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Musica

Breve excursus estetico tecnico/formale sulla forma sonata

Sonata Pitfield per xilofono di Thomas Baron Pitfield

Thomas Baron PitfieldCome sempre il nostro pensiero si rivolge all’universo percussione, trattando questa volta la forma strumentale sonata sia dal punto di vista dell’estetica sia dal punto di vista tecnico/formale. Il fine dello scritto ha la presunzione di dimostrare che la letteratura degli strumenti a percussione, e gli stessi strumenti a percussione, hanno pari dignità rispetto alle altre famiglie strumentali e alla letteratura a loro dedicata. Tra le numerose sonate, composte per strumenti a percussione, tratteremo Pitfield di Thomas Baron Pitfield, dedicata a Eric Wooliscroft.

Thomas Baron Pitfield nacque a Bolton il 5 aprile 1903, fu compositore britannico, poeta, artista, incisore, calligrapher, artigiano, costruttore di mobili e insegnante.

Compositore essenzialmente autodidatta, studiò in compenso pianoforte, violoncello e armonia, prima privatamente in seguito presso il Royal Manchester College of Music, dove insegnò composizione dal 1947 al 1973.

Ha donato pagine numerose di musica per studenti e dilettanti tra le quali citiamo: Sinfonietta a cinque movimenti; un trio per flauto, oboe e pianoforte; concerti per pianoforte, violino, registratore e percussioni; sonata per xilofono, per oboe; opere soliste per fisarmonica e armonica; inoltre, ha anche inventato uno strumento chiamato patterphone per produrre suoni simili alla pioggia.

Morì all’età di novantasei anni l’11 novembre 1999.

La sonata summenzionata è stata pubblicata nel 1967. Per esporla, ho dovuto includere una serie di note atte a dimostrare la mia tesi, e cioè che la sonata da me scelta è una composizione che segue le linee guida del Novecento, e che il compositore era un musicista che ha saputo mettere in risalto le capacità dell’esecutore e le possibilità sonoro/esecutive dello strumento.

Definizione e breve storia del termine sonata

Con il termine sonata si designano differenti composizioni strumentali.

Nel Cinquecento il termine indicava una composizione prettamente strumentale, senza una struttura compositiva stabilita. Con lo sviluppo in Italia della canzone, derivata a sua volta dalla chanson francese, la sonata venne a designare una forma più propria nella quale si riconoscevano tratti stilistici del ricercare e delle numerose danze in uso nel periodo, nonché la contrapposizione di più sezioni, omofoniche e contrappuntistiche, proprie del mottetto.

Nel Seicento la forma fu circoscritta nell’ambito della musica da camera per uno o pochi strumenti, e, sempre nello stesso secolo, si designarono le due compagini strumentali più appropriate e approvate per il periodo, in altre parole la sonata a due e a tre eseguita da un violino e da due violini accompagnati da uno strumento, in genere il clavicembalo che fungeva da basso continuo. La sonata a tre, a seconda della destinazione ove era fruita, si distingueva in sonata da chiesa o da camera. Sostanzialmente, la sonata da camera si presentava in più tempi: un allegro, un adagio, un vivace di carattere brillante, un altro adagio e un allegro finale (scuola bolognese), anche se in seguito assunse una notevole varietà di atteggiamenti, accogliendo spesso i più diversi ritmi di danza sino a trasmutarsi in forme nettamente ripartite e meno compatte rispetto alle originali, quali la partita, la suite, l’ordre; mentre la sonata da chiesa si presentava con un adagio introduttivo, un allegro fugato, un altro adagio e un allegro conclusivo.

Sonata PitfieldNel Settecento, di pari passo al progresso della tecnica esecutiva sullo strumento ad arco, si sviluppò soprattutto la sonata solistica, che si presentò di più ampio respiro e senza uno schema fisso nei movimenti.

Due furono le cause che determinarono, nella prima metà del XVIII secolo, la trasformazione della tarda sonata barocca: da un lato l’importanza acquisita dallo strumento a tastiera nei confronti degli archi, che condusse al capovolgimento del rapporto trasferendo allo strumento a tastiera il ruolo principale e al violino e al violoncello la funzione di accompagnamento; dall’altro il passaggio da organismi musicali basati sullo sviluppo continuo di una figura tematica singola a strutture fondate su simmetrie e corrispondenze, sul raggruppamento gerarchico delle frasi, sull’uso più variegato dei coloriti e dell’armonia. Questa mutazione si produsse contemporaneamente alla tendenza a ridurre la sonata fino a un unico movimento, come mostra Domenico Scarlatti. La sonata di Scarlatti, salvo eccezioni, si configura in un tempo solo bipartito, cioè diviso in due sezioni delimitate da ritornello: nella prima sezione il tema è condotto passando dalla tonalità di impianto a quella della dominante (se la sonata è in maggiore) o a quella maggiore relativa (se la sonata è in minore); nella seconda sezione elementi del tema stesso riportano alla tonalità di base. In questo modo la sonata scarlattiana, pur conservandosi monotematica, delinea il tragitto modulante fondamentale della cosiddetta forma-sonata, che si affermerà con la scuola viennese a partire da Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart[1].

In seguito, i movimenti della sonata tendono a ridursi a due o tre, mentre si fa molto significativa l’influenza dell’“aria col da capo” operistica, che annuncia la parabola dell’esposizione, dello sviluppo e della ripresa, e che sarà propria anch’essa della forma-sonata. Tuttavia, la struttura vera e propria, consistente in un allegro in forma-sonata, un adagio, un minuetto e un allegro conclusivo, si stabilirà con Carl Philipp Stamitz, fondatore della scuola di Mannheim.

Nell’Ottocento, la sonata pianistica rimase la forma musicale di maggior prestigio e di più elevato impegno costruttivo, anche se i compositori del periodo preferirono le brevi forme libere come il notturno, l’improvviso e lo studio.

Una caratteristica comune nell’Ottocento è la maggiore importanza che assumono nello schema sonatistico i procedimenti elaborativi rispetto alla pura presentazione o ripetizione dei temi; ciò porta non solo ad ampliare nella forma-sonata la sezione propriamente riservata allo sviluppo, ma anche a dare maggior risalto a episodi strutturalmente secondari (come le transazioni, i ponti modulanti, le ritransizioni) e soprattutto alla coda conclusiva, che in certi casi assume dimensioni di una seconda sezione di sviluppo[2].

Negli ultimi decenni del secolo si afferma un’idea organistica della forma che porta a pensare alla sonata come a un ciclo che si evolve; tutti i temi dei suoi movimenti, infatti, derivano da un unico motivo germinale. Questo principio prende forma nella sonata ciclica, coltivata soprattutto in Francia.

Tuttavia, nelle correnti modernistiche novecentesche, la sonata tende, in generale, a scostarsi nettamente dallo schema classico-romantico, assumendo fisionomie multiformi dettate da criteri compositivi autonomi e ripensati ex novo, che guardano a quel modello tutt’al più come un riferimento puramente allusivo, ovvero si rifanno più o meno esplicitamente a schemi preclassici o più arcaici. Ancora più radicale è lo svuotamento delle connotazioni tradizionali del termine operato dall’avanguardia del secondo dopoguerra – ad esempio nelle due Sonate per pianoforte di Pierre Boulez che del modello storico della sonata conservano solo il significato di “banco di prova” per l’esplorazione di nuove strutture – . Ma una tendenza retrospettiva è, per contro, nuovamente osservabile oggi presso i compositori della generazione più giovane[3].

Struttura della forma-sonata

La struttura della forma-sonata classica si presenta in quattro tempi: il primo tempo, di andamento allegro, concepito in forma-sonata; il secondo tempo, adagio, in forma di lied oppure un tema con variazioni; il terzo tempo (spesso omesso), costituito da un minuetto; il quarto tempo, un altro allegro, concepito in forma di rondò, tema con variazioni o nuovamente in forma-sonata. Nella pratica, tuttavia, gli autori non seguono strettamente i singoli modelli, né la successione prestabilita dei tempi. Molte sono le eccezioni alla regola, appunto per adattare, di volta in volta, l’architettura alla migliore espressione del loro pensiero musicale. Il primo tempo è quindi concepito in forma di sonata: movimento allegro che si allaccia alla forma e allo spirito della fuga. È basato fondamentalmente sull’opposizione, sul contrasto o, almeno, sulla diversità di carattere di due temi principali attorno ai quali si raccolgono altri elementi tematici di minore importanza.

Il termine tema fa nascere talvolta confusione poiché comunemente si tende a confonderlo come primo elemento importante e caratterizzante; in realtà, è da intendere come un insieme di periodi aventi unità tonale, nonostante la presenza di notevoli modulazioni transitorie, e costituenti la rappresentazione sonora di un’unica importante idea musicale. Si tratta perciò di un organismo che comprende un certo numero di battute, nella media da venti a cinquanta circa, il quale è protagonista delle vicende dell’intero primo tempo.

Thomas Baron PitfieldIl primo tema è di solito robustamente scandito nei ritmi e può essere preceduto da un’introduzione, caratterizzata da un movimento lento spesso interrotto da corone e da pause e da un’incertezza tonale. Ciò che collega e sposta l’interesse dal primo tema al secondo tema è il ponte modulante, un mezzo, un giro logico di motivi musicali e di modulazioni che può essere costruito come episodio a sé stante, con tematica propria, architettato come progressione modulante di un motivo originale che conduce al pedale di dominante del tono del secondo tema, oppure come naturale e spontanea continuazione del primo tema che si aggancia direttamente al secondo tema, senza l’intervento di elementi nuovi.

Il secondo tema ha un carattere più melodico con una plastica lineare più aperta e distesa e costituisce il nuovo pensiero musicale da contrapporre al primo. Ha di solito una lunghezza proporzionata a quella del tema precedente, ma è impostato in un tono affatto diverso, scelto fra i toni vicini a quello d’imposto del primo e comunque fra i non lontani. Il modello “scolastico” propone per la scelta il grado della dominante per le sonate di modo maggiore, e la tonalità relativa maggiore per le sonate di modo minore. A coronare maggiormente il senso di chiusa del secondo tema concorrono spesso alcune formule cadenzali che qualche trattatista chiama codette e che sono organismi “ricavati” da motivi caratteristici del primo e del secondo tema, oppure architettati su nuovi motivi indipendenti.

Lo svolgimento e la ripresa

Con la presentazione dei due temi principali, in parte preceduti dall’introduzione, e degli altri elementi di “cornice”, si chiude la prima parte del primo tempo ”sonatistico” denominata esposizione. La seconda parte, cioè lo svolgimento o elaborazione, non ha né può avere un modello formale prestabilito, ma costituisce il “momento” più delicato e importante di tutto il primo tempo. Scopo dello svolgimento è comunque quello di sviscerare i temi proposti nell’esposizione analizzandone, attraverso attente indagini, ogni elemento, mettendolo in luce e valorizzandolo musicalmente fino alle estreme possibilità secondo i princìpi architettonici e “dialettici” che guidano la costituzione dei divertimenti della fuga (progressioni, modulazioni, trasporti tematici, imitazioni, rivolti, ecc. ecc.). La terza parte del primo tempo è la ripresa, cioè la “riesposizione” degli elementi presentati nella prima parte, ma con alcune logiche varianti. Il primo tema riappare, di solito, tale e quale e nello stesso tono d’imposto. Talvolta è abbreviato, allungato, riarmonizzato, fiorito, a seconda delle esigenze relative a ogni singola sonata. Il ponte modulante nella terza parte cambia funzione, poiché deve unire due temi nella medesima tonalità; talvolta è soppresso o sostituito da un nuovo episodio. Il secondo tema (come già detto) si presenta nella tonalità del primo tema e può essere pure variato nei modi più atti a renderlo interessante. Presenza di codette, che riconfermano il tono principale e che conducono a una coda che ha la funzione di stabilizzare definitivamente il tono e di dare il più forte senso di “chiusa” all’intero tempo[4].

Il secondo tempo della sonata classica, d’andamento lento, ha spesso la forma di lied (dalla più semplice, consistente in una parte, una seconda parte, una ripresa variata della prima parte; alla forma più elaborata, come quella che osservi il modulo del rondò, con l’alterno ricorrere di un’idea principale fra altre secondarie) oppure può essere un tema con variazione. Il terzo tempo, che è spesso omesso, è costituito da un minuetto; dunque da due parti (minuetto e trio) tematicamente in opposizione, ciascuna a sua volta bipartita, delle quali la prima viene replicata a conclusione dopo la seconda. L’ultimo tempo, quando non sia nella più consueta forma di rondò, può anche essere un tema con variazioni o adottare di nuovo la forma-sonata[5].

La sonata Pitfield

La sonata Pitfield per xilofono si presenta in quattro tempi:
Il primo tempo, Introduction, è un “allegretto grazioso” con indicazione semiminima circa a 100 di metronomo, in 7/8, cinquantaquattro battute, presenza di un D.C. (da capo fino al segno, in questo caso, a parola Fine), presenza di legature di frase e di portamento, presenza di crescendo, diminuendo, suoni puntati, ritardo, poco ritardato, presenza di alterazioni, accenti. Le dinamiche variano da pp al f, ma le indicazioni di espressione, sia dinamiche che di fraseggio, sono anche indicate dalle parole subito, a tempo, meno marcato, più marcato, simile.

Le indicazioni del compositore sono sulle bacchette da adoperare: mano destra bacchette morbide di gomma, mano sinistra bacchetta di gomma, medio dura. E alcuni suoni sono racchiusi in parentesi tonda.

Questa una prima precisazione sulle caratteristiche stilistiche di questa sonata per xilofono; il primo tempo si esegue con tre bacchette, due affidate alla mano destra, una alla mano sinistra, ma per tutta la sonata sono previste anche quattro bacchette e le tradizionali due che si adoperano maggiormente sullo xilofono rispetto alla marimba e al vibrafono.

C’è un’indicazione in legenda in questo primo tempo riferita alla quarta battuta: il compositore suggerisce di girare le bacchette ad angolo, per modificare l’effetto percepibile dell’atto percussivo tra i tasti corrispondenti alle note scritte.

Ovviamente la forma presenta tutte le innovazioni del Novecento; infatti, dopo la chiave di violino, non ci sono alterazioni, ma non siamo né in DO maggiore né nella sua relativa LA minore. Già nella prima battuta troviamo un RE diesis, suono questo apparentemente estraneo alle due tonalità menzionate.

Il tessuto è dato soprattutto da terze, maggiori e minori, e, alcune volte, quando i suoni sono simultanei, è possibile riconoscere accordi di triade maggiori e minori (soprattutto da battuta trentacinque).

Potremmo azzardare a dire che un primo tema, a percezione in modo maggiore, termina con una cadenza a battuta diciassette. Il secondo tema, in modo minore, termina a battuta trentaquattro, con presenza di altra cadenza. Nel secondo tema è presente anche una modificazione nel senso metrico dato dalla riduzione del fraseggio ritmico, ovvero del valore che vede la riduzione in semicrome rispetto al disegno ritmico del primo tema. Appare, però, più “morbido” perché vi è la presenza a battuta venticinque di un “poco ritardato”, al quale segue, a battuta ventisei, “a tempo”.

Il primo tema, a livello dinamico, presenta un mp che conduce a un f che decresce a un piano, mentre il secondo tema da un pp cresce per poi ritornare subito al pp iniziale.

Musicalmente, i due temi non sono noiosi; i motivi tematici sono chiari e piacevoli, arricchiti da accenti e note puntate nel primo tema (battuta sette), mentre nel secondo tema vi è maggioranza di suoni legati.

Da battuta trentacinque tutto si modifica, e ciò si evince sia armonicamente che a livello fraseologico. Per noi questo potrebbe essere lo sviluppo.

Da battuta trentacinque, come già anticipato, vi è la presenza di triade maggiori e minori.

Presenza di piccoli gruppi di suoni legati. Presenza di combinazioni all’interno della stessa battuta, di espedienti fraseologici di espressione (battute trentasette e trentotto), legature, suoni accentati e suoni puntati. Dinamica più ricca, dal pp leggero al mezzo forte, dal pp al mp al pp subito. Crescendo e diminuendo e presenza di alterazioni transitorie.

Molto interessanti sono le battute dal quarantacinque al cinquanta che ci riconducono alla tonalità d’impianto.

Da battuta cinquantuno a battuta cinquantaquattro ha inizio, per noi, la ripresa.

Xilofono

Secondo tempo della sonata Pitfield

Il secondo tempo nella sonata Pitfield è un “poco allegro leggero”, indicazione di semiminima circa a 108 di metronomo, dal titolo: Intermezzo.

Si presenta in 10/8, trentatré battute, con dinamiche che variano dal pp al f. Presenza di crescendo e diminuendo, accenti, punto di valore alla pausa. Presenza di alterazioni transitorie. A battuta tredici vi è la presenza di un glissando.

Si esegue con due bacchette e, per indicazione dello stesso compositore, avremo: mano destra bacchetta di gomma dura o media, mano sinistra bacchetta di gomma morbida.

Alla mano sinistra è affidata maggiore cantabilità; trasmette, infatti, un’idea sia fraseologica che melodica. Mentre alla mano destra è affidato un disegno più ritmico e armonico. Entrambe le mani, tuttavia, concorrono a definire un’unica idea musicale.

Battute dodici e tredici corrispondono all’ingresso elaborativo nella nuova tonalità, appaiono, infatti, diverse alterazioni, (battute diciannove e venti). Da battuta ventotto in poi si ritorna nella tonalità d’impianto.

I respiri di questo tempo sono espressi maggiormente dalla presenza di pause.

Terzo tempo

Il terzo tempo della sonata è un 2/2 “vivace e giocoso”, con indicazione di metronomo di minima a 138, sessantatré battute, e dal titolo Reel.

L’unica indicazione del compositore è quella delle quattro bacchette che si adoperano per eseguire il tempo: quattro bacchette di gomma dure.

C’è un ritornello che, da battuta ventuno, ritorna da capo; infatti, c’è anche la dicitura D. C.

Le dinamiche variano dal p al f, presenza di crescendo e diminuendo, ma l’espressività del brano è indicata anche da più leggero, associata al piano o ai crescendo, volendo indicare all’esecutore maggiore cura nell’alleggerire l’atto percussivo. Presenza di pause, alterazioni transitorie e accenti.

Il tessuto è dato da terze maggiori e minori che, ascendendo e diminuendo, creano un tema che è variato, modificandosi per valore, espressione e registro (quest’ultimo, tra battuta cinquantadue e cinquantatré).

Nell’ultima battuta presenza di suoni accentati e glissando.

Sonata Pitfield

Quarto tempo

Il quarto tempo, l’ultimo della sonata, è un “presto” in 2/4, con indicazione di semiminima a 144 di metronomo, e dal titolo Toccata.

In questo tempo ci sono più indicazioni del compositore: dalle due bacchette consigliate, di gomma media, alle leggende di battuta cinquantanove, sessantaquattro, sessantacinque, sessantotto e centosette. Le prime quattro indicano due possibili esecuzioni, l’ultima un effetto sonoro.

Presenza di due diverse notazioni: quella classica, simile a tutti i musicisti, e una scrittura indicante l’effetto sonoro richiesto dal compositore. A battuta quarantasei, il compositore indica che il tasto deve essere percosso con il manico della bacchetta e non in modo tradizionale, e l’effetto scritto con asterisco è visibile in altre battute: quarantasette, quarantanove, settantadue, settantatré, settantacinque e settantasette.

Le dinamiche variano dal pp al ff, presenza di accenti, crescendo e diminuendo, presenza di alterazioni transitorie, ritornello iniziale, glissando e indicazioni espressive scritte: subito, effetti sonori, ritardo, punto di corona, a tempo, marcato.

Il materiale sonoro è dato maggiormente da semicrome ribattute, che si modificano ritmicamente variando in terzine di semicrome, ma anche in crome. Questa variazione ritmica, in altre parole di durata del suono, rende il quarto tempo interessante e non monotono.

La variazione si ha da battuta quarantaquattro a battuta ottantuno, dove è possibile osservare il modificarsi della pulsione sia ritmicamente sia armonicamente; ne consegue una percezione melodica nuova, data anche dalle indicazioni espressive scritte e dal fraseggio più ampio in conseguenza della presenza di pause e di figure di maggiore valore che si alternano con le semicrome.

Questa variazione termina a battuta ottantuno con un’elaborazione armonica che, dopo un punto di corona, ci riporta alla tonalità iniziale e allo stesso disegno principale, ma non esattamente come la prima volta.

Da battuta ottantadue fino alla fine sono presenti materiali riscontrabili in entrambe le parti già esposte, che sono assemblate per realizzare quest’ultima parte.

Conclusioni

Lo strumento musicale xilofono – appartenente alla famiglia degli strumenti a percussione; con caratteristiche di suono secco, ben definito, cristallino, penetrante, brillante senza risonanza, con altissimi armonici non determinati e in grado di dominare su un’intera orchestra se non suonato con dinamiche ridotte – inizia a essere valorizzato, per le sue caratteristiche, con il grande compositore Igor Fëdorovič Stravinskij, ma certamente la sonata Pitfield, con le sue dinamiche delicate e l’utilizzo non convenzionale delle semplici due bacchette, avvalora lo strumento. Al compositore Thomas Baron Pitfield va quindi il merito di aver dato “voce” a questo strumento che in passato era solo adoperato per brevi interventi e note ripetute.

Qui è possibile ascoltare un’esecuzione della sonata:

Note:
[1] L’Universale, vol. 14, Mondadori, Milano, 2005, pag. 835.
[2] L’Universale, vol. 14, Mondadori, Milano, 2005, pag. 836.
[3] L’Universale, vol. 14, Mondadori, Milano, 2005, pag. 836.
[4] Appunti di analisi formale, Renato Dionisi, XV edizione, Edizioni Curci Milano, da pag. 21 a pag. 26.
[5] L’Universale, vol. 14, Mondadori, Milano, 2005, pag. 835-836.

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