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Cinema

Barriera invisibile (Gentleman’s Agreement)

Un libro e un film da riscoprire

Barriera invisibile (libro)Gentleman’s Agreement, noto in Italia con il titolo Barriera Invisibile, fu composto da Laura Z. Hobson, nata Laura Kean Zametkin, negli anni Quaranta del Novecento e pubblicato dalla Simon & Schuster nel mese di febbraio del 1947. All’epoca, negli Stati Uniti, l’antisemitismo era una pratica talmente diffusa da passare quasi inosservata. La stessa Hobson, figlia di immigrati russi ebrei agnostici, fu costretta a cambiare nome pur di trovare lavoro – fu reporter per il New York Post e la prima donna a lavorare per il Time ricoprendo un incarico diverso da quello di segretaria – mentre l’episodio che la spinse a scrivere il romanzo fu l’insulto che, nel 1944, il membro del congresso John Rankin rivolse al giornalista Walter Winchell definendolo “sporco ebreo” e ricevendo l’applauso dei colleghi.

Il successo clamoroso dell’opera, rimasta in testa alla classifica dei best seller del New York Times per cinque mesi, convinse la Twentieth Century-Fox a produrne la trasposizione cinematografica, per la regia di Elia Kazan. Il film si distinse per la presenza, nella troupe, di persone appartenenti a religioni diverse: lo sceneggiatore Moss Hart era ebreo, Elia Kazan greco-ortodosso, il produttore Darryl Zanuck metodista e Gregory Peck cattolico.

Benché sia il libro che il film non affrontino il problema alla radice – non si cita mai l’olocausto e non si parla di cosa ha determinato questa profonda cultura antisemita – le due opere lasciano comunque il segno nel lettore e nello spettatore spingendoli a prendere coscienza di una situazione che all’epoca veniva data per scontata, e accettata in base a un tacito gentlemen’s agreement.

Nel 1948 il film fu candidato a otto premi Oscar e ne vinse tre (Miglior Film, Miglior Regista e Miglior Attrice non protagonista). Tuttavia, trattandosi di un film dal contenuto politico, la commissione per le attività antiamericane convocò a testimoniare Elia Kazan, il produttore Darryl Zanuck e gli attori John Garfield e Anne Revere (rispettivamente l’amico ebreo e la madre del protagonista). Quest’ultima si rifiutò di presentarsi davanti alla commissione e fu inserita nei “canali rossi” della Lista nera di Hollywood in cui rientravano i “fascisti rossi e loro simpatizzanti”.

Laura Z. Hobson scrisse anche altre opere degne di nota, tra cui The Trespassers (1943), sui rifugiati europei e le difficoltà che si trovano costretti ad affrontare per arrivare negli Stati Uniti e costruirsi una nuova vita, e Consenting Adult (1975), su una madre che scopre l’omosessualità del figlio.

Si riportano qui di seguito, a titolo conoscitivo e di approfondimento, l’articolo di recensione a Gentleman’s Agreement, scritto all’epoca da Rufus E. Clement per Phylon, Vol. 8, No. 4 (4th Qtr., 1947), Clark Atlanta University, pp. 389-391, e l’articolo di recensione al film scritto da Bosley Crowther per il New York Times il 12 novembre 1947. La traduzione è mia.

Il libro è tuttora reperibile presso le maggiori librerie antiquarie italiane.

Il DVD del film è in vendita nei negozi online.

Barriera invisibile (libro):

Barriera invisibile (libro)Questo libro è stato, a pieno merito, ai vertici della classifica dei best-seller americani per parecchi mesi. “A pieno merito” perché si tratta di un romanzo scorrevole, interessante e ben scritto, e perché la storia riguarda un importante aspetto di quell’orribile razzismo che oggi domina buona parte della civiltà occidentale.

Uno scrittore coscienzioso e gran lavoratore si trasferisce sulla costa orientale degli Stati Uniti su richiesta dell’editore di un settimanale molto noto a livello nazionale per scrivere una serie di articoli sull’antisemitismo. Lo scrittore, Philip Schuyler Green, ha non poche difficoltà a decidere quale impronta dare agli articoli in modo da catturare l’attenzione dei lettori, finché, mentre inizia a raccogliere il materiale necessario, pensa di farsi passare lui stesso per ebreo. Poiché nessuno, nella zona di New York, conosce la sua famiglia, la cosa risulta meno complicata di quanto si possa immaginare. A questo si aggiunge la vecchia e feroce idea in base alla quale nessuno gli darebbe dell’ebreo se fosse un anglosassone purosangue (“In questa repubblica campeggia ovunque la frase: “Libero, bianco e ventunenne!”, che rappresenta il massimo criterio di eccellenza”).

Non ci vuole molto perché il protagonista si imbatta nelle varie forme ed espressioni della discriminazione razziale di cui oggigiorno sono vittima i fratelli carnali dell’uomo di Galilea (“Veneriamo Gesù e continuiamo a crocifiggere la sua famiglia”). Una delle sue sorelle (all’oscuro della decisione di lui) si rivela sorprendentemente antisemita, infatti pretende che nessuno “tiri sul prezzo come gli ebrei” quando è impegnata a negoziare un contratto. Circoli sociali, alberghi, agenti immobiliari con buoni appartamenti da affittare, istituti di medicina, vicini di casa e impiegati contribuiscono a incrementare la conoscenza di Green sull’argomento, nonché ad aumentare la sua rabbia e il suo disgusto. Per un istante, egli arriva anche a dubitare della sincerità (e dell’assenza di pregiudizi) della ragazza di cui è innamorato, che, inizialmente, ha suggerito la serie di articoli all’editore, suo zio.

La prenotazione di una stanza d’albergo per le vacanze viene fatta in due modi: “A nome di Philip Green” e “A nome mio e di mio cugino, il Capitano Joseph Greenberg”, con il risultato che tutte le richieste di prenotazione a nome Green vengono accettate, e accompagnate da una cortese risposta, mentre quelle a nome suo e del cugino Joseph Greenberg ricevono un secco “l’albergo è al completo”. Qualsiasi sia la zona in cui è ubicato l’albergo (o il cottage) – Atlantic City, Miami Beach, Palm Beach, Bermuda, New Canaan, – la risposta non cambia (“clientela selezionata”, “accesso riservato”, “ingresso riservato solo ai cristiani” a cui si aggiunge “non serviamo gli ebrei e non avremmo bisogno di loro se potessimo servirci da soli. Dio che ci aiuta e le leggi della più grande nazione democratica sulla faccia di questo mondo devastato dalla guerra siano dannati”).

Philip Green avrà la sua storia, un’ottima storia, ma in cambio si guadagnerà l’ostilità della sorella, si ritroverà con un figlio piccolo, frutto di un matrimonio precedente, bullizzato dai figli dei vicini e vivrà una storia d’amore che rischierà miseramente di fallire. Tutto questo grazie al suo scoprire davvero cosa significa appartenere a un gruppo contro il quale viene quotidianamente praticata una forma di discriminazione (sia palese che impercettibile).

Il libro è importante perché sfida i valori morali di una nazione come gli Stati Uniti. Tutti noi siamo impegnati a protestare a viva voce contro le tasse e siamo pronti a scioperare. Gridiamo, urliamo, ci schieriamo e combattiamo. Ma diventiamo improvvisamente riservati e riluttanti quando noi (in quanto nazione) ci confrontiamo con le vili pratiche supportate dal gentlemen’s agreement nell’ambito delle relazioni sociali. Se rubi una mucca, un’automobile o del denaro, la legge, in tutta la sua imponenza, si schiererà contro di te, se togli la libertà a un uomo, lo privi di equa tutela davanti alla legge, ridicolizzi fino al disprezzo la sua religione, sbeffeggi il suo aspetto fisico o diffami il suo carattere in tanti modi ingiusti e ingiustificabili, l’efficienza della giustizia si dimostrerà nei tuoi confronti sorda, muta e anche cieca.

In questo periodo di crisi internazionale in cui gli Stati Uniti d’America sono chiamati a svolgere un ruolo di guida e leadership per la popolazione mondiale sofferente e desiderosa di pace, si può condividere l’opinione di uno dei nostri personaggi pubblici quando afferma che: “Il fardello più grande che attualmente pesa sulla nostra politica estera è il trattamento che riserviamo alle minoranze”. E possiamo permetterci di aggiungere che se non cambiamo il nostro modo di agire e il nostro cuore, la nostra sconfitta sarà completa e totale. Ma il romanzo di Laura Hobson dice tutto questo meglio di me, e in modo molto più interessante.

Barriera invisibile (film):

Le meschine crudeltà dell’antisemitismo, aspramente ed efficacemente rivelate nell’ambito dell’osservazione limitata del volume Gentleman’s Agreement di Laura Z. Hobson, sono state ora esposte con pari franchezza e maggiore forza drammatica nella versione cinematografica del romanzo, proiettata ieri al Mayfair. Infatti, ogni elemento di pregiudizio rappresentato dall’autrice nel suo libro è stato reso in modo ancora più incisivo e visivo nel film, cosicché la sua indignazione morale non solo si fa più ampia ma si intensifica.

La storia narrata da Laura Z. Hobson parla in sostanza del turbamento emotivo provato da un uomo che sceglie, allo scopo di scrivere un articolo, di dichiararsi ebreo e che di conseguenza sperimenta sulla sua pelle lo choc e la sofferenza della discriminazione e della mortificazione sociale. Ma è anche la storia, in parallelo all’altra, della relazione di quest’uomo con una giovane, presumibilmente priva di pregiudizi, che, a causa delle sue convinzioni intellettuali, non è in grado di scrollarsi di dosso i crudeli preconcetti del gruppo a cui appartiene. Adattate da Moss Hart, che ne ha ricavato una sceneggiatura molto agile e scorrevole, le ragioni di sconcerto dell’eroe creato dalla Hobson diventano sullo schermo appassionanti e vitali, mentre l’esito del suo rapporto amoroso è motivo di reale preoccupazione. Per quanto riguarda quegli aspetti dell’antisemitismo come il pregiudizio professionale contro gli ebrei, la discriminazione da parte di alberghi alla moda e gli appellattivi offensivi, vengono presentati con franchezza e chiarezza per quello che sono: disumane debolezze. Lo stesso discorso vale per il pericolo che una normale e felice unione si infranga contro i bordi frastagliati del pregiudizio: la situazione suscita commozione.

Barriera Invisibile (film)

Partendo dall’originale, la casa di produzione Twentieth Century-Fox ha fatto le scelte giuste e si è mossa in modo coraggioso per rendere Barriera Invisibile un film di spessore. Un cast di alto livello, la brillante regia di Elia Kazan e l’audacia di citare Gerald L. K. Smith, Theodore Bilbo e John Rankin, noti persecutori di ebrei, infondono alla pellicola realismo e autenticità. Per milioni di persone sparse in giro per il paese, un simile film solleva di sicuro una questione brutta e allarmante, ma i punti deboli del libro risultano evidenti anche nella trasposizione – i più palesi sono il limite e la specificità dell’area osservata – .
Anche se l’incarico ricevuto dal protagonista è in apparenza quello di scrivere un articolo sull’antisemitismo negli Stati Uniti, è chiaro che le sue indagini coprono prettamente il settore dell’alta società e l’ambito professionale a cui egli è direttamente esposto. Le sue scoperte, poi, riguardano soprattutto secchi e meschini rifiuti da parte del mondo borghese senza alcun approfondimento sulle ambigue usanze culturali che li hanno determinati. Allo stesso modo, è alquanto sorprendente che un uomo impegnato a intraprendere una simile indagine resti esterrefatto di fronte alla crudeltà dell’antisemitismo. Partendo dal presupposto che si tratti di un giornalista dotato di intuito e competenze, la sua immaginazione avrebbe dovuto scandagliare la maggior parte di queste inaspettate indignazioni già da tempo.

Il ruolo, interpretato da un Gregory Peck gradevole e risoluto, risulta, a un’attenta analisi, estremamente ingenuo. Anche quello della giovane, interpretata con intentistà da Dorothy McGuire, è concepito per conferire alla pellicola un inquietante tocco di “fascino snob”. Forse, l’immagine dell’attrice associata allo “station-wagon set” ricorda in parte il film Claudia e l’atteggiamento immaturo della protagonista, ma il suggerimento di aspirazione sociale – e di realizzazione – complica le cose non poco. È mia opinione che l’interpretazione di John Garfield, il giovane ebreo amico di lunga data del protagonista, sia un po’ troppo meccanica, mentre la scena con Sam Jaffe nel ruolo di uno scienziato ebreo suona come una nota stonata da farsa. Tuttavia, June Havoc, Albert Dekker, Celeste Holm e Anne Revere alternano anch’essi momenti di fragilità ad altri di grande interpretazione e quindi ci possiamo accontentare di un pareggio. Il film è comunque ricco di significato e merita di essere ampiamente e interamente apprezzato.

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