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Palcoscenico

Il domestico da Molière a Feydeau (I)

Evoluzione del personaggio nel teatro francese

Ritratto di BrighellaTra gli innumerevoli personaggi che compaiono nelle opere di Georges Feydeau, il domestico è senza dubbio quello con maggiori sfaccettature. Pur trattandosi di un personaggio già ampiamente sfruttato dal teatro francese, l’autore riesce a infondergli nuova vita, tratteggiandone minuziosamente il carattere e attribuendogli quei pregi e quei difetti che, a seconda del contesto in cui viene inserito, ne determinano l’unicità.

Prendendo in considerazione lo studio realizzato da Henry Gidel[1], si può affermare che nell’ambito del teatro francese esistono due categorie di domestici:

1) Il domestico parigino, astuto e perspicace, impertinente quanto basta, che pensa al proprio tornaconto ma sa essere d’aiuto al proprio padrone, a volte facendosi meno scrupoli di quest’ultimo;

2) Il domestico goffo e incolto, spesso proveniente dalla campagna, che pensa soprattutto a se stesso e che, nonostante la buona volontà, finisce sempre per mettere nei guai il proprio padrone.

Esempi numerosi di questi tipi di personaggi sono presenti nelle opere di Molière (1622-1673), Alain-René Lesage (1668-1747), Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux (1688-1763), Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1732-1799) e Eugène Labiche (1815-1888).

Molière

ritratto di MolièreMolière è tra i primi autori a ispirarsi alla Commedia dell’Arte per dare vita a personaggi di questo tipo. La Commedia dell’Arte, infatti, prima di essere definita tale, agli inizi del Settecento, era anche denominata “Commedia di Zanni” e, oltre a includere nel suo repertorio le figure classiche dell’epoca (come la coppia di amorosi e i vecchi), prevedeva anche due categorie di servi costituite dal Primo Zanni (il servo astuto che ridicolizza i vecchi e ne ostacola i piani) e dal Secondo Zanni (il servo ingenuo, dalla pigrizia proverbiale, che combina guai a ripetizione e parla in dialetto), che indossavano maschere grottesche atte a caratterizzarli[2]. Se La Flèche, servo di Cléante nell’Avare (L’avaro, 1668), è un ottimo esempio di Primo Zanni che riesce con furbizia a ingannare Harpagon, favorendo la risoluzione dell’intrigo, Sganarelle nel Dom Juan (Don Giovanni, 1665) è vigliacco e insaziabile quanto basta per essere considerato l’erede del Secondo Zanni.

Discorso a parte merita Scapino, protagonista di Les fourberies de Scapin (Le furberie di Scapino, 1671), che si distingue nettamente dagli altri servi presenti nelle commedie di Molière in quanto possiede una malinconia di fondo e una consapevolezza della condizione umana, come si può evincere dal dialogo con Argante nella scena quinta dell’atto secondo, che ne fanno un personaggio in grado di sorridere con il corpo ma non con il volto[3]:

Scapin
Monsieur, la vie est mêlée de traverses. Il est bon de s’y tenir sans cesse préparé ; et j’ai ouï dire, il y a longtemps, une parole d’un ancien que j’ai toujours retenue.
Argante
Quoi ?
Scapin
Que pour peu qu’un père de famille ait été absent de chez lui, il doit promener son esprit sur tous les fâcheux accidents que son retour peut rencontrer : se figurer sa maison brûlée, son argent dérobé, sa femme morte, son fils estropié, sa fille subornée ; et ce qu’il trouve qui ne lui est point arrivé, l’imputer à bonne fortune. Pour moi, j’ai pratiqué toujours cette leçon dans ma petite philosophie ; et je ne suis jamais revenu au logis, que je ne me sois tenu prêt à la colère de mes maîtres, aux réprimandes, aux injures, aux coups de pied au cul, aux bastonnades, aux étrivières ; et ce qui a manqué à m’arriver, j’en ai rendu grâce à mon bon destin.

Scapino
Signore, la vita è costellata di traversie. È bene essere sempre preparati al loro verificarsi; molto tempo fa, ho udito la parola di un vecchio saggio e l’ho sempre tenuta a mente.
Argante
Che diceva?
Scapino
Per quanto poco un padre di famiglia sia stato lontano da casa, la sua mente deve sempre vagare su tutte le spiacevoli sciagure di cui può essere testimone al suo ritorno: deve aspettarsi di trovare la casa bruciata, il denaro rubato, la moglie morta, il figlio azzoppato, la figlia circuita; e imputare alla buona sorte gli avvenimenti che non si sono verificati. Per quel che mi riguarda, ho sempre messo in pratica questo insegnamento nella mia umile filosofia; e non sono mai rientrato nella dimora senza essere preparato alla collera dei miei padroni, ai rimproveri, alle ingiurie, ai calci in culo, alle bastonate, ai colpi di staffile; e per tutto ciò che non mi è accaduto, ho ringraziato il mio buon fato.

Per queste sue caratteristiche peculiari Le furberie di Scapino, come afferma lo studioso Alfred Simon nel suo articolo Les rites élémentaires de la comédie moliéresque, rappresenta un superamento della farsa “non solo perché si colloca alla fine della lunga lotta intrapresa da Molière contro le menzogne del suo tempo, ma perché vi regna una giocosità carica di tutte le amarezze e le sfrontatezze passate e sorpassate”.

foto di scena da Le Furberie di Scapino

Lesage

Per quanto riguarda Lesage, autore spesso dimenticato, le sue pièces si contraddistinguono per la violenta satira sociale con cui egli attacca i ricchi e i potenti, e per l’abilità che il loro autore dimostra nel rappresentare il mondo finanziario, che conosce fin troppo bene già dall’infanzia, quando il suo tutore lo spogliò dell’eredità. Autore di più di un centinaio di testi, tra i quali Crispin rival de son maître (Crispino rivale del suo padrone, 1707), in cui anticipa la rivincita dei servitori sui padroni, che poi ritroveremo in Beaumarchais, la sua opera più celebre resta senza dubbio Turcaret (Turcaret, 1709). Si tratta di una pièce destinata a lasciare il segno non solo per come ritrae il personaggio del finanziere Turcaret e l’ambiente dell’usura, ma anche per la totale assenza di moralità (i banchieri dell’epoca tenteranno in tutti i modi di corrompere l’autore per convincerlo a togliere la pièce dal cartellone, ma la sua determinazione avrà la meglio). L’obiettivo di Lesage, infatti, non è trasmettere una lezione o punire i colpevoli, ma semplicemente quello di mettere in scena un microcosmo dove l’interesse personale è predominante. Se Turcaret non è una figura rassicurante, i domestici Frontin e Lisette, che tramano alla spalle di Turcaret e della Baronessa per cercare di appropriarsi del loro patrimonio non sono da meno e si rivelano disposti a tutto pur di raggiungere il loro scopo. Alla fine, una volta ottenuto quanto desiderato, sarà proprio Frontin a spiegare quale sarà il suo futuro:

“Il regno del Signor Turcaret è giunto al termine; il mio è solo all’inizio!”

In questo caso specifico i domestici non hanno più la funzione di aiutare il loro padrone a sposare la donna amata o di smascherare gli intrighi di qualche vecchio avaro, ma agiscono solo per soddisfare la propria cupidigia, diventando dei personaggi detestabili, anche se con un livello di dignità di poco superiore a quello dei loro padroni[4].

foto di scena da Turcaret

Marivaux contrapposto a Feydeau

Marivaux, invece, si appropria – per così dire – di un personaggio già celebre, Arlecchino (da Herlequin o Hellequin, il diavolo buffone della favolistica francese medievale[5]), e lo plasma per meglio adattarlo alla società francese dell’epoca. Per Marivaux, Arlecchino non è più un semplice buffone, ma assume atteggiamenti che, all’interno dell’ambiente borghese in cui si inserisce, lo elevano a elemento di contestazione sociale. Delle venti commedie che l’autore scriverà per la Comédie-Italienne, ben undici avranno fra i protagonisti questo servo combina guai, dai molti vizi e dalle ambizioni sproporzionate (in svariate occasioni si crederà amato da ricche donne aristocratiche, per poi tornarsene in cucina con la coda tra le gambe). Alcuni dei suoi malvezzi più evidenti si ritroveranno poi, un secolo e mezzo dopo, nei domestici di Feydeau. Nella scena seconda dell’atto primo di L’heureux stratagème (Il felice stratagemma, 1733), ad esempio, Arlecchino ha la tendenza ad alzare il gomito e a inventarsi mille scuse pur di non riconoscere la sua dipendenza dall’alcool[6]:

Arlequin
Ce n’est rien… qu’une bouteille de vin qu’on avait oubliée, et que j’achevais d’y boire, quand j’ai entendu la Comtesse qui allait y entrer avec le Chevalier.
Dorante (soupirant.)
Après ?
Arlequin
Comme elle aurait pu trouver mauvais que je buvais en fraude, je me suis sauvé dans l’office avec ma bouteille : d’abord, j’ai commencé par la vider pour la mettre en sûreté.
Blaise
Ça est naturel.

Arlecchino
È solo… una bottiglia di vino dimenticata da qualcuno, stavo finendo di berla quando ho sentito la Contessa che stava per entrare in compagnia del Cavaliere.
Dorante (sospirando.)
E poi?
Arlecchino
Siccome poteva sembrarle sconveniente che bevessi di nascosto, mi sono infilato nella dispensa con la bottiglia: per prima cosa, ho iniziato a scolarmela per metterla al sicuro.
Blaise
Più che logico.

André Derain "Arlequin et Pierrot" 1924

Allo stesso modo nella scena settima dell’atto secondo di La Puce à l’oreille (La pulce nell’orecchio, 1907) di Feydeau, Poche, oltre a essere il sosia del protagonista principale Chandebise, non si stacca mai dalla bottiglia e cerca di giustificare questa sua inclinazione dicendo di dover portare del vino a un cliente dell’albergo mandando così in confusione i due quasi amanti Raymonde e Tournel:

Poche (brusquement, se levant et descendant en scène.) Ecoutez! Je vous demande pardon, mais il faut que j’aille porter ce vermouth au Quatre.
Il fait mine de gagner la porte.
Raymonde (qui est descendue à sa suite, le faisant pivoter par le bras et l’amenant face à elle, impérativement.) Victor-Emmanuel!… qu’est-ce que tu as?
Poche (étonné.) Moi?
Tournel (qui a suivi le mouvement, faisant pivoter Poche à son tour de façon à le retourner face à lui.) Je t’en prie, mon ami!… Dans un instant aussi grave, nous parler de vermouth!…
Poche Mais faut bien, le Quatre l’attend! Tenez, v’là la bouteille.

Poche (bruscamente, alzandosi e avanzando verso il proscenio.) Sentite! Vi chiedo scusa ma devo portare questo vermouth alla Quattro.
Fa per andare verso la porta.
Raymonde (che si è spostata in avanti andandogli dietro, facendolo piroettare per un braccio e portandolo al suo cospetto, in tono perentorio.) Victor-Emmanuel!… che ti prende?
Poche (stupefatto.) A me?
Tournel (che ha seguito il movimento, facendo piroettare Poche a sua volta in modo da girarlo verso di lui.) Ti prego, amico mio!… In un momento così delicato, mettersi a parlare di vermouth!…
Poche Ma è necessario, la Quattro l’aspetta! Guardate, ecco la bottiglia.

Nella scena seconda dell’atto secondo di Le Triomphe de l’amour (Il trionfo dell’amore, 1732) di Marivaux, Arlecchino confessa a Léonide, principessa di Sparta che ha deciso di nascondersi sotto le mentite spoglie di Phocion, di essere un gran pettegolo e di aver spifferato il suo segreto:

Arlequin (à Phocion.)
Ne vous gênez point ; car je suis un babillard, Madame.
Phocion
À qui parles-tu, Arlequin ?
Arlequin
Hélas ! il n’y plus de mystère, il m’a fait causer avec une attrape.
Phocion
Quoi ! malheureux ! tu lui as dit qui j’étais?
Arlequin
Il n’y a pas une syllabe de manque.
Phocion
Ah, ciel !

Arlecchino (a Phocion.)
Non occorre che vi scomodiate; poiché io sono un chiacchierone, signora.
Phocion
Con chi stai parlando, Arlecchino?
Arlecchino
Ahimè! non c’è più alcun mistero, mi ha convinto a rivelargli tutto con l’inganno.
Phocion
Cosa! disgraziato! allora gli hai detto chi ero?
Arlecchino
Senza omettere nulla.
Phocion
Ah, cielo!

ritratto di scena da Il Trionfo dell'Amore

Un comportamento simile lo assume Firmin, tra i protagonisti di Un Fil à la patte (La palla al piede, 1894) di Feydeau, che nella scena terza e nella scena quarta dell’atto primo rivela a tutti coloro che si presentano a casa della sua padrona che il suo amante è tornato:

De Chenneviette (sans aller à elle.) Bonjour, Marceline.
Marceline (maussade.) Bonjour.
Firmin Et Monsieur ne sait pas la nouvelle ?… Il est revenu !
De Chenneviette Qui ?
Marceline M. Bois-d’Enghien !
De Chenneviette Non ?
Firmin Hier soir ! parfaitement !
De Chenneviette (haussant les épaules.) C’est à se tordre !
Firmin N’est-ce pas, Monsieur ! Mais je vais dire à madame que Monsieur est là.
[…]
Firmin Entrez, Mademoiselle.
Tous Nini Galant !
Nini (du fond.) Moi-même ! ça va bien tout le monde ? (Elle dépose son en-tout-cas contre le canapé, près de la chaise, et descend.)
Marceline et De Chenneviette Mais pas mal.
Firmin Et Mademoiselle sait la nouvelle ?
Nini Non, quoi donc ?
Tous Il est revenu !

De Chenneviette (standole lontano.) Buongiorno, Marceline.
Marceline (cupa.) Buongiorno.
Firmin Il signore ha saputo la novità?… È tornato!
De Chenneviette Chi?
Marceline Il signor Bois-d’Enghien!
De Chenneviette No?
Firmin Proprio così! Ieri sera!
De Chenneviette (alzando le spalle.) C’è di che sbellicarsi!
Firmin Altroché, signore! Vado ad avvertire la signora che il signore è qui.
[…]
Firmin Accomodatevi, signorina.
Tutti Nini Galant!
Nini (dal fondo.) In persona! tutto bene con voi? (Appoggia l’ombrello contro il divano, accanto alla sedia, e avanza.)
Marceline e De Chenneviette Non c’è male.
Firmin La signorina ha saputo la novità?
Nini No, di che si tratta?
Tutti È tornato!

Nella scena settima dell’atto secondo di La fausse suivante (La falsa serva, 1724) di Marivaux, in compenso, Arlecchino si lascia corrompere con estrema facilità:

Arlequin
Laissez-moi vous contempler, cassette de mon âme : qu’elle est jolie ! Mignard, mon cœur s’en va, je me trouve mal. Vite un échantillon pour me remettre ; ah ! ah ! ah ! ah !
Le Chevalier (à Trivelin.)
Débarrasse-moi de lui ; que veut-il dire avec son échantillon ?
Trivelin
Bon ! bon ! c’est de l’argent qu’il demande.
Le Chevalier
S’il ne tient qu’à cela pour venir à bout du dessein que je poursuis, emmène-le, et engage-le au secret, voilà de quoi le faire taire. (À Arlequin.) Mon cher Arlequin, ne me découvre point ; je te promets des échantillons tant que tu voudras. Trivelin va t’en donner ; suis-le, et ne dis mot ; tu n’aurais rien si tu parlais.

Arlecchino
Fatti ammirare, cofanetto dell’anima mia: quanto sei bello! Il mio cuore, smanceroso, mi abbandona, mi sento svenire. Un regalino presto, per rimettermi in piedi; ah! ah! ah! ah!
Il Cavaliere (a Trivelin.)
Sbarazzami di lui; che intende dire con regalino?
Trivelin
Certo! certo! sono i soldi quelli che vuole.
Il Cavaliere
Se gli basta questo per lasciarmi portare a termine il mio progetto indisturbato, accompagnalo, e assoldalo in segreto, ecco di che farlo tacere. (Ad Arlecchino.) Mio caro Arlecchino, non rivelare i miei piani e ti prometto tutti i regalini che vorrai. Ora Trivellin ti darà ciò che ti spetta; seguilo, e non una parola; altrimenti non riceverai nulla.

ritratto di Marivaux

Cosa che non disdegna di fare neppure Gusman, il cocchiere di Ribadier, che nella scena ottava dell’atto terzo di Le Système Ribadier (Il sistema Ribadier, 1892) di Feydeau nega di essersi introdotto nottetempo nella casa del suo padrone, salvo poi ritrattare tutto un istante dopo quando questi gli offre del denaro:

Ribadier Tu venais pour une femme, hein, tu venais pour une femme, allons, avoue !
Gusman Oh ! Monsieur… La galanterie… Je suis gentleman…
Ribadier (réprimant un mouvement de colère.) Ouh !… Allons ! Allons ! Cinquante francs pour toi ?
Gusman (digne.) C’est bien !
Ribadier Alors, c’est toi qui venais. Ici dans l’obscurité ?
Gusman C’était moi !

Ribadier Venivi per una donna, eh, venivi per una donna, su, confessa!
Gusman Oh! Signore… La galanteria… Io sono un gentiluomo…
Ribadier (reprimendo un gesto di collera.) Uhm!… Andiamo! Andiamo! E se ti do cinquanta franchi?
Gusman (con dignità.) D’accordo!
Ribadier Allora, eri tu quello che veniva qui, nell’oscurità?
Gusman Ero io!

Se, come si è visto, Arlecchino rappresenta il servo goffo per antonomasia che pensa solo a riempirsi la pancia e le tasche, allo stesso modo Trivelin, anch’egli tra i protagonisti di diverse opere di Marivaux, è il classico esempio di servo doppiogiochista e privo di scrupoli, come si può constatare dal monologo della scena prima dell’atto primo della Fausse suivante (La falsa serva, 1724)[7]:

Trivelin
Que te dirai-je enfin ? Tantôt maître, tantôt valet ; toujours prudent, toujours industrieux, ami des fripons par intérêt, ami des honnêtes gens par goût ; traité poliment sous une figure, menacé d’étrivières sous une autre ; changeant à propos de métier, d’habit, de caractère, de mœurs ; risquant beaucoup, réussissant peu ; libertin dans le fond, réglé dans la forme ; démasqué par les uns, soupçonné par les autres, à la fin équivoque à tout le monde, j’ai tâté de tout ; je dois partout ; mes créanciers sont de deux espèces: les uns ne savent pas que je leur dois ; les autres le savent et le sauront longtemps. J’ai logé partout, sur le pavé, chez l’aubergiste, au cabaret, chez le bourgeois, chez l’homme de qualité, chez moi, chez la justice, qui m’a souvent recueilli dans mes malheurs ; mais ses appartements sont trop tristes, et je n’y faisais que des retraites ; enfin, mon ami, après quinze ans de soins, de travaux et de peines, ce malheureux paquet est tout ce qui me reste ; voilà ce que le monde m’a laissé, l’ingrat! après ce que j’ai fait pour lui ! tous ses présents ne valent pas une pistole!

Trivelin
Che vuoi che ti dica insomma? A volte padrone, a volte valletto; sempre prudente, sempre ingegnoso, amico dei bricconi per interesse, amico dei galantuomini per diletto; trattato con i guanti in una veste, minacciato con lo staffile nell’altra; cambiando a seconda mestiere, abito, carattere, costumi; rischiando molto e riuscendo poco; libertino nell’animo, sobrio nella forma; smascherato da alcuni, sospettato da altri, alla fin fine equivoco a tutti, non vi è cosa che non abbia sperimentato; ho debiti ovunque e creditori di due razze: gli uni non sanno del mio debito; gli altri lo sanno e lo sapranno ancora a lungo. Ho dormito in ogni dove, in mezzo alla strada, nelle locande, al cabaret, dal borghese, dal gentiluomo, a casa mia, nelle mani della giustizia, che spesso mi ha raccattato nei momenti di disgrazia; ma le sue stanze sono troppo tristi, e ci restavo solo per brevi periodi; insomma, amico mio, dopo quindici anni di accortezze, di intrighi e di sofferenze, questo squallido pacchetto è tutto ciò che mi resta; ecco quello che il mondo m’ha lasciato, l’ingrato! dopo quanto ho fatto per lui! tutti i suoi doni non valgono una pistola!

La Foire Saint-Laurent

Dai testi presi in esame si evince che i personaggi del Primo e del Secondo Zanni, ampiamente sfruttati dalla Commedia dell’Arte, hanno trovato una perfetta collocazione all’interno del teatro francese contribuendo anche alla nascita di un nuovo duetto comico, quello costituito da servo e padrone: a un servo astuto si contrappone quindi un padrone sciocco, mentre un servo ingenuo fa da spalla a un padrone scaltro, lasciando che la comicità scaturisca dal forte contrasto caratteriale tra i due.

Note

[1] Cfr. Henry Gidel, Le Théâtre de Georges Feydeau, Klincksieck, Parigi 1979, p. 236.
[2] Cfr. Patrice Pavis, Dizionario del Teatro, a cura di Paolo Bosisio, Zanichelli, Bologna 1998, pp. 86-88.
[3] A questo proposito vedesi l’intervista rilasciata dall’attore Jean-Pierre Vincent che ha portato più volte sul palcoscenico il personaggio, e contenuta in AA.VV., Maîtres et Valets, Gallimard, Parigi 1994, pp. 21-24.
[4] Cfr. AA.VV., op. cit., pp. 81-82.
[5] Cfr. AA.VV., Lo Spettacolo, Enciclopedia di Cinema, Teatro, Balletto, Circo, TV e Rivista, Garzanti Editore, Milano 1976, p. 30.
[6] Cfr. AA.VV., Maîtres et Valets, Gallimard, Parigi 1994, pp. 16-17.
[7] Cfr. AA.VV., Maîtres et Valets, Gallimard, Parigi 1994, p. 7.

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