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Scrittura

Dove siamo e dove andremo: la letteratura degli anni zero

Cultura in Italia non significa valore aggiunto, bensì peso, inutile fardello. Ciò nonostante, la letteratura, la critica e i cosiddetti “operatori della conoscenza” cercano di resistere e continuano a battersi contro questo degrado morale della società. I critici, soprattutto, si sforzano di immaginare un futuro migliore, di trovare soluzioni per uscire da questo grigiore. E gli intellettuali, dove sono? Esistono ancora per combatttere questa crisi?
Andrea CortellessaDi recente, Andrea Cortellessa ha cercato di rispondere a queste domande, riflettendo sulla palude culturale dei primi anni Duemila con un intervento dal titolo «Intellettuali anno zero », che apre il libro Dove siamo? Nuove posizioni della critica, edito da Duepunti. Da tempo, Cortellessa si occupa del rapporto tra letteratura e mercato, tra cultura e pubblico. Egli è un protagonista del dibattito sulla crisi della critica letteraria. Nel titolo del suo brano, è riportato il termine intellettuali, classe sociale che sappiamo essere, ormai, in estinzione. È noto a tutti come i mass media e il depauperamento del ruolo della cultura nella società odierna siano una delle cause che li ha relegati negli angoli più bui. Nessuno si interessa più degli intellettuali, dei loro pensieri, né delle loro idee. Allora, che senso ha parlarne ancora, per di più in questi anni zero? Una ragione c’è , invece, perché dal baratro si può anche uscire, imparando dai proprio errori.

Certo, è impensabile un ritorno all’intellettuale “modello Zola”, quello del J’accuse, per intenderci, che si presentava come colui che risolveva i misteri e i problemi, ma non aveva le prove su cui basarsi. «Sin dalla sua nascita l’intellettuale è colui che sa, ma non ha le prove », si diceva una volta, parafrasando una celebre frase di Pasolini. PierPaolo PasoliniQuesto è stato nella sua natura: l’intellettuale non si basava su conoscenze specialistiche, non aveva titoli tecnici per intervenire. Era solo animato da un desiderio di conoscenza, un amore verso la verità. Pier Paolo Pasolini, nei suoi celebri Scritti corsari, lo diceva a chiare lettere: anche se non ho le prove, dovete credermi. All’intellettuale bisognava dare fiducia perché lui stesso era un marchio di garanzia, anche senza prove.

Ci si chiede, quindi: perché questo intellettuale è andato in crisi, negli anni zero? Perché intorno a lui sono calate le tenebre, e tutto è silenzio. Egli non desta più clamore, non richiama più l’attenzione su di sé. Siamo in una condizione diversa, oggi, secondo Cortellessa: se un tempo gli intellettuali godevano di una propria funzione pubblica, ed era ancora vivo il dibattito letterario ed artistico, oggi tutto si è ridotto a deserto. Non ci sono più scrittori o poeti che godano del prestigio e dell’autorità che poteva avere un Calvino, un Pasolini o un Sanguineti.
Che cosa è successo? Sono scomparsi i luoghi della produzione culturale e critica. Manca il dove scrivere. Certo, sono sopravvissute alcune riviste ed inserti culturali, ci sono tutt’oggi le terze pagine dei quotidiani. Internet, con i blog, rappresenta una forma nuova di comunicazione letteraria. Non basta, però. Si è persa la visibilità, l’attendibilità, l’originalità, e perfino la comunità degli scrittori sembra essersi dissolta: ognuno per la sua strada, almeno per sopravvivere! Ed ecco che, allora, in un mondo in cui ognuno tenta di sopravvivere come meglio crede, nascono fenomeni come Aldo Busi, su cui Cortellessa si sofferma.

Aldo Busi

Noto da tempo come opinionista nelle trasmissioni televisive più scadenti, o ex-naufrago di un noto reality-show, è l’esempio massimo di intellettuale-showman; rappresenta l’uomo di cultura che fa parte del sistema spettacolo e dello show biz senza avere più una funzione pubblica. Egli porta all’attenzione di tutti il suo privato, la soggettività del suo essere, ma non il senso delle sue opere. Di quelle, infatti, non interessa nulla a nessuno.

La sua funzione all’interno del palinsesto è esprimere nel modo più colorito possibile delle opinioni che a loro volta non interessano a nessuno

E non è finita qui. Se l’intellettuale deve farsi imprenditore di se stesso, in questa impresa egli sarà da solo. Lo abbiamo detto: ognuno per sé.  Non ci saranno compagni d’avventura né soci, e la strada della sopravvivenza sarà compiuta in totale solitudine. Infatti, la nuova condizione dell’intellettuale negli anni Zero, secondo Cortellessa, è singola ed irriducibile. Se un tempo egli poteva rivolgersi ad una platea di lettori ed ascoltatori, ora il dialogo si è trasformato in monologo, il cui valore viene riconosciuto soltanto dal suo autore. Sentirsi parte di una comunità era una delle condizioni indispensabile per il proprio prestigio per l’intellettuale del Novecento. Adesso lo scenario è mutato.
Trattasi, allora, di disengagament, ossia di caduta dell’impegno? In questo caso no, perché l’attenzione si sposta sulla platea dei lettori. Essa è mutata, negli utlimi decenni, divenendo postmoderna. Cortellessa, a questo proposito, riporta il concetto di intellettuale-interprete del sociologo polacco Zygmunt Bauman.

Zygmunt Bauman

Secondo Bauman, nella “modernità liquida” l’intellettuale sarebbe passato da legislatore, “colui che sa, ma non ha le prove”, ad interprete, “colui che traduce affermazioni”. Come già sappiamo, il postmoderno ha cambiato i connotati culturali della società. Tuttavia, per l’intellettuale non bisogna parlare di disengagament, bensì di ridefinizione del proprio ruolo. Molti studiosi e critici contemporanei, da Luperini a Benedetti passando per Berardinelli, non credono nella definizione di “impegno postmoderno”; per loro postmoderno è sinonimo di relativismo morale, individualismo, impoliticità. E questo è di certo valido in Italia, ma non all’estero: come si spiegherebbero, si chiede Cortellessa, opere come I versi satanici  di Rushdie, Vineland di Pynchon o La freccia del tempo di Amis, in cui l’impegno è chiaro?

Questi sono perfetti esempi di come si possa realizzare un apologo squisitamente politico senza affatto seguire i parametri ideologici cui ci ha abituati la modernità

Il postmoderno, dunque,  non significa disinteresse per la società e i suoi problemi, ma porta ad una ridefinizione del concetto di engagement. L’arte impegnata esiste ancora, ma prevede un maggiore coinvolgimento del lettore. Bisogna ammettere, senza indugi, che l’impegno postmodernista si basa molto sulle teorie reader-oriented. Ciò non significa che l’autore viene liquidato una volta per tutte, anzi: per paradosso, egli gioca un ruolo nuovo, ancora più centrale di un tempo. Roberto SavianoInfatti, riportando l’esperienza di Postmodern impegno, uno dei più importanti libri sulla materia, Cortellessa dichiara che  la centralità dell’autore «non è della sua coscienza razionale e organica, bensì congiunturale e locale: il suo stesso corpo».

L’esempio più lampante è rappresentato da Roberto Saviano. È un autore che “ci mette la faccia”, perché lui sa e ha le prove. Per dimostrarlo, deve prendere parte in prima persona all’indagine, deve condurre il lavoro minuzioso del detective. Non solo: deve costruire la propria immagine mediatica, con il proprio soggettivismo e le proprie rimostranze. Ecco il nuovo intellettuale degli anni zero: colui che può ancora essere ascoltato e riconosciuto dal pubblico. Nelle sue opere, il lettore/telespettatore verrà di continuo sollecitato dall’autore e dalle sue parole, gli verrà messa davanti agli occhi la cruda verità per poter averne un responso. Gomorra è un romanzo denuncia che sollecita il lettore ad indignarsi per il diabolico sistema economico e sociale delle terre che descrive. Tra autore e lettore si deve instaurare un rapporto stretto, di continuo confronto, affinché si  crei l’atmosfera di un vero dibattito culturale. L’autore presenta i fatti al lettore con grande enfasi, suggerendo che quella realtà è davvero così solamente perché vengono presentati da quel determinato scrittore, rischiando di perdere l’oggettività.

In verità, in questa sorta di gioco delle parti c’è un doppio fondo. Sembra che l’esigenza principale sia mostrare al pubblico la realtà dei fatti. Invece, c’è una forte esigenza dell’intellettuale di dare sfogo in modo pubblico ad un’esigenza privata. Una prassi che aveva avviato Pasolini con il suo “io so, ma non ho le prove”, e che è valida ancora oggi per Saviano.

Zola decideva di mettere in gioco il proprio prestigio e benessere privato in nome dell’interesse pubblico, mentre Pasolini esibisce in pubblico il teatro delle proprie opinioni al fine di conseguire scopi squisitamente privati

In sostanza, nel nostro tempo postmoderno, pubblica non è più la funzione dell’intellettuale, né la sua persona effettiva. «Pubblica è l’icona del privato di cui si fa mostra, esibizione e spettacolo» e l’intellettuale è parte integrante dello show biz. È questo il futuro vogliamo per la cultura? Queste saranno le nuove tendenza della letteratura e della sua critica? In tutta onestà, no. Non vogliamo una futura generazione di scrittori e critici letterari che pensano prima alla propria immagine che al proprio compito. E allora, lunga vita a Cortellessa!

 

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