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Musica

La rivoluzione elettronica della musica

La rivoluzione elettronica della musica

TrautoniumNella complessa contemporaneità, il concetto di musica si è ampliato a limiti ormai indefinibili: l’evoluzione meccanica e tecnologica ha rivoluzionato il concetto di armonia e melodia, ponendo le basi di un importante e profondo passaggio storico per la storia musicale. All’inizio del XX secolo, quando si diffuse la disponibilità di elettricità, vennero inventati i primi strumenti musicali elettronici, come il Telharmonium, il Trautonium e il particolarissimo theremin.

A determinare una svolta decisiva in questo percorso di assistenza tecnologica al suono fu l’introduzione del sintetizzatore, passaggio che segnò all’incirca la metà del secolo scorso. Il sintetizzatore è stato inventato con il solo scopo di riunire in un’unica macchina tutti i dispositivi di produzione musicale elettronica del tempo. In generale si può affermare che l’architettura di un sintetizzatore consiste nella connessione di diversi moduli, ognuno dei quali è specializzato nel produrre, elaborare o amplificare il suono. Nel corso degli anni, esso si è evoluto, ma il concetto di fondo è rimasto sempre lo stesso: generare e manipolare il suono.

È possibile operare una distinzione tra i sintetizzatori dividendoli in tre gruppi, che scandiscono cronologicamente altrettante fasi storiche:

Sintetizzatore analogico, chiamato anche Vintage o Retrò: venne realizzato a metà degli anni Sessanta e diffuso negli anni Settanta;
Sintentizzatore digitale, presente nella produzione di suoni dai primi anni Ottanta fino ai giorni nostri;
Sintetizzatore virtuale, che consiste in un software per computer volto alla simulazione in tempo reale o differito del funzionamento di un sintetizzatore. Raggiungere questo traguardo è stato possibile grazie alla crescita esponenziale della tecnologia che ha permesso di costruire computer sempre più potenti ad un prezzo sempre più basso. Esistono molti vantaggi nell’utilizzare un sintetizzatore virtuale: il primo potrebbe essere il fatto che il numero di oscillatori che si utilizzano è virtualmente infinito (programma permettendo), mentre in un sintetizzatore hardware (anche se a generazione digitale) il numero è ben preciso. In secondo luogo è possibile utilizzare tutta la potenza di calcolo di un computer per sintetizzare un suono anche molto complicato. Per ultimo, ma non per questo di minore importanza, è possibile registrare il suono prodotto direttamente in formato digitale senza dover passare per un convertitore (AD).

Sintetizzatore

I sintetizzatori analogici generano un segnale sonoro tempo continuo. Il suono prodotto da questi strumenti è così affascinante che ancora oggi, sebbene esistano macchine molto più sofisticate e potenti, sono utilizzati in molti generi musicali. Il principio generale di funzionamento dei sintetizzatori analogici consiste nell’utilizzo di moduli musicali elettronici controllati in tensione (che è una grandezza continua). Un sistema modulare è un sistema aperto costituito da più canoni strutturali, ognuno dei quali ha un compito ben preciso – generare, elaborare, amplificare, filtrare il suono. Nel caso dei sintetizzatori analogici modulari i moduli utilizzati potevano esser scelti dal musicista stesso, che quindi creava il percorso che il segnale doveva effettuare all’interno della macchina. Il collegamento tra i vari moduli viene detto patch (per questo motivo i preset di un sintetizzatore moderno vengono chiamati anche patch).

Nei sintetizzatori normalizzati la scelta del percorso del segnale all’interno della macchina è stata fatta dalla casa produttrice, cioè il produttore del sintetizzatore inividua i collegamenti che possono essere più utilizzati da un musicista e permette così a quest’ultimo di scegliere tra i diversi percorsi prestabiliti quello che più desidera ruotando delle manopole o cambiando lo stato di interruttori.

È importante notare che il passaggio dai sintetizzatori analogici modulari a quelli normalizzati non è stato netto. Molti produttori hanno progettato macchine che pur essendo normalizzate permettevano qualche tipo di modularità. A questa categoria appartengono una serie di sintetizzatori di dimensioni contenute per i quali il compromesso tra normalizzazione e modularità è stata l’arma vincente.

Analog DaysTrevor Pinch e Frank Trocco, autori del libro Analog Days (2004), affermano che il primo periodo dei sintetizzatori si colloca tra il 1964 e la metà degli anni Settanta, a partire dal debutto del sintetizzatore Moog. Progettato dall’ingegnere americano Robert Moog, questo modello divenne uno standard nel mercato dei sintetizzatori.

Nel 1970, Moog ha lanciato un sintetizzatore più economico e più piccolo, il Minimoog. Il Minimoog è stato il primo sintetizzatore venduto nei negozi di musica ed era più pratico per le esibizioni dal vivo: ha standardizzato il concetto di sintetizzatori come strumenti autonomi con tastiere integrate. Il Moog è stato adottato da artisti quali i Doors, i Grateful Dead, i Rolling Stones, i Beatles e Keith Emerson. Emerson è stato il primo grande musicista rock ad esibirsi con il Moog che è diventato un marchio di fabbrica delle sue esibizioni, favorendo la celebrità globale della sua band, Emerson, Lake & Palmer; secondo Analog Days, artisti del calibro di Emerson, esibendosi al Moog, “hanno fatto per la tastiera quello che Jimi Hendrix ha fatto per la chitarra”. Il Minimoog ha trovato inoltre una sua collocazione nella musica nera mainstream, in particolare nel lavoro di Stevie Wonder, e nel jazz, come il lavoro di Sun Ra. Alla fine degli anni Settanta e all’inizio degli Ottanta, il Micromoog è stato utilizzato nel genere disco emergente: comparve, per esempio, nelle produzioni degli Abba e di Giorgio Moroder. Il mercato dei sintetizzatori è cresciuto notevolmente negli anni Ottanta, supportato dall’introduzione del MIDI, un mezzo standardizzato per sincronizzare gli strumenti elettronici.

I primi sintetizzatori erano monofonici, nel senso che potevano suonare solo una nota alla volta. Alcuni dei primi sintetizzatori polifonici commerciali furono creati dall’ingegnere americano Tom Oberheim, come l’OB-X (1979). Nel 1978, la società americana Sequential Circuits pubblicò il Prophet-5, il primo sintetizzatore polifonico completamente programmabile.

Per quanto riguarda l’evoluzione dei sintetizzatori da analogici a digitali, si può dire sia stata piuttosto graduale. Durante questa fase, si è delineata una classe di sintetizzatori che ha saputo fondere assieme i vantaggi della tecnologia analogica e quelli della tecnologia digitale. Si tratta cioè di macchine in cui la generazione sonora è analogica ma il controllo delle varie sezioni di sintesi è digitale. In pratica, le caratteristiche del suono (frequenza, ampiezza, timbro – parametri che rientrano nel campo dell’analogico) sono controllate digitalmente.

Ma se noi stessi potessimo decidere quale suono – o rumore – assegnare a ogni singolo tasto del nostro synth? Avremmo a che fare con un campionatore, cioè con uno strumento simile al sintetizzatore ma privo di suoni.

Campionatore

Il campionatore è un dispositivo in grado di registrare, trasporre musicalmente, processare e riprodurre segmenti di audio digitalizzati; è in pratica un registratore digitale di suoni reali (i campioni) i quali vengono eseguiti in maniera musicalmente utile (associazione dei campioni ai dati MIDI, in sostanza alle note di una tastiera).

Seguiamo un tipico processo di campionamento a fini musicali. Nel processo di digitalizzazione, il termine “campionamento” indica una delle operazioni fondamentali da eseguire, mentre in questo caso si intende, più particolarmente, la tecnica di registrazione di suoni da una qualsiasi fonte esterna.

Il suono emesso da una qualsiasi sorgente viene catturato da un microfono e tradotto tramite un convertitore in una serie di byte. Una volta trasformato in dati, il suono diventa oggetto dei più fantasiosi calcoli matematici decisi dall’utente e messi in atto dal computer: si possono eseguire dei tagli, si può mutare la frequenza, l’intonazione, la velocità. Lo scopo fondamentale di quest’apparecchio è quindi quello di acquisire i suoni e associarli ad esempio ad una tastiera MIDI e ad eventuali controlli esterni (modulazione, volume, ecc.).

La reale potenza di un campionatore deriva dal fatto che questi campioni possono essere trasposti musicalmente in tempo reale, sia in accrescimento che in diminuzione, e su un gran numero di ottave. In parole povere, questa trasposizione musicale si verifica quando si riproducono i file campionati, registrati a varie frequenze di campionamento, che corrispondono a intervalli musicali ben precisi; una volta che il campione è stato “ripulito”, cioè è stata tagliata la parte che ci interessava e pulita da qualsiasi rumore o fruscio – e in questo l’uso del computer è ormai indispensabile – viene associato alle note MIDI.

Ammettiamo che il campione venga associato alla nota Do della terza ottava, esso potrà essere trasposto in alto e in basso, rispetto alla nota Do3 originaria, lungo tutti i tasti della tastiera. Ad ogni trasposizione però lo strumento introduce una lieve deformazione che, secondo il campione, poco alla volta ne muta completamente il colore timbrico, sino a renderlo inaccettabile. Un’ottima soluzione è quella di creare tanti campioni – da un suono grave a uno acuto – ciascuno corrispondente a un certo numero di note, sino a coprire l’intera gamma. È questo il cosiddetto multicampionamento, cioè più campioni per uno stesso timbro. Durante quest’operazione è necessario registrare i campioni mantenendo una certa omogeneità tra le diverse fonti sonore altrimenti, nel passaggio dall’una all’altra, l’orecchio noterà un’evidente disuguaglianza.

Mellotron

Una forma primitiva di strumento musicale basato su campioni fu il Mellotron, successivamente chiamato Novatron, ideato nel 1963 (Regno Unito). Il Mellotron è uno strumento musicale a tastiera divenuto popolare tra gli anni Sessanta e Settanta del 1900. Fu pensato per riprodurre strumenti musicali tipici dell’orchestra sinfonica, o voci umane: reca sotto ogni tasto un pezzo di nastro sul quale è stata preregistrata la nota di uno strumento. Un esempio di Mellotron si può ascoltare nei primi secondi del celebre brano Strawberry Fields Forever dei Beatles, suonato da Paul McCartney. Negli anni Ottanta, venne utilizzato più nello specifico per il genere progressive rock.

Il Mellotron non si può considerare propriamente un campionatore perché si limitava a riprodurre suoni già salvati nella fase di fabbricazione dello strumento, quindi registrati a parte. Il primo vero campionatore risale agli anni Ottanta e si chiama Computer Musical Instrument (CMI).

L’uso del campionatore è diventato ormai una tecnica usuale nella produzione musicale odierna che investe trasversalmente diversi generi musicali. I campioni usati variano da singole note registrate da uno strumento tradizionale (un buon pianoforte per esempio) a intere frasi musicali generate dagli strumenti più disparati (esemplari a riguardo sono i famosissimi loop di batteria), fino a intere porzioni di musica riprese da brani esistenti. Proprio quest’ultimo caso ha fatto nascere, negli ultimi anni, questioni sulla legittimità di considerare originale un brano composto da spezzoni di altri brani. In molte composizioni odierne, gravitanti soprattutto nell’orbita della musica commerciale, vengono campionati frammenti di musica appartenenti a brani rock, funk, soul degli anni Sessanta e Settanta. Questa pratica musicale racchiude importanti funzioni comunicative: oltre a una questione di citazioni e di richiami – attraverso i campioni – a brani che già godono di prestigio, l’uso del campionatore influenza i meccanismi relazionali della produzione musicale. Una nuova interconnessione si instaura tra i musicisti grazie alla possibilità di digitalizzare qualunque brano, con il conseguente flusso continuo di materiale sonoro circolante tra differenti artisti. Si crea così una sorta di musicista collettivo.

Ogni attore del collettivo di creazione preleva del materiale sonoro dal flusso in circolazione in una vasta rete tecno-sociale. Questo materiale viene mixato, arrangiato, trasformato e poi immesso nuovamente, sotto forma di brano originale, nel flusso di musica digitale in perenne circolazione. Così, ogni musicista o gruppo di musicisti svolge la funzione di operatore su un flusso in perenne trasformazione all’interno di una rete ciclica di co-operatori[1].

Note:
[1]
Lévy, P., Cybercultura, Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, Milano, (1997 Editions Jacob), Fabbri 1999.

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