Autore: Peter Cameron
Editore: Adelphi
Traduzione: G. Oneto
Pagine: 212
Rilegatura: brossura
Anno: 2012
Prezzo: 18,00 Euro
ISBN/EAN: 9788845926884
Per catalogare correttamente Coral Glynn all’interno della narrativa di Peter Cameron, è bene indietreggiare con la memoria di un paio di romanzi. Scavalcare, perciò, Someday this pain will be useful to you, alias Un giorno questo dolore ti sarà utile, e retrocedere fino al 2002 e a The city of your final destination, in italiano Quella sera dorata (?). Molti dei motivi di quell’opera, ispiratrice di un’esanime pellicola di James Ivory, ricompaiono, mascherati o deformati, in quest’ultimo libro, pubblicato da Adelphi in contemporanea (o quasi) con l’uscita americana. Molti davvero. Una grande villa, fastosa e marcescente, isolata dal consorzio civile (nell’addome selvaggio dell’Uruguay allora, nelle campagne del Leicestershire ora). Un arrivante (l’accademico Omar Razaghi nei recessi del Sudamerica, l’infermiera Coral nelle profondità della provincia britannica). Una figura femminile al confine tra scontrosità e sociopatia ad accogliere e respingere i forestieri (la pittrice Caroline là, la domestica Mary Prence qui). Un suicidio avvenuto da ambedue le parti e del quale non sapremo mai nulla. Un incontro casuale che, nel finale, ci informerà del rimescolio sentimentale e dei fiori d’arancio che l’assenza del narratore ha privato di una testimonianza diretta. E soprattutto, una notazione di stile, la polivocità attraverso la quale lo scrittore statunitense sviluppa il racconto, investendo personaggi diversi della potestà di esercitare il loro punto di vista, senza che l’insieme perda di coerenza o unitarietà. La sensazione di un rinnovato incontro con moduli già conosciuti si associa, tuttavia, fin dal principio, al sospetto, via via corroborato fino a impattare con la certezza, che ad attenderci sia uno spettacolo assai più inquietante. Basterebbe forse la descrizione, nell’incipit, del giardino di casa Hart, pozzanghere fanghiglia e proliferazione di animaletti insidiosi, per mandare al macero l’ideale bucolico del locus amenus. Ma Cameron rincara la dose e, tra i segreti comprottenti occultati da uomini rispettabili e i giochi sadici praticati dai bambini nel bosco, censisce una comunità e forse un intero mondo in cui l’eco pervasiva della follia e l’aura della più ribalda assurdità si propagano senza risparmiare nessuno. “Esiste mai la possibilità di sapere davvero chi sono gli altri? Sono tutti come le monete: hanno due facce; se non come i dadi, che ne hanno sei”.
Coral è giunta nella dimora degli Hart per assistere la padrona moribonda. Siamo negli anni Cinquanta, in una nazione ancora segnata dalle devastazioni belliche. La giovane Glynn ha perduto, nei combattimenti, il fratello, mentre il figlio della signora Hart, il maggiore Clement, è rimasto mutilato. Le ustioni del corpo paiono, però, solo l’emergenza delle ferite che piagano l’anima, in un uomo solitario e impenetrabile, che nasconde ormai da anni un’affettività non convenzionale. La scomparsa, piuttosto improvvisa, dell’anziana degente, spinge Clement al desiderio di una sistemazione coniugale e Coral, alla ricerca, anch’ella, di stabilità, accetta la sua proposta matrimoniale. Un atroce delitto infesta, nel mentre, il bosco lì appresso. I due riescono a mala pena a convolare a nozze che Coral, indiziata di un reato ignominioso, è costretta ad allontanarsi.
Il testo presenta, non a caso, una frattura in due sezioni, diseguali per estensione e riuscita. La prima, più felice dell’altra sul piano letterario, è ambientata, per l’appunto, nel Leicestershire ed è quella che più risente dell’influsso del romanzo inglese classico e dei suoi tòpoi. Coral Glynn è imparentata, certo, con Omar Razaghi, ma è, al contempo, una pronipote sui generis delle Pamela Andrews e delle Jane Eyre dei secoli andati. Una governante scorbutica e devota ai padroni, una casa e un proprietario tutt’altro che rassicuranti, la paura, il dubbio, l’amore sono ereditari. La seconda sezione ha invece come scenario (o meglio, come scenario principale) Londra, che l’autore ben conosce per averci abitato, e accompagna la Coral fuggiasca nelle sue peripezie, mentre gli eventi s’instradano verso la soluzione. E verso un esito imprevisto.
Se un talento va riconosciuto a Cameron è quello di governare con pugno ferreo una trama orbitante intorno a una donna che più qualunque non si può. Coral non è un’eroina, ma neanche un’antieroina. Non è scossa da passioni goethiane, non incarna un prototipo d’inconcussa virtù né un’emanazione del male con la emme maiuscola. È una ragazza comune, tallonata da una sorte ostile rispetto alla quale non è del tutto innocente, ma, in fondo, neanche colpevole. A innalzarla dalla media e dalla mediocrità, non sono nemmeno un’intelligenza, una sensibilità o un’immaginazione particolarmente sviluppate. Coral lotta per la sopravvivenza, giorno dopo giorno, appesantita dai dispiaceri accumulati e animata dal desiderio di esserci ancora domani. Ha raccontato alcune bugie, un po’ per necessità, un po’ per scelta, come chiunque. I sentimenti, anche per lei, sono finestrelle che si aprono e chiudono a intervalli irregolari. Il tempo e le disavventure la muteranno o forse no: la sua evoluzione è più apparente che radicale. Coral, e qui si percepisce la stoffa dell’autore, è, essenzialmente, lo specchio in cui si riflettono le miserie e le storture dell’umanità che la circonda. Di una società misogina, dove una giovane donna può essere brutalizzata dal suo principale, come avvenuto, in passato, alla protagonista, senza che il colpevole ne subisca le conseguenze e dove il maschio, fin dall’infanzia, abusa della femmina; e ancora, di una società ipocrita, anaffettiva, classista. Eppure non priva di fermenti di solidarietà, di persone capaci di una sorprendente e incondizionata generosità. Coral è, innanzitutto, la pietra di paragone delle psicologie altrui. Ed è intorno a lei che si agitano o si adombrano i personaggi più interessanti, a cominciare da Clement, cesellato dalla penna di Cameron con una cura del dettaglio che ti muove a compassione dei suoi patemi. Per continuare con Dolly, colei che appare soltanto una dama ciarliera dell’upper class e disvelerà, invece, una nobiltà d’animo insospettabile, e con Robin, la faccia di un’ossessione che si aggrappa a ogni fibra del cuore.
Ciò che, invece, può lasciare perplessi (delusi?) e indurci a rimpiangere una spruzzata di cinismo, un po’ di Ian McEwan, per intendersi, è la fluidità con cui i fatti si ricompongono e la tensione accumulata svampisce in un ritorno all’ordine dove tutti, perfino Mrs. Prence, trovano il loro angolo di felicità. Mentre la modernità, con il suo seguito di infrastrutture e quartieri residenziali, va ridisegnando la fisionomia della campagna, seppellendo sotto il cemento i boschi intorno a villa Hart e i loro misteri, nell’esistenza dei personaggi tutto si aggiusta. Viene, pertanto, da domandarsi dove si sia andata a cacciare quella visione del mondo come teatro di un’angosciosa dissennatezza, come vascello alla deriva nel mare dell’irrazionale, che aveva dominato le pagine più belle del libro. Rovescio della medaglia, è proprio lo spericolato raggiungimento di un equilibrio a rivelare la filosofia di Cameron, l’idea che le prove a cui ci sottopone la vita ci temprino e da esse si possa trarre un insegnamento, perché l’infelicità è transitoria, e non una dimensione inestirpabile dello stare al mondo. La convinzione, insomma, che un giorno questo dolore ci sarà utile. Come lo è stato a Coral Glynn.
Bibliografia di Peter Cameron
Coral Glynn, Farrar, Straus & Giroux, New York 2012; trad. it. Coral Glynn, Adelphi, Milano 2012
Paura della matematica, Adelphi, Milano 2008 (raccolta di sette racconti a partire dal 1986)
Someday this pain will be useful to you, Farrar, Straus & Giroux, New York 2007; trad. it. Un giorno questo dolore ti sarà utile, Adelphi, Milano 2007
The city of your final destination, Farrar, Straus & Giroux, New York 2002; trad. it. Quella sera dorata, Adelphi, Milano 2006
Andorra, Farrar, Straus & Giroux, New York 1997
The half you don’t know, Plume, New York 1998
The weekend, Farrar, Straus & Giroux, New York 1994
Far-flung, HarperCollins, New York 1991
Leap year, Harper & Row, New York 1990
One way or another, Harper & Row, New York 1986; trad. it. In un modo o nell’altro, Rizzoli, Milano 1987
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