando l’autore sente l’esigenza di imparare la lingua inglese. Per portare a termine tale compito, egli decide di acquistare un manuale di conversazione francese-inglese per principianti che gli fornisca i primi rudimenti in materia. Con sua grande sorpresa, però, si accorge che il manuale contiene delle notizie “insolite”: durante la prima lezione egli apprende che la settimana è composta da sette giorni; nella seconda, scopre che il pavimento è in basso e il soffitto in alto; nella terza, fa la conoscenza di una coppia inglese, Mr e Mrs Smith, che conversano amabilmente tra loro raccontandosi di avere dei figli, di abitare vicino a Londra, di lavorare in ufficio e di avere una domestica. Ionesco, a quel punto, inizia a pensare che forse i poverini soffrono di vuoti di memoria per raccontarsi delle cose di un’ovvietà estrema, ma poi ha un’illuminazione: trasmettere ai suoi contemporanei quelle verità così profonde e fondamentali contenute nel suo manuale d’inglese. Nasce così La cantatrice calva, pièce teatrale in un atto in cui non compare alcuna cantatrice tantomeno calva.

L’idea del titolo deriva dal lapsus linguae di uno degli attori durante le prove generali quando, recitando un aneddoto riferito al raffreddore, divenuto poi celebre, anziché dire “institutrice blonde” (maestra bionda) disse “cantatrice chauve” (cantatrice calva). Il testo è incentrato su due coppie di coniugi, gli Smith e i Martin, i cui discorsi, composti da frasi fatte e luoghi comuni, si svuotano progressivamente di significato fino a diventare incomprensibili:

Gli Smith e i Martin non sanno più parlare perché non sanno più pensare, e non sanno più pensare perché non sanno più emozionarsi, sono privi di passioni, non sanno più essere; possono “diventare” qualunque persona e qualsiasi cosa poiché, non essendo, sono solo gli altri, il mondo dell’impersonale, e quindi sono intercambiabili: possiamo mettere Martin al posto di Smith, e viceversa, che nessuno si accorgerebbe della differenza. Il personaggio tragico non cambia, si infrange; lui è lui, ed è reale. I personaggi comici, sono le persone che non esistono.[4]

Foto di scena de La cantatrice calva

L’obiettivo dell’autore è in realtà quello di parodiare il teatro e di criticare i luoghi comuni linguistici e i comportamenti ovvi delle persone. Nel 1950, quando la pièce viene rappresentata per la prima volta, gli “esperti teatrali” la interpretano in molti modi diversi: come una critica nei confronti della piccola borghesia inglese, che tra l’altro Ionesco non conosce nemmeno; come un tentativo di disarticolare il linguaggio e distruggere il teatro; come un esempio di comicità pura; come un esempio di teatro astratto e come teatro avanguardista. L’autore non conferma né smentisce tutte le definizioni, ma al contrario trova nuova linfa per comporre le sue pièces successive.

Amedeo, o come sbarazzarsene, e Orifiamma:

Eugène Ionesco con in mano il copione de La cantatrice calvaAmedeo, o come sbarazzarsene appartiene ai testi teatrali cosiddetti del primo periodo, ma, a differenza de La cantatrice calva, è una delle poche pièces ad essere definita semplicemente commedia in tre atti. Quasi tutti gli altri testi, infatti, riportano una denominazione diversa: La cantatrice calva è un’anti-pièce; La lezione è un dramma comico; Le sedie è una farsa tragica; Jacques o la sottomissione è una commedia naturalista; Vittime del dovere è uno pseudo-dramma; Il quadro è una buffoneria. Nonostante questa distinzione, Amedeo, o come sbarazzarsene contiene degli elementi che la allontanano dalla normale idea di commedia. Ionesco stesso, quando descrive lo stato d’animo che lo pervade durante la lavorazione dei suoi testi, ci spiega qual è l’atmosfera che si respira all’interno di questa particolare pièce:

Certamente, questo stato di coscienza è assai raro. La gioia, lo stupore di trovarmi in un universo che non mi infastidisce più, che non esiste più, non regge proprio; la maggior parte delle volte, sono dominato dal sentimento opposto: la leggerezza si trasforma in pesantezza; la trasparenza si fa spessore; il mondo pesa; l’universo mi schiaccia. Una tenda, una parete invalicabile si frappone fra me e il mondo, fra me e il mio stesso io, la materia riempie ogni cosa, occupa ogni spazio, annienta sotto il suo peso ogni forma di libertà, l’orizzonte si restringe, il mondo si converte in una cella soffocante. La parola si infrange, ma in modo diverso, le parole ricadono, come pietre, come cadaveri; mi sento pervaso da forze opprimenti contro le quali conduco una battaglia in cui sono destinato ad avere la peggio.
È senza dubbio questo il punto di partenza di alcune delle mie pièces che alcuni considerano drammatiche: Amedeo, o come sbarazzarsene o Vittime del dovere. Partendo da questa condizione, le parole, evidentemente prive di ogni magia, vengono sostituite dagli accessori e dagli oggetti: nell’appartamento di Amedeo e Maddalena crescono innumerevoli funghi, e anche un cadavere, che soffre di “progressione geometrica”, continua a crescere facendo sloggiare i proprietari […].[5]

Bozzetto di scena di Amedeo, o come sbarazzarsene

L’idea di partenza di questa commedia la si trova abbozzata nel racconto Orifiamma, dove il carattere dei due personaggi principali è già ben delineato. Il racconto è narrato in prima persona da un uomo, di cui il lettore ignora il nome, che descrive il suo travagliato rapporto d’amore con la moglie Maddalena (che si chiama come la protagonista di Vittime del dovere), e spiega qual è l’elemento che ha contribuito alla distruzione del loro felice matrimonio: la presenza in casa di un cadavere. Dai discorsi dell’io narrante, si intuisce che i due coniugi conducono una vita modesta, che il protagonista maschile soffre di pigrizia cronica ed è incapace di svolgere un qualsivoglia lavoro, che il mantenimento della coppia è garantito dalla dote di Maddalena e dal suo lavoro di poetessa, e che da ben dieci anni la loro camera matrimoniale è occupata da un morto. Chi sia il defunto, però, è il protagonista stesso a spiegarlo al lettore:

“Tornai sui miei passi. Mi avvicinai al cadavere. Quant’era vecchio, vecchio! I morti invecchiano più rapidamente dei vivi. Chi mai avrebbe potuto riconoscere, in lui, il giovane che, una sera di dieci anni prima, era venuto a trovarci, si era immediatamente innamorato di mia moglie e, approfittando dei cinque minuti in cui mi ero assentato, ne era diventato l’amante quella sera stessa?”[6]

Spaventati dall’idea di confessare l’omicidio, i due coniugi decidono di continuare a convivere con il cadavere, trincerandosi in casa, annullando i rapporti con il mondo, diventando incapaci di provare una qualsiasi emozione se non legata all’osservazione ossessiva di quel corpo che, come se non bastasse, soffre di “progressione geometrica” e continua a crescere a dismisura a ritmo sempre più accelerato.

Poster di un convegno letterario incentrato su IonescoQuando il defunto raggiunge ormai le dimensioni di un gigante, Maddalena obbliga il marito a sbarazzarsene. Il protagonista, stanco e svogliato come sempre, cala dunque il cadavere dalla finestra e inizia a trascinarlo lungo la via ormai deserta sperando di riuscire a gettarlo nel fiume. Il corpo, però, gli si arrotola attorno alla vita e, sospinto da un colpo di vento, prende il volo portandosi dietro anche lui. Il personaggio si libera così delle scarpe e degli inutili fardelli che lo opprimono e vola in direzione della via lattea, nuovamente padrone delle proprie emozioni e ancora capace di commuoversi di fronte allo spettacolo dell’universo. La moglie, rimasta a terra, non perde comunque occasione di rimproverarlo per un’ultima volta dicendogli: “Quando imparerai a fare la persona seria? Ti elevi, certo, ma la mia stima nei tuoi confronti non aumenta”.

Anche nel testo teatrale Amedeo e Maddalena devono gestire la difficile situazione del cadavere, ma gli elementi atti a recare disturbo al già burrascoso ménage sono elevati alla potenza. Il corpo del morto, oltre a ingrandirsi a vista d’occhio, fa proliferare una quantità industriale di funghi, che dapprima invadono la camera da letto e poi si spostano progressivamente in soggiorno. A questo si aggiunge la visita di un postino che, venuto a consegnare una lettera per Amedeo, si sente rispondere di aver sbagliato nome e indirizzo benché il destinatario della missiva si chiami come il protagonista e abiti nella sua stessa via. Il motivo dell’omicidio, inoltre, e l’identità del morto, assumono contorni sempre più oscuri e indefiniti: era davvero uno spasimante di Maddalena? Oppure era un neonato che una vicina aveva affidato ai due coniugi e che Amedeo, maldestramente, ha ucciso nel tentativo di farlo smettere di piangere? O forse era una donna che Amedeo aveva lasciato annegare in un fiume e che, pentito, si era trascinato a casa nel tentativo di resuscitarla con la respirazione bocca a bocca? O forse era nuovamente lo spasimante, morto di infarto perché aveva bevuto troppo?[7].

Nella pièce, Amedeo ha quarantacinque anni come la moglie e, a differenza di quanto narrato in Orifiamma, svolge un mestiere ben preciso: il commediografo. Sono trascorsi quindici anni dal giorno dell’omicidio e lui è riuscito a scrivere solo uno scambio di battute tra due vecchi: “Credi che funzionerà?, “Non sarà così semplice”. Maddalena, in compenso, fa la centralinista da casa e ogni giorno si veste di tutto punto per andare a lavorare… nel suo soggiorno. L’atmosfera che si respira tra i due viene resa benissimo dall’introduzione in scena di due sosia che, come specifica l’autore, non devono sembrare dei fantasmi, ma essere spontanei nella non spontaneità, nell’irrealtà. Il sosia di Amedeo vede solo luce e splendore, quello di Maddalena solo buio e sofferenza:

AMEDEO II Maddalena, svegliati! Apriamo le tende, è l’alba della primavera… Svegliati… il sole inonda la stanza… Luce di gloria… Dolce calore!…
MADDALENA II …notte, pioggia, melma!… il freddo! sto tremando… buio… buio… buio!… Cieco che non sei altro, abbellisci la realtà! Non vedi, dunque, che la abbellisci?
AMEDEO II È la realtà che ci abbellisce.
MADDALENA II Mio Dio, quest’uomo è matto! È matto! Mio marito è matto!
AMEDEO II Guarda… guarda… nei ricordi, nel presente, nel futuro… intorno a te!
MADDALENA II Non vedo niente… È tutto buio… non c’è niente… non vedo niente!… Sei cieco!
AMEDEO II Sì, io vedo, io vedo…
MADDALENA II No… no… no…
AMEDEO II …La verde vallata dove fioriscono i gigli…
MADDALENA II Funghi!… funghi!… funghi!… funghi!…
AMEDEO II Sì, la verde vallata… il girotondo, balliamo il girotondo mano nella mano.
MADDALENA II La vallata oscura, umida, acquitrini, sprofondiamo, anneghiamo… aiuto, sto soffocando, aiuto!…[8]

Poster del Festival teatrale romeno dedicato a Ionesco

Come afferma Martin Esslin nel suo saggio The Theatre of the Absurd, la scena dei sosia, strutturata come un flashback, fa capire allo spettatore che il corpo nella stanza accanto è il simbolo dell’amore ormai defunto tra Amedeo e Maddalena. È un corpo fatto di disgusto, colpe e rimpianti, che avvelena l’atmosfera con funghi di declino e decomposizione[9]. Sempre secondo il saggista, la scena finale in cui Amedeo prende il volo rappresenta un atto di liberazione. Il personaggio non è più soffocato dalla presenza di quell’essere che gli ricorda continuamente i suoi errori passati, e può finalmente sperare in un nuovo inizio. Interessante, da questo punto di vista, è anche l’interpretazione che Ionesco stesso fornisce dell’opera, dimostrandoci che quello che per alcuni è un simbolo per altri è semplicemente una realtà:

Tutto ciò che posso dire è che si tratta di una pièce semplice, infantile e quasi primitiva nella sua semplicità. In essa non vi troverete il benché minimo simbolismo. Vi si narra un episodio di cronaca che potrebbe essere tratto da un qualsiasi giornale; vi si racconta una storia banale che sarebbe potuta accadere a chiunque di noi, e che probabilmente è capitata a molti di noi. È una scena di vita, una pièce realista.
Se potete rimproverare quest’opera per la sua banalità, non potete di certo condannarla per la mancanza di verità. Così, vedrete dei funghi spuntare sul palcoscenico, il che prova, in modo inconfutabile, sia che questi funghi sono dei veri funghi sia che sono dei funghi normali.
Certamente qualcuno dirà che non tutti hanno una visione del mondo reale simile alla mia. Ci saranno persone che penseranno che la mia sia una visione, di fatto, irreale o surrealista. Devo ammettere che, personalmente, smentisco questo tipo di realismo che è solo un sottorealismo, che ha solo due dimensioni su tre, quattro o n-dimensioni. […] Che valore di verità può esserci in un realismo di questo tipo che dimentica di riconoscere le più profonde realtà umane: l’amore, la morte, lo stupore, la sofferenza e i sogni dei nostri cuori extrasociali. […] L’unico dovere dell’autore è quello di non intervenire, di vivere e lasciar vivere, di liberare le sue ossessioni, i suoi fantasmi, i suoi personaggi, il suo universo, lasciarli nascere, prendere forma, esistere […].[10]

Note

[1] Eugène Ionesco, Témoignages in Notes et contre-notes, Folio essais, Éditions Gallimard, Paris 1966, p. 216.
[2] Martin Esslin, The Theatre of the Absurd, Revised and enlarged edition, Pelican Books, Middlesex 1968, pp. 132-133.
[3] Eugène Ionesco, op. cit., pp. 50-51.
[4] Eugène Ionesco, op. cit., p. 249.
[5] Eugène Ionesco, op. cit., pp. 227-228.
[6] Eugène Ionesco, Orifiamma in Nouvelle Revue Française, Paris 1954, pp. 205-206.
[7] Eugène Ionesco, Théâtre, tome I, Éditions Gallimard, Paris 1984, pp. 254-256.
[8] Eugène Ionesco, op. cit., pp. 264-265.
[9] Martin Esslin, op. cit., p. 150.
[10] Eugène Ionesco, À propos de “Comment s’en débarasser” in Notes et contre-notes, Folio essais, Éditions Gallimard, Paris 1966, pp. 269-271.

Commenti

2 commenti a “Eugène Ionesco e la cronaca di un amore defunto”

  1. Molto interessante! Complimenti Annamaria!

    Di pasquale calvino | 31 Agosto 2012, 07:28

Trackbacks/Pingbacks

  1. […] di un appartamento, con una valanga di mobili che paralizzeranno il suo essere. In seguito, in Amedeo o come sbarazzarsene e peggiorando ulteriormente la situazione, Ionesco ridurrà l’essere umano stesso allo stato di […]

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