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Palcoscenico

Annamaria Martinolli

Occupiamoci di Annamarì

Annamaria Martinolli parla - da intervistata - di Feydeau

martinolli-03La nostra caporedattrice Annamaria Martinolli è stata intervistata, in qualità di traduttrice delle opere e curatrice di diversi volumi sul teatro di Georges Feydeau, dalla Fondazione teatro Due di Parma, che è in procinto di mettere in scena una sua traduzione.
Riportiamo di seguito l’intervista, realizzata da Michela Astri, responsabile dell’ufficio stampa della Fondazione.

Michela Astri (MA): Quali sono le insidie e le opportunità della lingua di Feydeau? Nella fattispecie, ci può raccontare difficoltà e stimoli che ha incontrato nella traduzione de L’uomo di paglia?

Annamaria Martinolli (AM):  Feydeau era uno dei più grandi osservatori della sua epoca. Possedeva la capacità di cogliere immediatamente ogni singolo gesto e inflessione linguistica delle persone in cui si imbatteva. Questo lo induceva a trasferire sul palcoscenico proprio quella parlata reale, un po’ “sporca” se vogliamo, che aveva ben poco a che vedere con il “bon français” utilizzato da molti autori teatrali dello stesso periodo. Tradurre Feydeau implica, quindi, la capacità di riportare fedelmente anche i “difetti” linguistici, senza, tuttavia, cadere nella trappola di renderli fasulli.
L’uomo di paglia è, in questo senso, un testo peculiare. Innanzitutto, a differenza di molti altri testi dello stesso autore, è tutto incentrato sul linguaggio, mentre il movimento è ridotto quasi a zero – e questo implica, per il traduttore, un’ancora maggiore attenzione nel rendere efficaci gli scambi di battute. In secondo luogo, spesso, il dialogo prende una piega illogica che pur tuttavia, nella sua assurdità, mantiene un forte legame con il contesto in cui i due personaggi si muovono. Di conseguenza, la sfida è proprio questa: riuscire a trasmette l’idea di una situazione assurda che, però, parte da una serie di ragionamenti perfettamente logici.

MA: È ancora attuale l’umorismo di Feydeau? Necessita a suo avviso un’attualizzazione del contesto in cui è calato?

AM: L’umorismo di Feydeau è ancora attuale per come egli riesce a mettere in scena i difetti di una società che privilegia solo le apparenze. I suoi personaggi sono sempre impegnati a non perdere la faccia, e per farlo finiscono per mettersi nei guai e per concepire intrighi diabolici, senza pensare minimamente al danno che possono arrecare agli altri. I tipi di Feydeau non hanno una morale e non hanno neanche una cultura, anche se fingono di averla. Si limitano a seguire la moda: va di moda l’arte, e si mettono tutti a collezionare quadri che, in realtà, sono delle croste; va di moda la politica, e iniziano tutti a interessarsene senza nemmeno conoscerla.

Attualizzare il contesto in cui si muove Feydeau è, dal mio punto di vista, un’operazione fattibile ma pericolosa. Feydeau è un autore estremamente pignolo, che presta un’attenzione maniacale non solo al linguaggio, ma anche agli oggetti scenici, ai movimenti e, soprattutto, ai riferimenti all’epoca in cui vive. Attualizzarlo significa riuscire a trasferire tutto questo in un periodo più facilmente riconoscibile dal pubblico ma, se non lo si fa con la dovuta attenzione, c’è il rischio che il testo crolli come un castello di carte.

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MA: Esiste una differenza fra l’umorismo francese e quello italiano? Se sì, quali strategie adotta in sede di traduzione per colmare questa distanza?

AM: L’umorismo non è certamente qualcosa di universale. Nel senso che ogni cultura ha il suo modo di far ridere. I francesi non ridono alle stesse battute degli italiani, così come gli italiani possono restare impassibili di fronte all’umorismo inglese. Per quanto riguarda i testi di Feydeau, il problema non consiste solo nel fatto di tradurre in italiano l’umorismo francese, ma nel tradurre in italiano l’umorismo francese di fine Ottocento. Feydeau fa ampio ricorso a battute che coinvolgono personaggi della sua epoca e tutto il contesto culturale in cui si muovono, quindi spettacoli teatrali, opere d’arte, locali alla moda, opere musicali e monumenti. Inoltre, a volte, l’autore si diletta a citare una specifica tragedia storpiandola – per evidenziare l’ignoranza del personaggio che versifica. Tutto questo non è di facile resa in italiano, ma si tratta di operare una scelta.
Molti dei testi che ho tradotto sono stati pubblicati in formato cartaceo (da Editoria&Spettacolo) e allora, in quel caso, si può anche decidere di mantenere il riferimento e specificare con una nota il tipo di allusione. Tuttavia, se il testo è destinato alla rappresentazione, l’importante, per me, è valutare se si tratta di una generica battuta, che non ha lo scopo di attaccare niente e nessuno, o se si tratta di un deliberato attacco dell’autore a quella specifica realtà. Nel primo caso, la battuta può essere tranquillamente sostituita da un riferimento di pari efficacia ma più identificabile dal pubblico; nel secondo, cerco di riprodurre l’attacco rendendolo, però, più comprensibile.

MA: Lei ha tradotto l’intera produzione di Feydeau, inoltre cura un sito interamente a lui dedicato ricco di contenuti, contributi e curiosità. Com’è nata la sua passione per questo autore?

AM: In verità, non ho tradotto l’intera produzione di Feydeau. Tra commedie, atti unici e monologhi, ho tradotto quarantaquattro testi, ma me ne mancano ancora una decina, che mi farebbe piacere riuscire a tradurre entro i prossimi due anni.
La mia passione per l’autore è nata intorno agli anni Novanta, quando andai a vedere proprio un’opera di Feydeau. Si intitolava A scatola chiusa, ma la compagnia dell’epoca aveva deciso di metterla in scena con il titolo originale tradotto alla lettera: “Il gatto in tasca” (in originale Chat en poche significa proprio “Il gatto in tasca” ma, in senso figurato, significa acquistare qualcosa a scatola chiusa).
Durante la rappresentazione, una signora, seduta accanto a me, che ero ancora bambina, mi spiegò di trovarsi lì perché le piacevano i gatti (dato il titolo italiano, credeva si trattasse di una commedia sui gatti). Il fraintendimento mi colpì molto.

Anni dopo, quando stavo per laurearmi in traduzione letteraria e tecnico-scientifica presso l’Università di Trieste, decisi di dedicare la mia tesi proprio a Feydeau e a quattro traduzioni italiane della sua commedia in tre atti Il tacchino.
Mi laureai con centodieci e lode, e da lì è nato tutto, nel senso che mi resi conto di nutrire per questo autore un interesse tale che mi induceva ad approfondirne sempre di più la conoscenza. Il sito web (http://annamariamartinolli.wordpress.com) è nato per condividere con tutti l’enorme quantità di materiale che sono riuscita a reperire durante le mie ricerche, e per permettere a chiunque ami questo autore di scoprirne anche gli aspetti meno noti.

martinolli-01MA: Quali sono gli elementi che più l’hanno affascinata nella produzione letteraria e nella scrittura di Feydeau? E nella biografia?

AM: Nella produzione letteraria, mi ha colpito il suo riuscire a occultare tematiche molto serie sotto una patina di buffoneria. Di primo acchito, i personaggi di Feydeau sembrano solo degli sciocchi ma, andando oltre le apparenze, ci si rende conto che l’autore mette in scena l’incomunicabilità tra esseri umani. Sono tutti talmente impegnati a tutelare il proprio status che non pensano a comunicare davvero né a conoscersi a fondo. I mariti e le mogli girano come trottole nel tentativo di salvaguardarsi la reputazione, ma sono come due sconosciuti in casa. I ricchi borghesi, in compenso, fanno sfoggio di una cultura fasulla nella consapevolezza che, comunque, nessuno potrà smentirli visto che il loro ambiente non è frequentato da veri intellettuali.
La scrittura di Feydeau, in cambio, possiede un’intensità notevole. I riferimenti, i rimandi, le battute di spirito, le metafore sono tutti elementi che la rendono complessa da decifrare e incredibilmente vivace. Anche le didascalie (a volte lunghe una pagina intera), che pur sul palcoscenico non si vedono, sono il frutto di una mente brillante e precisa che non voleva lasciare nulla al caso e teneva a che le sue commedie venissero rappresentate con cura senza distruggerne l’essenza.

La vita di Feydeau, al contrario di quello che si potrebbe pensare, è stata una vita molto tormentata. Personalmente, nutro profonda ammirazione per la sua capacità di non indietreggiare mai di fronte alle critiche e per come ha sempre saputo difendere il suo teatro. Le pièce di Feydeau, infatti, sono sempre state considerate, dai suoi contemporanei, delle semplici buffonate che non avevano nulla a che vedere con il grande teatro di un Molière, di un Racine o di un Corneille. Feydeau soffriva molto per questo ma, a differenza del suo predecessore Eugène Labiche, che pur di farsi accettare iniziò a scrivere commedie secondo i canoni stilistici richiesti dall’epoca, egli non rinnegò mai il suo stile e, anzi, continuò per la sua strada asserendo che i suoi testi non erano affatto stupidi e che meritavano di essere rappresentati nei grandi teatri tanto quanto quelli degli altri. Aveva ragione.

MA: Secondo lei per quale motivo in Italia Georges Feydeau è così poco frequentato?

AM: In realtà, il fatto che sia poco frequentato non è del tutto esatto. Mi spiego meglio. Le commedie in tre atti di Feydeau sono di una complessità notevole, non solo per il linguaggio ma anche per il numero di personaggi coinvolti (in alcuni casi addirittura ventinove) e per le scenografie non facili da gestire (in La pulce nell’orecchio c’è un grande letto girevole; in I fidanzati di Loches ci sono tre docce che riversano litri d’acqua sul palcoscenico; in Il tacchino i personaggi entrano ed escono di scena almeno trecento volte e, se il palcoscenico è piccolo, la cosa non funziona), ragion per cui, se una compagnia non dispone dei mezzi necessari è difficile che possa allestire uno di questi testi. Tuttavia, ci sono diverse compagnie, soprattutto amatoriali, che mettono in scena testi di Feydeau, per lo più gli atti unici, con la tecnica del “libero adattamento”.
Sinceramente, non saprei dire se questo sia positivo o negativo, ma molti registi teatrali italiani tendono a “ispirarsi” a testi di Feydeau per poi crearne uno nuovo di zecca che faccia divertire il pubblico senza alcuna pretesa.
Di conseguenza, direi che il Feydeau originale è sicuramente poco frequentato perché bisogna coglierne non solo il linguaggio ma anche avere la capacità di preservarne lo stile senza distruggerlo, mentre il Feydeau liberamente adattato sta conoscendo larga diffusione.

Annamarì è il nomignolo con cui Annamaria Martinolli viene affettuosamente chiamata nella redazione che ora dirige. Lo abbiamo usato nel titolo per mere ragioni fonetiche, ma nessuno, al di fuori di Fucine Mute, lo usa. Oltre a lavorare come traduttrice e curatrice di libri, e a contribuire a queste pagine, Martinolli tiene due blog a tema letterario: Il rifugio di Agatha Christie e L’angolo di Georges Feydeau, che porta il suo nome, una risorsa eccezionale di materiale sull’autore, in lingua italiana e non solo. È presente anche sui principali social-network: Facebook, Twitter e Linked-In. La pièce L’uomo di paglia sarà messa in scena alla Fondazione Teatro Due di Parma il 28 febbraio, il 1° marzo e nuovamente dal 10 al 15 marzo. Presentazione dell’opera e orari degli spettacoli sono disponibili sul sito della Fondazione (da cui l’immagine relativa allo spettacolo è tratta).

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