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Scrittura

Donne e mille archetipi, tra mitologia, musica e fiaba

Demetra e PersefoneMarzo: il mese che si apre con la celebrazione della donna e si conclude con l’arrivo della primavera. Una connessione tra due temi, natura e animo femminino, che riporta alla mente lo straziante mito greco di Demetra, Persefone e Ade. Quest’ultimo, dio degli inferi e delle tenebre, rapisce Persefone, figlia della dea Demetra, mosso da un amore fugace, egoista e soprattutto non ricambiato. La madre viene a conoscenza dell’atto spregevole attraverso uno straziante urlo percepito nel cuore. In qualità di portatrice di poteri legati ad ogni aspetto della sfera naturale, Demetra si trasforma in falco per cercare Persefone in ogni dove, senza riuscire a reperirne traccia. Man mano che il tempo passa, facendo accrescere la lontananza fisica tra madre e figlia, la vita sulla terra si assopisce sempre più a causa della diretta influenza apportata dall’emotività divina di Demetra. Non potendo permettere che il pianeta sopraggiunga alla morte, interviene Zeus, obbligando il fratello Ade a liberare Persefone. Ade accoglie le pressioni di Zeus attraverso un inganno: induce la sua amata a mangiare sei bacche di melograno che l’avrebbero costretta a tornare da lui ogni sei mesi trascorsi con la madre. Il contrasto tra la fioritura primaverile che esplode in estate e la prima aridità autunnale che domina in inverno troverebbe una spiegazione mitologica attraverso questo dannato ciclo infinito di ricongiungimento/separazione tra Persefone e Demetra.

Una storia passionale che intreccia sia il racconto degli umori femminili sia lo sbocciare del selvaggio: quale connessione più coerente e affascinante per commemorare la festività a tema rosa appena trascorsa? Il filo rosso conduttore del seguente articolo sarà proprio il tentativo di ricostruire, attraverso racconti di ogni tipo ed epoca, gli archetipi principali presenti nello spirito di ogni donna. In tal modo, si auspica il ritrovamento di perni e di simboli fondanti la coscienza collettiva, utili alla formazione di uno schema esplicativo delle informazioni provenienti da un passato remoto e da un passato prossimo. Questo schema potrà fungere da modello semplificativo per le quotidiane problematiche di stampo femminile. Sarete, dunque, spettatori in prima fila di questo mio breve viaggio esplorativo tra le trame di racconti tanto diversi quanto vicini.

La seconda narrazione che ritengo importante è quella prettamente storica, riguardante proprio la Giornata Internazionale dedicata alle donne. Correva l’anno 1909 quando nacque negli Stati Uniti l’idea di istituire una giornata in grado di raccogliere l’attenzione collettiva verso le ingiustizie di genere. Sarà solo in occasione della Seconda Conferenza delle donne comuniste, tenutasi a Mosca nel 1921, che verrà proposta e approvata un’unica data per le celebrazioni, in ricordo della manifestazione contro lo zarismo mossa dalle donne di San Pietroburgo (1917).

I miei attimi di raccolta intorno a questa tematica proseguono con l’ascolto di una canzone, alla quale la mia mente ha connesso le più svariate testimonianze culturali. Parole su parole, mattone su mattone: descrizioni di ambienti solo ideologici che si trasformano sempre più in concrete dimore per scenari tanto personali quanto universali.

Nina SimoneLa canzone in questione è 4 Women ed è stata scritta e registrata nel 1965 dall’artista jazz-soul Nina Simone, e poi pubblicata nel 1966 nell’album Wild is in the Wind. Il brano racconta la vita di quattro donne afroamericane, rappresentative di quattro tipici stereotipi.

Le prime due storie narrate dalla cantante mi hanno da subito riportato alla mente le pagine di un saggio che ogni donna dovrebbe conservare sugli scaffali della propria coscienza: Donne che corrono coi lupi (1992). Questo libro costituisce un percorso introspettivo all’interno della psiche femminile, condotto dalla psicoanalista Clarissa Pinkola Estés e composto da una serie di tappe interpretative in chiave junghiana di racconti popolari, leggende e miti.

Aunt Sarah è la prima donna di cui Nina Simone parla. La descrive solo attraverso l’esplicazione di caratteristiche fisiche: è nera con capelli lanosi e ha una schiena forte capace di sopportare tutto il dolore. Potrebbe quindi essere un’ipotetica mira di discriminazioni volte ad allontanarla dal gruppo portante, ma io la immagino danzare come la protagonista del racconto La donna farfalla, presente nel settimo capitolo del libro sopra citato. Nelle deserte lande del Gran Canyon, ogni estate ricorre un evento tipico e tradizionale: al calare del sole, si intona una melodia in attesa dell’arrivo della donna farfalla. La magica atmosfera che si crea fomenta alte aspettative verso la figura femminile in questione: la gente si immagina una visione quasi ultraterrena, una dea venuta a fare visita alla terra. La realtà dei fatti è un poco differente dalla classica e altrettanto stereotipata immagine di paradiso dei corpi: al centro della scena appare, infatti, una donna che danza spensierata insieme all’abbondanza delle sue curve, con un paio di ali poste sulle spalle, le stesse che le bimbe comprano per travestirsi da fate a Carnevale. Una scena per i più ai limiti del cringe, ma che sprigiona in realtà una sana e gioiosa libertà dallo sguardo giudicante della gente.

La seconda donna di Nina Simone è Saffronia: pelle gialla, capelli lunghi, divisa nella sua personalità tra i due poli genitoriali. Infatti, il padre ricco e bianco violenta e obbliga la madre ad una vita che non le appartiene. Questo aspetto non può che collegarsi come un ponte diretto alla prima parte del racconto popolare La fanciulla senza mani, spiegato passo passo nel penultimo capitolo del libro di Estés. Questa fiaba, tramandata di generazione in generazione nella zona tra l’Europa Centrale e quella Orientale, rappresenta il percorso metaforico che ogni donna deve attuare da un livello di totale dipendenza genitoriale fino a una condizione di autonomia, caratterizzata da un equilibrio tra le figure psichiche presenti nel proprio inconscio. L’autonomia interiore deve essere controbilanciata dalla capacità di instaurare buone relazioni con il mondo esterno, dunque di sondare un livello di intimità con le altre persone. Saffronia è bloccata nella prima trappola che si incontra nella via verso l’emancipazione: dovrà tentare di accettare il suo passato, per poter ricucire da sé un involucro di solidità e per iniziare a covare amore verso la vita, senza vincoli nocivi.

Diversi sono invece i riferimenti che si legano alle ultime due storie archetipiche.

La terza protagonista non può che essere una prostituta, chiamata Sweet Thing. La sua pelle abbronzata, la bocca come il vino e i capelli fini appartengono a chiunque abbia denaro da scambiare con il frutto della sua passione. Siamo in un’America degli anni Sessanta, ma con il mio sguardo settato all’italiana mi sembra di attraversare una delle ambientazioni pittoresche di Fabrizio De André. Non a caso è anch’egli un “cantastorie” come l’analista Estés. Nei dettagliati quadri che egli riesce a dipingere con le parole, si ritrovano spesso i racconti di sante, bambine e prostitute. In ogni brano, De André non ha mai fallito nel tentativo di ridare nuova luce alle storie che ripescava dal passato: la sua ammirazione verso i temi scelti risulta ancora così ardente che è impossibile non innamorarsi con la sua stessa intensità di almeno uno dei personaggi descritti. L’arte di Fabrizio è stata in grado di riscattare tante ingiustizie o stereotipi umani. Ad esempio, concepiva la prostituzione come un angolo di paradiso e come unico modo per raggiungere la santificazione, poiché le donne che abitano questa sfera hanno già attraversato durante il proprio percorso terreno sia il Purgatorio sia l’Inferno.

La nostra passeggiata tra simboli e miti si conclude con l’ultima donna citata da Nina Simone: Peaches, la quale presenta modi rudi che raccontano di una storia difficile e ostacolata. Peaches è figlia di schiavi e di un tempo amaro per la sua etnia, in quanto anch’essa è una donna afroamericana. Vorrebbe esprimere le pressioni subite attraverso un grido di vendetta contro la prima madre possibile da incontrare.

MedeaCome incastro perfetto per concludere questo girotondo di storie, intendo ritornare all’origine di questo articolo riportando altre testimonianze dalla cultura ellenistica. Dopo qualche ricerca, ho trovato infatti una soddisfacente corrispondenza di tematiche con un racconto del tragediografo antropocentrico Euripide. Egli lega in un mito tutti i fattori chiave coinvolti: donne eroine, archetipi, vendetta. Il tema del femminino sacro è una presenza ricorrente all’interno dell’opera euripidea, ma in alcuni testi emerge con particolare forza e chiarezza. È il caso, ad esempio, di Medea, principessa e maga di Corinto. Giasone, suo marito e padre dei suoi figli, decide di ripudiarla per poter sposare Glauce, figlia di re Creonte. Di fronte alla disperazione della donna, Giasone si prodiga in prove di brillante eloquenza per dimostrarle la ragionevolezza del proprio operato. In risposta a tutte queste umiliazioni, Medea decide di vendicarsi. Innanzitutto manda in dono a Glauce un bellissimo abito e una corona, che la giovane subito indossa; ma i doni sono intrisi di un incantesimo che consuma le carni prima a lei e poi al padre giunto in suo soccorso. Dopo essere venuta a sapere del successo della prima impresa, Medea chiama i figli e li uccide. Quando giunge Giasone sulla scena, già sconvolto per la morte di Glauce, trova i figli assassinati. Ma quando cerca Medea, ella s’innalza sul carro di Elio, il Sole, trainato da serpenti alati, e lascia per sempre Corinto.

La questione dell’uccisione dei figli da parte di Medea pare che tragga ispirazione da una cerimonia annuale espiatoria che aveva luogo a Corinto: sette ragazze e sette ragazzi dovevano trascorrere un anno intero nel tempio di Era delle Alture in memoria dei figli di Giasone e Medea, lapidati a morte dalla popolazione che non voleva che una stirpe per metà barbara prendesse il potere. Era questa la versione del mito più in voga all’epoca. È significativo, allora, che Euripide abbia scelto di rappresentare una versione del mito in cui Medea si fa assassina dei suoi stessi figli, rifacendosi a una tradizione meno nota ma certo di più grande impatto. Non è misoginia, come volevano gli antichi, e neanche un tentativo di riscattare la fama dei corinzi. È la Grande Madre, propria del femminino sacro, che esige il suo tributo. La Grande Madre altro non è che il significante greco che rappresenta uno di quegli archetipi propri dello spirito delle donne, esplicata anche da Clarissa Pinkola Estés. È la stessa forza fondamentale che anima l’ultima protagonista della canzone di Nina Simone, con l’unica differenza che essa conserva in sé anche una sete di vendetta.

Il corpo, la famiglia, il sesso, l’etnia. Sono solo contenitori in cui da migliaia di anni ci esprimiamo attraverso metodiche e simili linee guida. Nella quotidiana battaglia volta a costruire uno spazio confortevole per la nostra identità, dobbiamo tenere sempre a mente che non esiste nulla di precostituito ed eterno all’interno della vita sociale. Ciò vuol dire che abbiamo la libertà, o almeno l’illusione del suo riflesso in noi, di spaziare attraverso i vari archetipi per conquistare nuove vedute di infinito splendore. Dobbiamo smetterla di ignorare l’ululato selvaggio, proveniente dal caos folle del nostro campo irrazionale, che si ode quando preferiamo adagiarci sopra un letto non adeguato alle nostre dimensioni. Non per forza dobbiamo rompere gli schemi, ma solo coltivare il coraggio di costruire quelli che più si avvicinano ai nostri naturali bisogni e al nostro più profondo flusso di coscienza, partendo dalle tracce utili che già possediamo, ma che troppo spesso ignoriamo.

Donne che corrono coi lupiOgni vostra stanza interiore potrà splendere solo se voi stesse ne riconoscerete l’unicità e la bellezza: a ognuno spetta il proprio orpello e non ne esistono in natura di migliori o di peggiori. Maggiore è la conoscenza degli strumenti mentali che possediamo e maggiore sarà la capacità di trovare il sentiero salvifico della felicità, quello che conduce, tra infinite vie, alle combinazioni soddisfacenti. Lasciate che la vostra voce diventi padrona della vostra casa, lasciate che riecheggi tra i piani del vostro appartamento, lasciate che scalfisca ogni raggio di luce capace di penetrare le muraglie che solitamente costruiamo man mano che esperiamo. Solo in questo modo sapremo trovarci finalmente a nostro agio in quel luogo paradisiaco che da sempre sogniamo, sede di pace e di ricchezza, dove sarà possibile rifugiarsi soli o congiunti ad altre anime. Un caldo focolaio, un’immensa distesa di fiori profumati sotto un manto di un azzurro soffice, il saggio fondale di un antico oceano.

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