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Cinema

Giorno due, la rivincita delle pupille

Lunedì 13 febbraio

In attesa al FriedrichStadt Palast - Foto di BiggioLa  notte ha portato consiglio e riposo. Nel kit del provetto festivaliero non dovrebbe mancare un piccolissimo e leggero computer portatile, una giacca o un piumino che siano caldi ma senza peso, calzamaglie di lana non troppo grosse e scarpe comode. Alla lunga, portarsi appresso anche solo i due chili del 15 pollici tutto il giorno in mano o a tracolla e un giaccone pesante può ridurre le spalle e le braccia in pappa in men che non si dica. Meglio strati su strati, ma di roba leggera, anche perché in sala, solitamente, le temperature raggiungono livelli da fonderia piuttosto di frequente. Meno oggetti si hanno in mano, poi, più veloce è l’uscita verso la prossima meta.
La mattina, il tentativo di intercettare una proiezione alle dieci alla Haus der Berliner Festspiele si è rivelato fallimentare: la nuovissima venue del festival, inaugurata quest’anno, è davvero lontana e siamo in molti ad arrivare cinque minuti dopo l’inizio del film a transenne già chiuse. Qualche ignaro spettatore speranzoso tenta persino di convincere lo staff a fare un’eccezione, ottenendo in risposta soltanto un cortese ma fermo diniego e uno sguardo vuoto. Io giro i tacchi immediatamente, decidendo all’istante che questa è stata una gita di scoperta e che cercherò di non scegliere più proiezioni da queste parti. Non mi avrete, mi ripeto a fior di labbra mentre torno verso i lidi noti in Potsdamer Platz, a posto con la coscienza e con lo stomaco che borbotta per la sua dose mattutina di sano grasso teutonico. Il pasto degli occhi, invece, oggi è succulento: ci aspetta l’attesissimo e sospirato film di Billy Bob Thornton, nonché la prospettiva di vederlo in carne ed ossa più tardi in conferenza stampa insieme a John Hurt. Due idoli al prezzo di uno.

La proiezione stampa di Jayne Mansfield’s Car è al Berlinale Palast, sede di tutti gli eventi di gala e delle serate di apertura e chiusura del festival. Il Palast è la Sala Grande di Berlino, dove i fortunati possono sedersi a pochi metri dalle star durante le proiezioni principali della fascia serale. Dal vivo, molto più piccolo di quanto non sembri nei video visti in rete, tutto rosso, con il palco alto e le poltrone basse e non troppo digradanti, i palchetti tutt’intorno. Bisognerebbe dire che, a parte il Berlinale Palast e il Friedrichstadt Palast, che sono due teatri, tutti i cinema del circuito del festival sono una meraviglia per i sensi. Le poltrone hanno sempre uno spazio enorme per le gambe davanti, le file sono ben distanziate e i posti comodi, innecessarie le battaglie a chi conquista il bracciolo. E poi, ci sono gli schermi: giganteschi, avvolgenti, perfetti. Così come il suono. Non c’è da meravigliarsi che i berlinesi corrano a frotte a godere dell’esperienza del cinema.

Billy Bob Thornton

 

La sala del Palast è al completo per l’ultima fatica di Billy Bob, che, dopo l’enorme successo di Sling Blade, torna su questi lidi snobbando apertamente il Sundance e dichiarando che Berlino è l’unico festival dove avrebbe voluto che il suo film venisse presentato. Il film è ambientato in Alabama, nel profondo sud degli Stati Uniti, in una famiglia tiranneggiata dalla figura di un padre padrone anaffettivo e violento, cui dà vita un Robert Duvall nel solito stato di grazia, centro assoluto dell’amore ambivalente dei tre figli maschi, ognuno segnato in modo diverso dalla distanza emotiva che il capostipite ha decretato da tutti loro. La madre, sfuggita anni prima perché incapace di rassegnarsi a finire con le ali tarpate al servizio di una famiglia capestro nel mondo ristretto di spazi e vedute che era il Sud degli anni Cinquanta, muore in Inghilterra, dove si era creata un’altra famiglia. Questo è il pretesto narrativo che porta di nuovo a galla tutti i conflitti esistenti fra i vari membri di questa piovra familiare in cui l’amore è una cosa da femminucce e la guerra è ciò che fanno gli uomini. Kevin Bacon è il fratello più piccolo, il ribelle che, dopo aver servito nell’esercito diventa un hippy che manifesta contro la guerra in Vietnam, Robert Patrick il fratello più grande che non è mai andato in guerra e si sente per questo meno uomo, Billy Bob Thornton è invece Skip, il fratello più danneggiato e più contraddittorio, un uomo-bambino perché ha perso la propria infanzia, che pilotava aerei in Marina, che vive per la sua collezione di macchine d’epoca e sportive, alle quali non lascia avvicinare nessuno. David Rooney dell’Hollywood Reporter lo recensisce negativamente, ma ci permettiamo di pensare che non abbia granché gradito la rispostaccia che Thornton gli ha dato in conferenza stampa quando ha chiesto il perché non avesse voluto presentare il film al Sundance. Il regista è avvelenato con gli studios e non ne fa mistero. Il suo ultimo progetto, All the Pretty Horses, tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, è stato funestato dalle interferenze della produzione dei grandi studios e il regista non fa mistero d’essersi legato al dito la cosa.

La conferenza stampa si rivela in sé uno spettacolo. Thornton, dietro richiesta di spiegare quale sia stata la forza trascinante di questo progetto, la spinta personale che affiora palesemente dallo schermo, risponde in toni confidenziali, creando un improvviso silenzio e facendo calare il senso della realtà che spesso latita nelle cose di cinema. Spiega che viene da una famiglia del sud, che suo padre era un irlandese ubriacone e violento e che, come il padre interpretato da Robert Duvall sullo schermo, portava lui e i suoi fratelli a vedere le carcasse delle macchine appena incidentate. Quello, dice, era l’unico modo in cui riusciva a comunicare con noi, l’unico modo in cui era in grado di stabilire una qualsiasi connessione con i figli, che invece picchiava spesso e volentieri. Thornton dice anche che per tutta la vita, così come il suo personaggio nel film, ha cercato e cerca l’approvazione degli uomini più vecchi di lui e che questo è il rapporto che lo lega nella vita a Robert Duvall, al quale è molto legato. John Hurt, che viene direttamente da Londra dove ha ricevuto il BAFTA alla carriera, dichiara che lavorare con un regista che ha una visione creativa così limpida come quella di Thornton è un’esperienza impagabile, e il regista per tutta risposta lo omaggia con il suo personale premio alla carriera, consegnandogli il bastone che il personaggio di Hurt porta per tutto il film.

John Hurt e Billy Bob Thornton - Foto Biggio

Mentre in sala stampa ci si prepara ad accogliere Zhang Yimou che presenta l’epopea The Flowers of War, di cui è protagonista Christian Bale, noi si fugge ad Alexanderplatz, al Cubix Kino, a vedere il film di cui tutti parlano, Iron Sky del finlandese Timo Vuorensola, uno dei primi esperimenti di crowd financing della rete. Il film è una parodia ben congegnata e godibilissima, nata dall’idea dei famosi quattro amici al bar che una sera, pieni di vodka, si sono chiesti quale poteva essere l’idea più strana alla quale pensare per il soggetto di un film. “Nazis on the dark side of the moon”, è stata la risposta e, incredibilmente, un sondaggio in rete ha dato loro ragione. L’idea per molti era credibile, o meglio era effettivamente credibile poterci fare un film. E così è stato. Il regista e la sua crew sono riusciti non solo a tirar su i sette milioni e mezzo di euro per realizzare la pellicola, ma anche ad avere nel cast addirittura Udo Kier, eccezionale comandante nazista che organizza la riconquista della Terra dopo aver estratto per decenni il preziosissimo Elio 3, su cui tutti vorrebbero mettere le mani. Aggiungete un Presidente degli Stati Uniti incredibilmente somigliante a una certa Sarah Palin e il gioco è quasi fatto. Il film è incredibilmente ben fatto e divertentissimo. Ci consoliamo della solita impossibilità nell’organizzare interviste sperando che agli osservatori del ScienceplusFiction non sia sfuggito e che potrebbe spuntare in programma nella prossima edizione.

Rimangono due spettacoli alla fine di una giornata campale di visioni in prima fila. Raggiungiamo il FriedrichStadt Palast, e ci accomodiamo a ridosso del palco, che stavolta è ad altezza spettatore, in attesa che si aprano i pesanti tendaggi rossi di questo teatro liberty nel cuore di Berlino, non distante dal vecchio Checkpoint Charlie di funesta memoria passata e di recente spudorato utilizzo turistico. Vediamo Captive, il film di Brillante Mendoza con Isabelle Huppert e siamo piacevolmente colpiti dal fatto che il film non cade nella categoria “esperimenti falliti”. Il regista è riuscito per quasi due ore a tenerci incollati alla sorte di questo gruppo di ostaggi quasi guardassimo un documentario. Questo per quel che riguarda lo stile, ma la prospettiva riuscita è quella di trovarsi a condividere il punto di vista degli ostaggi, a volte, e persino a tratti quello dei rapitori.

La locandina di Molto forte, incredibilmente vicino - Foto BiggioIl tempo di una sigaretta e ci riaccomodiamo al calduccio con i piedi allungati sulle tavole di legno del palcoscenico per vedere Extremely Loud and Incredibly Close, il film di Stephen Daldry tratto da Molto forte e incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer. Un gran peccato che il film non riesca nemmeno per un secondo a rendere la complessità e le atmosfere del libro, nonostante gli sforzi di Tom Hanks e Sandra Bullock.

La sorpresa della sera è che si rimane a piedi nella notte, come si suol dire, dato che all’una e mezzo la U-Bahn ci sbarra le porte verso il nostro giaciglio. Dopo inutili tentativi di comprendere come arrivare a casa con autobus e tram, si cede alla stanchezza ed anche a una certa curiosità e si ferma al volo un taxi, giusto per coronare in maniera cinematografica una giornata d’infiniti fotogrammi. La goduria nello scoprire di riuscire a dare al tassista le indicazioni giuste, dato che non ha mai sentito nominare la strada di casa, è davvero una degna conclusione. “Ich bin ein Berliner”, almeno stasera, possiamo dirlo anche noi.

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