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Palcoscenico

Il Barbiere di Rossini nelle mani di Battistoni

Ca-po-la-vo-ro! Il preludio rossiniano in magnifico crescendo de Il Barbiere di Siviglia è una delle composizioni più memorabili che siano mai state scritte. Poco più di sette minuti, nei quali, tolti i dispositivi che ci ancorano al nostro presente, Rossini ci teletrasporta in un mondo animato da sogni e fantasie. Sarà forse per questo che piace particolarmente agli adolescenti. Se vale la pena esser transitati su questo pianeta, seppur per una frazione della sua esistenza, il Preludio del Barbiere è sicuramente uno dei (tanti/pochi?) motivi validi. Gioachino Rossini, si potrebbe dire, era obbligato a scrivere in questo stile brioso, frizzante, talmente attuale a ben due secoli di distanza da riuscire a sottrarre decine di giovani a Lady Gaga o ai Tokio Hotel. L’Arena del Barbiere è più giovane: sugli spalti ci sono famiglie con figli e gruppetti di ragazzine in pantaloncini corti, che si mescolano a signore che nonostante l’età ancora faticano a destreggiarsi con tacchi a spillo acuminato.

Il Barbiere Di Siviglia - palco

Rossini, dicevamo, nasce pochi giorni dopo la morte di Mozart, quindi siamo verso la fine del XVIII secolo, quello dei Lumi, per intenderci, che in teatro alternava lo spettacolo della Commedia dell’Arte e le opere del commediografo Goldoni. Figlio di cantanti e musicisti, cantante lui stesso e sposo della grande soprano Isabella Colban, ben presto Rossini diventa erede, non per stile ma per talento e capacità d’innovazione, del grande maestro salisburghese, al punto da meritarsi l’appellativo di “tedeschino”. Dai suoi celeberrimi “crescendo” hanno tratto ispirazione tutti i generi musicali, più o meno direttamente, più o meno copiosamente. Prima di Rossini e dopo Rossini, dunque. Per fortuna, noi apparteniamo alla generazione del dopo, del dopo Rossini, che a 37 anni, successivamente al suo ultimo capolavoro, Guglielmo Tell, in piena età romantica, si ritira dalle scene, alimentando il mito sulla sua persona in preda a malinconia e depressione.

Con queste premesse, entriamo in Arena per la seconda opera in cartellone, Il Barbiere di Siviglia. A dire il vero, l’allestimento è già noto in anfiteatro, e non ci sembra che siano state apportate variazioni di rilievo. La regia è di Hugo de Ana, che ha dipinto un barbiere floreale, con una struttura centrale riecheggiante una forma labirintica, come ad accentuare il leitmotiv dell’opera, che gira attorno ai giochi consumati in prossimità della bella Rosina, corteggiata sia dal vecchio, geloso nonché indesiderato don Bartolo, sia dal conte di Almaviva, costretto a studiarne una più del diavolo per conquistarla. Insomma, non siamo di fronte alla commedia degli equivoci, anche se una serie di travestimenti e stratagemmi per evitare il peggio condiscono il dramma rossiniano, che superò di fama il primo Barbiere del Paisiello. De Ana, ormai è noto, è abile a creare scenografie importanti ma misurate, adatte alla cornice scaligera, che esige sfarzo ma non lusso, spettacolarità ma non magnificenza. I costumi e gli attrezzi di scena richiamano vagamente una Venezia settecentesca, e per questo ben si adattano al gioco di tranelli e piccole menzogne dei protagonisti. Eccezionale – non ci sembra di ricordarla così ben riuscita nelle precedenti edizioni – la cascata pirotecnica che induce il pubblico al boato. Rimane fissata nella mente ben dopo la fine dello spettacolo, così come il contrasto tra il rosso delle mastodontiche rose che beffardamente addobbano – in realtà asfissiano – il palco, e il verde delle siepi che formano un labirinto.

Il Barbiere Di Siviglia - scalaIl cast risulta ben assortito e collaudato. Nel ruolo del conte di Almaviva troviamo un più che convincente Antonio Siragusa, ormai pratico della parte e capace di dare quel tocco di irrazionalità all’ingenuo conte. Don Bartolo è Bruno de Simone, ormai nell’olimpo degli interpreti rossiniani, capace di mettere la sua comicità napoletana al servizio dei goffi tentativi di conquista della bella Rosina da parte del suo personaggio, che trasforma se stesso più volte nel corso dell’opera. La dama che tutti desiderano è  Aleksandra Kurzak. Voce ancora fresca, incerta in più parti, ma sicuramente positiva nel suo complesso. Ci aspettiamo maggiore precisione e una capacità di esprimere il meglio già dalle prime battute. Molto applaudito il divertentissimo Figaro di Marco Vinco, che ci spiega in modo elettrizzante quanto la calunnia sia “un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrar…”. In tempi di gossip che sovrasta la cronaca, questa celeberrima aria rossiniana diventa come una croce sulle spalle di una nazione dilaniata dai continui scandali a luci rosse.

Ultimo, ma solo per tributargli un grandissimo applauso, il direttore Andrea Battistoni, appena ventiquattrenne e già sicuro e limpido in una direzione talmente entusiasmante e piena di personalissimo brio da far commuovere. La sua interpretazione del famoso Preludio e delle parti più complesse è magistrale. Battistoni ha una sensibilità che lo allontana decisamente dalla onorabilissima tradizione italiana. Con lui si capisce che all’orchestra sia richiesto entusiasmo, tempi veloci e capacità di coinvolgere il pubblico, che lo applaude ripetutamente. Ne risulta un Barbiere a tratti aspro e cattivo, stizzoso, ma estremamente trascinante ed affascinante. Con il bell’Andrea siamo sicuri che l’opera italiana ha trovato un sicuro innovatore, insomma, qualcosa di nuovo in un ambiente che poco è abituato allo scardinamento degli schemi, verso il quale il giovane direttore veronese sembra proiettato e proiettarci. L’Italia che ci piace è proprio quella che Battistoni disegna con gli scatti vertiginosi delle sue mani!

Il Barbiere di Siviglia

La decisione di presentare al pubblico un rifacimento del celeberrimo Barbiere di Paisiello, ancora vivente il compositore napoletano, scatenò non poca bagarre , nonostante ci si fosse premurati di dare all’opera il titolo Almaviva e di dichiarare che Rossini, «onde non incorrere nella taccia d’una temeraria rivalità coll’immortale autore che lo ha preceduto [Paisiello]», aveva musicato un libretto totalmente originale. Decisione audace (forse dovuta a Giovanni Paterni, sovrintendente dei pubblici spettacoli a Roma) quella di affidare l’operazione a un giovane compositore emergente, attivo sulle scene da meno di sei anni, ‘esploso’ da tre con i due capolavori Tancredi e L’Italiana in Algeri .

Usufruendo della clausola del contratto stipulato con Barbaja a Napoli, che gli permetteva di accettare scritture da altri teatri, Rossini si accordò col duca Francesco Cesarini Sforza, impresario del teatro di Torre Argentina, per un’opera da rappresentarsi nel carnevale del 1816. Tra la firma del contratto, il 15 dicembre 1815, e la ‘prima’ del Barbiere trascorsero appena due mesi, fatto che alimentò la leggenda dei pochissimi giorni occorsi per la composizione del capolavoro (in alcune versioni appena nove). Comunque sia, perduto anche l’appoggio dell’impresario (morto improvvisamente), la ‘prima’ si rivelò un fiasco, osteggiata rumorosamente dai sostenitori di Paisiello e funestata da una serie impressionante di incidenti in scena, sotto gli occhi amareggiati di Rossini che dirigeva dal cembalo. Il cast originario comprendeva nel ruolo del conte una grande celebrità: il tenore spagnolo Manuel García, che ricevette un compenso maggiore di quello pattuito con Rossini stesso; Rosina era invece Geltrude Righetti Giorgi, che l’anno dopo sarà la prima protagonista di Cenerentola . Negli anni successivi l’opera ottenne vasti successi in tutta Europa; già nel 1819 alcuni suoi numeri erano stati inseriti in un ‘pasticcio’ a New York, dove sei anni dopo (il 29 novembre 1825, data capitale per la storia dell’opera in America) approdò nella sua integrità, portatavi proprio dalla compagnia di García, di cui faceva parte la figlia, più tardi celebre come Maria Malibran.

Fonte: scheda dell’opera sul sito dell’Arena

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