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The Plant: il romanzo incompiuto di Stephen King

The Plant: il romanzo incompiuto di Stephen King

Romanzo a puntate inviato da Stephen King ad amici e parenti come regalo di Natale, fino al 1985. Non venne mai concluso dall’autore, preoccupato e infastidito dagli eccessivi punti in comune di The Plant con il film di Roger Corman The Little Shop of Horrors. Ormai pressoché introvabili, per i collezionisti le varie puntate valgono migliaia di dollari.

The PlantCosì Joe Arden riassume l’opera The Plant nel suo volumetto Stephen King Pocket, pubblicato nel 1996 dalla Sperling&Kupfer.

Se i sei capitoli esistenti sono tuttora in vendita a prezzi che vanno dai duemila ai ventimila dollari in una delle duecento copie numerate e firmate pubblicate all’epoca dalla Philtrum Press per distribuzione privata, il testo si può leggere gratuitamente in lingua inglese scaricando i file dal sito ufficiale dell’autore.

Joe Arden, nelle poche righe dedicate al romanzo, fa un riferimento alla pellicola La piccola bottega degli orrori versione 1960 liberamente tratta dal racconto di John Collier Pensieri verdi (1931), la cui protagonista era un’orchidea “vampira” in grado di assorbire l’identità delle sue vittime[1]. Anche se la storia immaginata da Stephen King riguarda in effetti una pianta che cresce in modo spropositato, agisce sulle menti delle persone e ha una predilezione per il sangue, vien da pensare che la sua fonte primaria d’ispirazione sia stato più il racconto di Collier che il film di Corman, e questo sulla base di quanto lo stesso King afferma nel suo volume di saggi Danse macabre (1981):

[…] Passiamo a L’uomo dagli occhi a raggi X, un horror misconosciuto ma degno di nota, che tra l’altro si chiude con una delle scene più raccapriccianti mai girate.
La pellicola fu prodotta e diretta nel 1963 da Roger Corman, che stava compiendo in quei giorni la sua metamorfosi, passando dal bruco che aveva sfornato scempiaggini come L’assalto dei granchi giganti e La piccola bottega degli orrori (da dimenticare, nonostante contenga una delle prime interpretazioni di Jack Nicholson) alla farfalla responsabile di horror validi e interessanti quali La maschera della morte rossa e La vergine di cera[2].

Nello stesso volume John Collier, a differenza di Roger Corman, non viene analizzato ma solo brevemente citato tra gli altri, eppure King gli riserva un’opinione migliore di quanto non faccia in riferimento alla Piccola bottega degli orrori:

Ho tralasciato le opere di Roald Dahl, John Collier o Jorge Luis Borges, ma se finirete l’intera produzione attuale di Harlan Ellison, vivace e anticonformista, passerete alle opere di questi altri autori, dove troverete echi di Harlan, soprattutto nell’analisi dell’uomo sotto il suo aspetto peggiore e più opportunista… e quello migliore, più eroico e autentico[3].

Il frammento di storia disponibile di The Plant – quasi trecento pagine – parla tra le altre cose anche di opportunismo, in quanto, nell’istante in cui i personaggi si rendono conto dei reali poteri della pianta, mettono in secondo piano gli avvertimenti ricevuti e si focalizzano solo sull’obiettivo che si propongono, anche se a quel punto non siamo più di fronte a individui che agiscono solo nell’interesse personale ma piuttosto che fanno gruppo per uno scopo comune, salvare la casa editrice anche a costo di passare sulle vite degli altri, rinunciando a qualsiasi forma di etica. Può certamente darsi, come dichiarato da Joe Arden, che il motivo per cui Stephen King non portò a termine la storia sia in qualche modo legato alla Piccola bottega degli orrori, ma in questo caso al fatto che proprio nel 1982 ne era stato realizzato anche un musical composto da Alan Menken che avrebbe potuto indurre il lettore a collegare facilmente, e forse anche erroneamente, le due cose. Tuttavia, per come è strutturato il testo, con numerosi riferimenti letterari e cinematografici che dimostrano quello che c’è alla base dell’immaginario kinghiano, e cioè una profonda cultura alimentata da un’altrettanto profonda passione, risulta più credibile quanto afferma l’autore nel suo sito ufficiale, ovvero che il romanzo sia stato interrotto perché aveva altri progetti in corso e perché non ha trovato l’ispirazione giusta per portarlo avanti. Va anche considerato che, essendo nato come un regalo agli amici, lo scopo primario era quello di divertire e divertirsi e questo, leggendo i sei capitoli esistenti, trova pienamente conferma.

The Plant (fascicoli)

Trama:
John Kenton, editor poco più che ventenne della piccola casa editrice Zenith House di New York, specializzata in paperback horror e porno-violenti, risponde a una lettera di tale Carlos Detweiller di Rhode Island, della cui sanità mentale John dubita fin dall’inizio, che gli propone la pubblicazione del libro True Tales of Demon Infestations affermando che si tratta di storie da lui vissute in prima persona sfruttando una tavola Ouija, con tanto di foto a testimoniarlo. La richiesta di John di alcuni capitoli dell’opera e di una sintesi della stessa – cosa che, come lui specifica, non implica la futura pubblicazione – ha come conseguenza l’invio del manoscritto completo da parte dell’autore, accompagnato da foto raccapriccianti di sacrifici umani e dall’esultanza del mittente che non vede l’ora d’incassare i futuri diritti. Su suggerimento del capo Roger Wade, John contatta la polizia. Carlos viene trattenuto per qualche ora ma, dopo aver notato nella serra in cui questi lavora la presenza in vita dell’uomo presunta vittima del rito sacrificale delle foto, gli agenti decidono di rilasciarlo prendendo il tutto per uno scherzo di dubbio gusto.
John cerca di dimenticare l’episodio, conclusosi con una lettera di disprezzo da parte di Carlos costretto a lasciare il suo lavoro alla serra, ma poco dopo riceve una lettera di tale Roberta Solrac, che si dice fan di uno degli autori della casa editrice, desiderosa di inviargli in segno di ringraziamento per i libri che pubblicano una pianta. John fiuta la fregatura, in quanto Solrac letto al contrario corrisponde a Carlos, e avvisa il fattorino della Zenith House, Riddley, di buttare nell’inceneritore un’eventuale pianta a lui destinata che dovesse arrivare a nome Solrac. La pianta arriva, ma Riddley apre comunque la scatola rinvenendo un vegetale dall’aria innocua e moribonda. Decide quindi di tenerla nel suo cubicolo, per poi buttarla in seguito quando sarà definitivamente appassita.
La situazione nella casa editrice precipita, con minacce di chiusura e licenziamenti a meno che non vengano pubblicati tre best-seller entro l’anno, e anche la vita di John inizia ad andare a rotoli: la fidanzata, a chilometri di distanza per un dottorato, lo informa di aver incontrato l’uomo della sua vita e di essere in procinto di sposarsi, mentre il romanzo a cui lui lavora ogni notte – con aspirazioni da futuro autore di successo – sembra destinato ad arenarsi per sempre facendolo sprofondare nella depressione. In più, le minacce di Carlos continuano e un altro editor teme per la sua vita quando un ex generale psicopatico che tempo prima si era visto rifiutare il suo manoscritto inizia a inviargli lettere deliranti. In questo contesto, nel cubicolo del fattorino Riddley l’insignificante piantina sta raggiungendo dimensioni ragguardevoli e inizia ad emanare un odore che sembra avere effetti peculiari sulle persone che lo sentono.
Una lettera dell’ex datrice di lavoro di Carlos spinge John e il capo Roger, informati della presenza in ufficio della pianta, ad andare da lei per avere dei chiarimenti in merito. La serra in cui vive, completamente invasa da piante velenose o pericolose, trasmette ai due un senso di terrore, che aumenta quando scoprono che l’uomo vittima del rito sacrificale delle foto di Carlos è sì vivo ma nello stato di zombie. La donna spiega loro che Carlos è destinato a morire presto, ma gli raccomanda di considerarlo vivo anche quando non lo sarà fisicamente, e che la pianta che gli ha inviato è dotata di poteri psichici che loro possono sfruttare per veder realizzato quello a cui maggiormente ambiscono. L’importante è buttarla nell’inceneritore una volta che l’ambizione è diventata realtà, e soprattutto impedirle di nutrirsi di sangue innocente e renderla invisibile agli occhi di chi non appartiene alla casa editrice spargendo in giro dell’aglio. Con tutte le raccomandazioni ricevute cosa mai potrebbe andare storto? Ad esempio il fatto che la pianta si impossessa talmente bene delle menti degli impiegati della Zenith House da diventare “una di famiglia” e influire su di loro anche quando non sono in ufficio, che tutti decidono di allearsi per portare la casa editrice a un successo sfrenato arrivando a essere disposti a qualsiasi cosa pur di impedire eventuali intrusioni e che gli spargimenti di sangue non saranno così facili da fermare né da celare.

Stephen King

Stile:
Scritta sotto forma di romanzo epistolare, proprio come Frankenstein e Dracula – ma volendo restare nell’ambito della produzione letteraria di Stephen King, proprio come il racconto Jerusalem’s Lot – la storia inizia pochi giorni dopo il capodanno del 1981 con una lettera dell’aspirante scrittore Carlos alla casa editrice, a cui segue uno scambio di mail tra l’editor John e il capo Roger, e poi si evolve introducendo progressivamente lettere di John alla fidanzata, il diario dello stesso John e degli altri dipendenti, alcuni frammenti del manoscritto di Carlos, articoli di giornale riguardanti episodi di cronaca attinenti con quanto sta accadendo nella casa editrice, le varie lettere di minacce e anche un manoscritto inedito redatto da tale Z. (da notare che la pianta è stata chiamata Zenith), in cui si narrano gli eventi del 4 aprile – l’opera si interrompe il giorno 5 – che spingono i personaggi ad acquisire piena consapevolezza della realtà della situazione. Oltre alla differenza nello stile compositivo, i vari elementi presentano anche un diverso carattere tipografico e denotano la cultura e lo stato mentale di chi scrive. Ad esempio, con il procedere della narrazione la psicopatia sempre più evidente di Carlos si manifesta non solo nel contenuto delle sue lettere ma anche nel font utilizzato, mentre dal diario del fattorino di colore Riddley risulta chiaro come lui sia una persona colta anche se i suoi colleghi lo considerano alla pari di un mentecatto; convinzione che deriva dalla sua tendenza a parlare con una forte inflessione.

Il contesto in cui i personaggi si muovono, quello di una casa editrice che pubblica autori di infimo livello capaci di produrre spazzatura che vende bene – e se non sono in grado di farlo ci si può sempre avvalere di qualche ghost writer ex tossico – contrasta nettamente con ciò che i personaggi sono e aspirano a diventare, e questo causa frustrazione che può essere appunto espressa degnamente solo attraverso la forma epistolare. John, per esempio, ha un romanzo a cui sta lavorando e ha alle spalle validi studi universitari che sembravano destinati a portarlo molto più in alto di un misero ufficio dove trascorrere le giornate a spulciare le opere creative di gente che conosce H.P. Lovecraft solo di nome ma è pienamente convinta di esserlo. Questo attrito tra le due situazioni permette a Stephen King di inserire riferimenti letterari e cinematografici praticamente ovunque e anche di uscirsene con battute che fanno la gioia del lettore. Tra gli autori citati si contano Shakespeare, Carlyle, Milton, Faulkner, Lawrence, Dickens, Puzo, Mailer e Adams (sì, quello della Collina dei conigli). Tra i film La strega rossa, Nick mano fredda, Il giorno dello sciacallo, Rosemary’s Baby, Il mago di Oz, Macumba l’isola dei vampiri. Quanto alle battute, ne riporto qui di seguito un paio delle migliori:

(riferita alla lettera di minacce di Carlos Detweiller) Nella sua rabbia è quasi poetico – mi piace soprattutto la frase in cui dice che sono come un’asse deformata sul pavimento dell’universo… Una frase che anche Carlyle avrebbe apprezzato.

(riferita al film La strega rossa con John Wayne) John Wayne sta molto meglio con addosso un elmetto da soldato americano che con uno scafandro da immersione, ci tengo a dirtelo.

(riferita alla letteratura spazzatura) Riesci a vedere nella giusta prospettiva pezzi grossi come Milton, Shakespeare, Lawrence e Faulkner solo dopo aver pranzato da Burger Heaven con l’autore di Ratti dall’Inferno e aver aiutato l’ideatrice di Squarciami, tesoro! a superare il suo blocco dello scrittore.

(riferita alla scoperta di un autore davvero bravo) Oddio. Oh mio Dio. Mi sento come un tizio che ha gettato la lenza in un minuscolo ruscello di campagna ed è riuscito a prendere all’amo Moby Dick.

L’impostazione conferisce all’opera un carattere un po’ voyeuristico. Sembra di stare dentro La finestra sul cortile e osservare con l’obiettivo della macchina fotografica le fragilità, le perversioni e le ossessioni dei dipendenti della casa editrice senza che loro siano consapevoli della presenza dell’osservatore esterno.

Lo stile epistolare rende certamente meno fluido, e quindi più frammentario, il discorso; non agevolando la lettura a chi è abituato ai romanzi tradizionali visto che comunque la prospettiva cambia di continuo. Tuttavia, le trovate dell’autore risultano godibilissime proprio perché inserite in una struttura di questo tipo. In un passaggio il protagonista John, grazie all’influenza della pianta, riesce finalmente a scovare tra i manoscritti inviati l’opera di valore che meriterebbe davvero di diventare un best-seller. Si tratta del romanzo di un certo James Saltworthy intitolato The Last Survivor. La trama parla di un canale televisivo che nel disperato tentativo di alzare gli ascolti lancia un nuovo format: spedire ventisei persone su un’isola deserta dove devono sopravvivere per sei mesi facendo i pescatori, i cacciatori e gli agricoltori. I partecipanti sono seguiti da tre cameraman che li riprendono e ogni settimana devono votare una persona da eliminare che riceverà una somma di denaro in proporzione a quando avviene l’eliminazione. Il premio finale è di un milione di dollari e tra di loro si cela una psicopatica che pur di incassare la cifra è disposta a eliminarli uno dopo l’altro, favorendo l’entusiasmo del pubblico per il gioco.

Stephen King non ha concluso The Plant ma di sicuro ha intuito in quale direzione ci stavamo muovendo – e cioè verso quel mondo di reality show in grado di dare al pubblico la stessa eccitazione garantita dai libri spazzatura – e ora ci siamo praticamente dentro.

Note:
[1]
Cfr. Vincenzo Barone Lumaga, Vegetali, ma non troppo. Piante carnivore, fameliche, senzienti, Rivista Milena, 02 novembre 2018, http://www.rivistamilena.it/2018/11/02/vegetali-ma-non-troppo-piante-carnivore-fameliche-senzienti/
[2] Cfr. Stephen King, Danse Macabre, introduzione e cura di Giovanni Arduino, Frassinelli, Torino 2016, p.216.
[3] Ibidem, p. 426.

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