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Omnia

Perché abbiamo inventato il 2012?

Il contenuto di verità del mito della catastrofe

Centrale di Fukishima dopo il terremotoNe abbiamo riso in tanti e continueremo a farlo, come forse è giusto che sia per l’ennesima profezia apocalittica che ha segnato la nostra contemporaneità e ancora più in generale la nostra longeva cultura. Visioni del genere hanno rappresentato per i testi sacri dei principi speculativi essenziali, su cui basare dottrine e dogmi, e soprattutto funzionali a stimolare la volontà di affidarsi a una religione incutendo timore e sconforto per l’avvenire.
Non a caso, Giovanni scrisse l’Apocalisse incentivando lo spirito di adesione alla neonata comunità cristiana con la reintroduzione di un principio tipicamente vetero-testamentario, ovvero il terrore per il giudizio divino.

Diverse di queste fantasticherie si sono susseguite in tempi recenti: ricordiamo il Millemium Bug ovviamente, che tentava di consolidare lo scenario fantascientifico attraverso un fondamento tecnologico, ovvero l’eclissi della nostra cultura tecnica per causa di un errore informatico. Ovviamente era una scemenza. E ora, sono diversi anni che il circolo mediatico, l’industria dello spettacolo, il cinema, la televisione stanno assillando il nostro immaginario con la catastrofe delle catastrofi, ovvero quella che decreterà una volta per tutte la fine del nostro pianeta: il 2012.

È puerile non tanto crederci, ma persino pensare di dover dimostrare l’inconsistenza dell’ipotesi dell’apocalisse preannunciata dalla civiltà Maya; sono, infatti, ridicoli gli sforzi di dimostrare che i Maya stessero pensando ad altro quando definirono i cicli epocali (fine come rinascita e prosperità), come a dire che se i Maya avessero realmente sostenuto la distruzione del pianeta, allora sì che avremmo dovuto preoccuparci! Insomma, si tratta di un fenomeno già sperimentato, che ha dimostrato la sua efficacia in ambito commerciale e industriale: il 2012 è diventato un brand, che ha coinvolto l’industria cinematografica, quella editoriale, le trasmissioni televisive e via dicendo. Ne abbiamo riso, ne ridiamo ancora, magari confessiamo al prossimo di pensarci ogni tanto, ma non siamo seri, non ci crediamo fino in fondo: è ovvio che si tratti di una fantasticheria catastrofistica stimolata dal fascino della disgrazia. È altrettanto ovvio che non esista alcun fondamento scientifico della tesi in questione, tuttavia…

…tuttavia restiamo allibiti dalla frequenza e dalla cadenza con le quali alcune terribili sciagure si stanno susseguendo nel corso di una manciata di anni; e bisogna riconoscere una certa reticenza da parte dei media verso il far riferimento alla profezia sul 2012, forse per pudore e rispetto delle vittime; ma, conoscendo bene i criteri di moralità (pressoché assenti) dei telegiornali, sembrerebbe che la ragione sia esattamente all’opposto. Questa strana ritrosia appare quasi come un timore, un tentativo di non evidenziare, una sorta di imbarazzo dinanzi all’insensato per definizione, al favolistico che si sta paradossalmente concretizzando.

Oppure, i media preferiscono non correre il rischio di compromettere la loro credibilità: finché lo scherzo è chiaro, la storia del 2012 può essere cavalcata, facendo inchieste e servizi vari, intervistando esperti pronti anche a smascherare l’inganno. Ma, finché si scherza, si scherza, mentre dinanzi alla cronaca effettiva sarebbe poco professionale fare leva su questo mito.

Chiesa di Cavezzo dopo il terremotoInfatti, il 2012 rappresenta per molti versi un mito, ma sostenendo questo bisognerebbe mettersi in suo ascolto in maniera meno ingenua, chiedendosi: perché abbiamo inventato il 2012? Perché il suo successo nell’immaginario? D’altronde il 2012 sembrerebbe non essere diverso dagli innumerevoli casi simili susseguitisi nel corso della storia; dico “sembrerebbe” per la semplice ragione che, negli ultimi anni, c’è qualcosa che rende il 2012 più vero, più consistente, ovvero i fatti del mondo, i terribili terremoti di Haiti e Nuova Zelanda, fino ad arrivare alla catastrofe giapponese e soprattutto, data l’attualità, i sismi distruttivi che stanno devastando la nostra penisola. E poi Australia e Pakistan travolte dai temporali, specie animali trovate morte sulle spiagge, stravolgimenti atmosferici, e via discorrendo. Che la fine stia veramente avanzando?

La mia tesi è che il 2012, come facilmente deducibile, ha un fondo di realtà; innanzitutto perché, come ogni fenomeno di successo, riflette dinamiche proprie della società, sensibilità condivise che scorrono sotto la soglia della coscienza e che vanno a costituire l’ordine simbolico, fino a incidere sulla psiche e l’anima di ciascuno. Ma io andrei anche più in là: che nel 2012 finisca il mondo è un fatto, se non probabile, di certo “possibile”. Mistificare questa possibilità rendendola materia della fiction ha significato tenere a distanza la minaccia, agire sul “possibile” per renderlo “impossibile”, neutralizzarne il frustrante terrore che incuteva continuamente.

D’altronde, le varie versioni relative all’apocalisse del 2012 fanno leva su azioni che esulano sia dalla responsabilità dell’azione umana sul pianeta, sia dalla possibilità di porvi rimedio o frenare il suo arrivo. Meteoriti, intensificazione dell’attività solare, inversione dei poli magnetici, spostamenti delle falde… non c’è responsabilità umana, e perciò non c’è alcuna possibilità di redenzione né di soluzione. È l’inevitabilità del Male, sciolto da legami con l’umano, al quale possiamo solo soccombere, assistergli, perché fuggire è inutile.

Il 2012 è una proiezione sociale che non si è sviluppata a caso, ma che ha risposto a una richiesta psichica nell’estenuante tentativo di reagire a una catastrofe in corso da vari anni, una catastrofe trasversale che taglia l’intero pianeta è che mette in evidenza i limiti (o forse solo la fine fisiologica) del tardo capitalismo occidentale. In questa prospettiva di interpretazione, la responsabilità dell’umano torna evidente: attraverso il mito del 2012 si tenta di attribuire la responsabilità della fine alla natura, a un’idea astratta di Male, dinanzi al quale siamo vittime indifese. Non è un caso che, infatti, tra gli eventi che hanno segnato la nostra storia recente, ne spicchino alcuni completamente attribuibili all’uomo: il disastro ambientale del Golfo del Messico (che, oltretutto, inverte i termini del mito del 2012, facendo dell’uomo l’aguzzino e della natura la vittima, stringendo però ulteriormente il cerchio e facendo pagare all’uomo stesso il prezzo salato per la sua scempiaggine, giungendo all’idea romantica di compenetrazione tra natura e cultura), lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento delle temperature (e questo fattore climatico sarebbe essenziale per spiegare i monsoni e le tempeste che stanno affliggono numerosi paesi anno dopo anno), ma soprattutto le sciagure economico-finanziarie, la crisi del 2008 e l’attuale crisi economica europea, il conseguente impoverimento del pianeta, fino ai moti di insurrezione e rivolta che animano il mondo arabo; e oltre a ciò, soprattutto, la contaminazione radioattiva causata dall’incidente nella centrale di Fukushima e i vari attentati terroristici.

meteorite sulla terra

Il mito del 2012 sarebbe un tentativo fantastico di attribuire le responsabilità della fine, palesemente relative all’agire umano, all’imprevedibile, all’indecidibile, all’inumano appunto; la serie di terremoti, del resto, intensificano questa prospettiva, perché al di là di tutto, dinanzi a essi l’uomo esperisce la sua umiliazione, il ridimensionamento della sua funzione dinanzi al cosmo. La mitologia della fine è perciò una produzione sociale, che riflette la catastrofe dell’economia capitalistica internazionale e dello sfruttamento del pianeta; dinanzi a tale catastrofe, il tentativo è stato quello di “mitizzarla” attribuendo la totalità della responsabilità della fine a un evento trascendente, una fine epocale alla quale possiamo solo soccombere, e che dialetticamente, perciò, non fa che legittimare a posteriori le scelte fatte dall’uomo fino a questo punto. E se tale proiezione è fantascientifica (la fine verrà in un futuro, anche se prossimo, ovvero alla fine del 2012), allora sono autorizzato a comportarmi come mi sono sempre comportato in questi anni, o addirittura a intensificare la mia azione immorale. Il mito così legittima ciò che si riveleranno essere le autentiche cause della fine.

Il processo simbolico non si arresta di certo qui: riversando questo immaginario nella fiction cinematografica e nei programmi televisivi di bassa lega, abbiamo anche portato a termine il piano perfetto di de-responsabilizzazione collettiva. Abbiamo escluso la “fine” come possibilità, ne abbiamo fatto un’impossibilità rendendola irreale, perchè frutto della fantascienza hollywoodiana, degli effetti speciali digitali, dei libretti che si trovano all’autogrill… in questo modo, abbiamo reso la fine impossibile, e più nello specifico abbiamo escluso che la fine possa proprio accadere nel 2012; e se ci affidiamo alla logica scientifica per dimostrare l’inconsistenza delle tesi, dobbiamo ammettere che la stessa scienza non ci dà e non può darci dimostrazioni del contrario, ovvero che nel 2012 non accadrà nulla del genere. Questa resta una possibilità aperta, che gli incidenti terribili, le tensioni internazionali e la situazione politica globale sembra suggerire, e che, ahi noi, la natura pare a tutti gli effetti avallare infliggendoci colpi terribili in tempi strettissimi.

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