Si è conclusa ieri sera, con due puntate trasmesse in due giorni, la seconda stagione della serie Il commissario Ricciardi basata sui romanzi di Maurizio De Giovanni. Se la prima stagione era stata comunque una sorpresa, in quanto spingeva lo spettatore a scoprire un nuovo personaggio perseguitato da un dono che per lui rappresenta più che altro una maledizione, questa ha messo in evidenza tutti i punti deboli di una sceneggiatura totalmente incapace di rinnovarsi.
Le prime tre puntate si sono susseguite calcando la struttura della prima serie e senza determinare un’evoluzione sostanziale né nei personaggi né nella trama: Ricciardi continua a vedere le anime delle vittime di morte violenta e a sospirare davanti alla finestra per Enrica; Maione è alle prese con i soliti problemi familiari e se ha bisogno di una dritta su qualche caso si rivolge come sempre a Bambinella; Livia si strugge d’amore per Ricciardi che la ignora; Enrica ama Ricciardi ma persiste in un atteggiamento da agnello sacrificale; l’ex governante, Rosa, che è l’unica che potrebbe dare una spinta alla situazione, è morta ed è relegata in uno specchio in perfetto stile Biancaneve della Disney; il medico legale s’innamora di una prostituta che ovviamente è destinata a fare una brutta fine – dai Misteri di Parigi di Eugène Sue in poi va sempre a finire così quando c’è di mezzo una prostituta, ma evidentemente gli sceneggiatori si illudono che il pubblico non lo sappia. Insomma, la storia arranca, si trascina e non riesce a trovare quella nuova dimensione che ci si aspetterebbe da una seconda stagione. Poi, nella quarta puntata, tutto precipita a valanga. E lo spettatore che per tre settimane è stato lasciato lì, sul divano, ad addormentarsi, di colpo viene sottoposto a una serie di cambi di direzione che inizialmente lo spiazzano e poi lo fanno sentire come un povero disgraziato tenuto a lungo a stecchetto e costretto poi ad abbuffarsi in un’ora.
La causa del problema non sono gli interpreti, ognuno ben calato nella propria parte senza cadute repentine di stile. Piuttosto la ragione è da ricercare nel modo in cui è stata concepita la trama di questa seconda serie. Ricciardi è un uomo tormentato, ma dopo tante puntate le possibilità sono due: o decide di gestire il suo dono in modo diverso, provando ad esempio a trovarci un lato positivo, oppure la sua personalità viene resa più forte dalle esperienze passate e inizia ad avere una nuova visione della vita. Invece no, il personaggio continua a indugiare nel proprio dolore, continua a struggersi per l’amore che non trova la forza di manifestare – e quando finalmente lo fa, ha addirittura il coraggio di andare dall’amico medico a chiedergli consigli su come non avere figli anziché parlare apertamente con l’amata – e non matura nemmeno nel suo rapporto con le donne che non si sa bene cosa ci trovino in un uomo che non esprime nulla. La Livia di Serena Iansiti, una donna intelligente, ricca, bella e talentuosa, aveva un ruolo funzionale nella prima serie, qui finisce relegata in casa a languire per Ricciardi e a tramare alle sue spalle nel vano tentativo di averlo tutto per sé. La governante Rosa, punto di forza soprattutto grazie all’interpretazione che ne dà Nunzia Schiano, torna, pur essendo morta, grazie a un’astuzia vecchia quanto il mondo ma rimane in secondo piano, a fare da contorno e dare un paio di consigli in stile crocefisso di Don Camillo. La giovane Enrica, in compenso, che nella prima serie aveva comunque dimostrato un barlume di personalità, qui ritorna tra i ranghi: deve pensare al suo futuro e quindi preferisce, almeno fino alla terza puntata, frequentare chi non ama anziché confessare i propri sentimenti a chi crede non la ami. Diciamoci la verità: suo padre è un santo.
Per quanto riguarda le storie che si sono succedute, l’impostazione ha sempre seguito lo stesso filo conduttore, ovvero: morto ammazzato; Ricciardi che ne vede l’anima e cerca di attribuire un senso alla frase che pronuncia; indagini da parte di Ricciardi con sottofondo di struggimenti da parte di lui, Livia ed Enrica, a cui quest’anno si è aggiunta Bianca perché un triangolo può diventare benissimo un quadrato; scambi di battute divertenti tra Maione e Bambinella; il capo di Ricciardi interessato solo alla chiusura del caso il prima possibile anche a costo di arrestare un innocente; ambientazione storica in una Napoli dominata dal regime fascista che pende sul capo di tutti come una spada di Damocle. Fine. Visto il progressivo calo degli ascolti, se ne deduce che anche gli spettatori stanno iniziando a stancarsi della ripetitività narrativa, anche se dubito che in un’eventuale terza stagione gli sceneggiatori saranno in grado di dare alla trama quella svolta decisiva di cui ha bisogno per tornare a catturare l’attenzione del pubblico.
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