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Scrittura

Lascia che la carne istruisca la mente: Intervista a Anne Rice (I)

Lascia che la carne istruisca la mente: Intervista a Anne Rice (I)

La presente intervista è tratta da The Anne Rice Reader, Writers Explore the Universe of Anne Rice, Ballantine Books, New York 1997, pp. 55-73, ed è stata originariamente pubblicata sulla rivista Quadrant: The Journal of the C.G. Jung Foundation for Analytical Psychology, New York 1991. L’autrice è la studiosa Katherine Ramsland, curatrice di molte opere che analizzano a fondo la letteratura e i personaggi di Anne Rice (1941-2021), che ne detiene il copyright. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.

Anne RiceKatherine Ramsland (KR): A che livello è stata esposta alla figura di Jung e alle teorie junghiane?

Anne Rice (AR): L’ho sentito nominare e per tutto il corso della mia vita ho sentito anche alcune delle parole basiche che ha inventato, ma la mia conoscenza specifica di Jung è molto vaga. Ricordo alcuni amici in California che parlavano dell’inconscio collettivo. Dicevano che era come se ognuno di noi possedesse la memoria dell’intera razza, in modo da reagire, a volte, come se ricordassimo cose che non abbiamo davvero vissuto ma che in realtà sono successe ad altre persone. Credo sia probabilmente vero.

KR: Nel suo romanzo Exit to Eden (1985) lei parla dell’esistenza della memoria razziale riferita all’erotico e a tutto quanto a esso connesso. In quel contesto utilizza il termine memoria razziale nel significato che ha appena descritto?

AR: Suppongo di sì, ma quando l’ho scritto non stavo pensando a Jung. In Exit to Eden suggerivo la memoria razziale come spiegazione dell’attrazione che proviamo verso la sofferenza – il desiderio primitivo di raggiungere l’intimità attraverso la violenza, a causa dell’attrazione che proviamo verso la sofferenza. Quello che cercavo di dire è che il sadomasochismo non ha quasi niente a che fare con il modo in cui una persona viene allevata, o con i suoi trascorsi religiosi, o con una specifica esperienza traumatica dell’infanzia. Persone dal percorso di vita completamente diverso, provenienti da contesti sociali del tutto diversi, amano le fantasie masochistiche. Se proprio vogliamo ricercare una causa, potremmo pensare a qualcosa come la memoria razziale – qualcosa di codificato nei geni, il modo in cui, dopo migliaia di anni, abbiamo trasformato le esperienze di violenza e violazione in qualcosa di erotico.

KR: I suoi romanzi della serie Le cronache dei vampiri hanno avuto un grandissimo riscontro di pubblico. Come ha iniziato a scrivere sui vampiri?

AR: Ho iniziato per puro capriccio. Me ne stavo seduta davanti alla macchina da scrivere chiedendomi come sarebbe stato essere un vampiro. Volevo riuscire a vedere attraverso i suoi occhi e pormi le domande che per me era imprescindibile che un vampiro, un tempo essere umano, si ponesse. Seguivo solo la mia immaginazione e il mio istinto. All’inizio la storia era breve, ma ho continuato a riscriverla e durante una di queste riscritture è diventata un romanzo.
Vedere attraverso gli occhi di Louis mi ha permesso di scrivere sulla vita in un modo in cui non sarei stata in grado di fare in un romanzo contemporaneo. Non sarei stata in grado di rendere la mia vita credibile in quella forma. Non sapevo come usarla. Quando ho abbandonato la lotta e ho scritto Intervista col vampiro, mi è uscito tutto di getto. Ero in grado di descrivere la realtà attraverso la fantasia.

Anne Rice (libri)

KR: Utilizza la sua vita fantastica per scrivere i suoi romanzi?

AR: No. Scrivere fa parte della mia vita fantastica. È uno dei livelli di quella vita. La mia vita fantastica si suddivide in tre livelli. Uno è una specie di mondo perennemente immaginario con persone che ci sono sempre state da quando ero bambina. Quel mondo mi accompagna sempre ed è per me una grande fonte di gioia, e naturalmente si evolve con me e riflette i miei interessi più stretti. I miei primi ricordi legati a questo mondo riguardano bambini e genitori e case enormi e interni sontuosi – una sorta di regno delle fate. Quando avevo dodici anni, e desideravo ardentemente farmi suora, tutti questi personaggi entravano in un convento o erano confratelli e preti. È solo un mondo immaginario dove io probabilmente elaboro in qualche modo i problemi psicologici; ma non metto mai su carta quello che succede in questo livello. Nessuno dei personaggi appartenente a questo mondo immaginario è mai diventato un personaggio dei miei romanzi. La mia scrittura è un altro livello della mia vita fantastica. Un altro livello ancora è costituito dalle fantasie sessuali, molto simili ai romanzi che ho scritto con lo pseudonimo Roquelaure.

KR: Presta attenzione ai suoi sogni?

AR: In parte. Sto utilizzando un sogno nel romanzo sui vampiri che sto scrivendo adesso (Il ladro di corpi, N.d.T.). È un sogno che ho fatto anni fa: una tigre mi saltava al collo; pensavo volesse uccidermi e invece si mangiava la collana che indossavo. Senza dubbio, un sogno come questo influisce su di me molto di più, in termini di sensazioni, umore e simbolismo, di quanto non facciano le mie letture o le cose che vedo su altri livelli. Ed è capitato che l’episodio si adatti perfettamente al libro su cui sto lavorando ora.
In realtà non mi capita spesso di ricordare i sogni che faccio, ma quelli molto intensi mi lasciano la sensazione di venire quasi trasportata in un altro luogo. Quelli li ricordo. Riecheggiano. Ma mi capita molto raramente di farli. Posso andare avanti per mesi o anni senza ricordare neanche un sogno.
Nella mia vita avrò forse fatto tre sogni profondi – sogni che sembravano qualcosa di diverso da sogni. Uno lo feci quando ero bambina, intorno ai quattro anni. Ha avuto una grande influenza sulla scrittura del mio romanzo La regina dei dannati. Nel sogno vedevo questa donna completamente bianca, come il marmo, che camminava con in mano un libro di preghiere. Qualcuno mi diceva: “Non è tua nonna, è tua nonna regis”. Non conoscevo il significato della parola regis e non l’avevo mai sentita. Non ho mai dimenticato quel sogno. Era stato molto spaventoso.
E poi feci un sogno su mia figlia, Michele, che stava male – c’era qualcosa che non andava nel suo sangue, e lei stava appassendo e morendo. Diventava blu e collassava a causa del fluido nelle sue vene. Fu terribile. Il sogno lo feci prima che le diagnosticassero la leucemia.

Intervista col vampiro (film)

KR: Ha detto che Intervista col vampiro è stato un modo per descrivere la realtà della sua vita attraverso la fantasia. Vede un legame tra l’esperienza che ha vissuto con la malattia di Michele e l’immagine del vampiro?

AR: Non ho mai coscientemente pensato alla morte di mia figlia mentre lo scrivevo. Non ero cosciente che stavo elaborando qualcosa. Quando lo scrissi, fu come sognare. Il libro aveva vita propria. Certamente sono stata io a dargli forma, come l’artista che modella la sua opera, ma le immagini erano spontanee e arbitrarie.
La bambina vampiro nel romanzo, Claudia, era fisicamente ispirata a Michele, ma alla fine divenne qualcosa di diverso – una donna intrappolata nel corpo di una bambina, privata di potere, destinata a non sapere mai davvero come sarebbe stato essere donna e fare l’amore. In realtà, è diventata la metafora di una mente incollerita intrappolata in un corpo impotente. Alcuni lettori non vedenti, che hanno ascoltato il libro su cassetta, mi hanno detto di essersi identificati con il personaggio. Anche persone di piccola statura mi hanno chiamato per dirmi che si riconoscevano in lei. È proprio così che la vedo – come se le fosse stato sottratto qualcosa con la forza.

KR: Tutti i suoi romanzi sono “come sognare”?

AR: In parte sì, ma Intervista col vampiro è stato davvero il romanzo che ho scritto essendone meno cosciente. Ho semplicemente iniziato a scrivere e ho lasciato che la scrittura mi portasse dove voleva lei.
Il solo altro romanzo con cui ho vissuto un’esperienza simile è stato Exit to Eden. Completamente non pianificato. In effetti la mia intenzione era di scrivere un romanzo pornografico, ma i personaggi di Elliott e Lisa hanno finito per prendere vita per me. Me ne sono innamorata subito. Pian piano è nato qualcosa e ha smesso di essere solo pornografia, oppure è diventato una forma molto più elevata di pornografia, perché le persone coinvolte nelle scene di sesso erano così reali, e avevano una personalità e una storia. Il libro ha finito per diventare sempre più sensuale, e quando l’ho concluso ero entusiasta. Mi sono resa conto che qualcosa di magnifico era successo nel libro.

KR: Jung parla spesso dell’erotico come archetipica interazione tra opposti. Può dirci qualcosa sull’importanza dell’utilizzo degli opposti nei suoi romanzi?

AR: Quello che davvero mi interessa è il mix di questi opposti – il trascendere drammatici estremi. La ragione per cui mi piace scrivere su persone bisessuali è che per me trascendono il genere. I miei personaggi non sono omosessuali, non li ho mai concepiti come tali. Penso che la loro accettazione nell’ambiente gay sia dovuta al fatto che non sono stereotipati. I miei personaggi sono semplicemente persone che hanno relazioni omosessuali; non li vedo attraverso un velato senso di colpa. Ecco perché le sceneggiature cinematografiche tratte dai miei romanzi che ho letto non mi convincono del tutto – tendono a ritrarre i miei personaggi come decisamente omosessuali e anche da un punto di vista negativo. È uno spiacevole fraintendimento.
Non sono solita creare dei semplici opposti che interagiscono in questo modo. La tensione tra gli opposti, per come la vedo io, non è tanto un violento scontro di oggetti quanto piuttosto un mix all’interno di ogni singolo personaggio – maschile e femminile, bene e male. Ecco perché mi piacciono i film della serie Il padrino. Prestano molta attenzione a mostrare il lato buono e fiducioso dei Corleone – al loro essere uomini comuni che si dà il caso uccidano la gente per vivere. Molte delle immagini di vero male a Hollywood sono generiche e stereotipate. Hitler, per esempio, ne esce sempre come un mostro monodimensionale, e non si percepisce mai chi era come essere umano, né quali erano le sue motivazioni. Non sto dicendo che il pubblico deve essere indotto a simpatizzare per il malvagio, e non sostengo neanche che capire il male lo sradicherà. Per esempio non credo che un tentativo di comprensione avrebbe reso redimibile un serial killer come Ted Bundy. Parlo in qualità di scrittrice sull’essere affascinati dal male – sul bisogno di penetrarne la complessità, di capire cosa spinge uomini come Bundy a comportarsi così.

KR: È per questo che ha cambiato le convenzioni della storia di vampiri, per rendere il vampiro una figura più completa come personaggio?

AR: Ho sempre visto i vampiri come figure romantiche e astratte. In Dracula sono presentati come esseri più simili agli animali – ferini, villosi, dall’odore ripugnante. Ma io li ho sempre visti come angeli che vanno in un’altra direzione – non necessariamente verso la bontà, ma sono diventati accurate imitazioni di esseri umani imbevute di questo spirito malvagio. Poiché lo spirito non è materiale, quello che succede in realtà è che diventano raffinati e astratti anziché animaleschi e materialistici.
È un’idea che probabilmente mi accompagna dall’infanzia, quando vidi il film La figlia di Dracula. Amavo la tragica figura della figlia di Dracula – la creatura piena di rimpianti che non voleva uccidere ma era spinta a farlo. Possedeva quella dimensione tragica. Il mito del vampiro in quel film era al suo massimo, molto eloquente, molto articolato perché la stessa figura della donna vampiro era articolata ed eloquente. Non ho mai dimenticato quel film. Aveva le più belle scene di seduzione che avessi mai visto – molto sottili. Non la si vedeva stabilire un contatto fisico. Alzava il suo anello e ipnotizzava la vittima.
A questo va aggiunto il fatto che, quand’ero bambina, a casa mia si parlava di libri. C’era una storia che circolava intitolata Dress of White Silk. Era narrata in prima persona, dal punto di vista di un bambino vampiro. Io la trovavo bellissima. Volevo entrare nella mentalità del vampiro. Mi ha sempre interessato il punto di vista delle persone al centro dell’intera storia.

Anne Rice

KR: In un certo senso, lei ha umanizzato il vampiro – lo ha reso una tragica figura romantica. E lo ha anche dotato di coscienza; non è un corpo animato sottomesso all’istinto di saziarsi, ma una diversa categoria di essere umano. Questa scelta fa sì che il dramma conscio/inconscio degli esseri umani contrapposti al vampiro si sposti verso qualcosa che avviene all’interno del vampiro stesso. Che cosa ha comportato questo spostamento?

AR: In verità io non interpreto le storie di vampiri in termini di conscio o inconscio. Per me i vampiri sono degli outsider, creature fuori dalla sfera umana che tuttavia possono parlarne – nel modo in cui Mefistofele ne può parlare a Faust. Li ho dotati di coscienza, intelligenza e saggezza in modo che potessero vedere cose che gli umani non sono in grado di vedere.

KR: Come si è evoluto il vampiro Lestat come personaggio?

AR: Si è evoluto quasi al di fuori del mio controllo. Si è materializzato spontaneamente come personaggio di secondo piano mentre stavo scrivendo Intervista col vampiro e poi ha assunto una forza notevole e ha vissuto esperienze che sono finite nel secondo romanzo, Scelti dalle tenebre. Quando stavo lavorando a Intervista col vampiro ero talmente focalizzata su Louis e Claudia da non accorgermi che Lestat stesse sviluppando una tale coerenza. Ha esordito come semplice cattivo, ma non si può mai sapere chi assume il controllo di un romanzo.

KR: Direbbe che si identifica in qualche modo in Lestat?

AR: Se fossi un vampiro sicuramente vorrei essere Lestat. Quello che mi affascina di lui è che conosce benissimo la differenza tra giusto e sbagliato e continua a fare quello che deve. La sua forza, la sua propensione all’azione, la mancanza di rimpianti, la mancanza d’immobilità, la sua capacità di vincere ancora e ancora, il suo non accettare assolutamente di perdere – adoro scrivere da questo punto di vista. Louis è un tipo di personaggio esattamente opposto – passivo, sconfitto, deluso. Lestat è invincibile, ed è stato molto divertente scrivere sull’argomento. Penso di assomigliare molto di più a Louis, mentre Lestat è il sogno dell’uomo che mi piacerebbe essere.

Invervista col vampiro (serie)

KR: Lei ha preso le classiche caratteristiche erotiche tipiche della vampire fiction e le ha accentuate. Può dirci qualcosa a riguardo?

AR: La vampire fiction è erotica perché l’immagine stessa del vampiro tanto per cominciare è erotica. Le religioni erano solite avere dèi e dee molto sensuali, come gli antichi, vigorosi dèi della vegetazione, ma ora sono scomparsi, e quello che permane nella nostra immaginazione è il vampiro. Ci chiede un sacrificio, ma in questo sacrificio c’è grande rottura, e rispondiamo inconsciamente.

KR: Come è riuscita a stabilire il legame tra vampiri e antichi dèi della vegetazione?

AR: Ero a metà del secondo romanzo, Scelti dalle tenebre, quando mi sono imbattuta per caso in questo legame. È stato come ribaltare qualcosa e vederne l’altro lato, e tutto è andato al suo posto. Stavo leggendo Sir James Frazer e Joseph Campbell, e altri libri sui miti di Robert Graves, e all’improvviso mi sono imbattuta nel mito di Iside e Osiride. Ho pensato: “Ci siamo! È perfetto!”.
Ma credo che il legame tra il vampiro e gli dèi della vegetazione fosse già presente. Io ho esplorato il rapporto, non l’ho creato. Penso che se continui a scavare nell’inconscio, se scrivi e cerchi costantemente l’essenza – quella sensazione di intensità e rapporto – queste cose finiscono sempre per emergere. Solo dopo che tutto si è svolto mi sono accorta che Lestat era una figura dionisiaca. E a quel punto ho trovato la strada per costruire la mitologia dei vampiri. È stato quasi uno scherzo per me. Lestat incontra questo antico romano, Marius, e Marius gli dice: “Sai cosa? Eravamo dèi della vegetazione”, è stato come una battuta fra noi. Scelti dalle tenebre è stato un romanzo di erranza e scoperta.

KR: Parla di ricerca dell’essenza. Cosa intende esattamente con questo termine e cosa l’avvicina di più a esso?

AR: L’essenza è il momento della verità che conta davvero – la frase che vorresti pronunciare sul tuo letto di morte; quello che diresti se qualcuno venisse e ti chiedesse: “Hai qualcosa da dirci?”. Si continua a cercare di ridurre all’essenziale, di raggiungere davvero, questo momento di verità che fa rizzare i capelli in testa, la cosa più importante che si possa dire sulla lotta che combattiamo nel mondo – un momento di verità esplosiva.

KR: La letteratura erotica l’ha condotta all’essenza?

AR: Tanto. L’idea era quella di scrivere un libro dove non c’era bisogno di segnare le pagine bollenti perché lo sarebbero state tutte. Quindi ho cercato di arrivare davvero al cuore di quella fantasia – di raggiungere l’istante di palpitante intensità e togliere ogni elemento estraneo, per quanto sia possibile farlo all’interno di una narrazione. Per riuscirci bisogna avere piena consapevolezza di quello che si sta scrivendo, ed è molto difficile raggiungere un contatto costante. Vieni travolto dalla costruzione di una scena e devi cercare di superarla per rendere il libro del tutto essenza.

Anne Rice

KR: Vede un collegamento tra i libri sui vampiri e la letteratura erotica che ha scritto con gli pseudonimi di Roquelaure e Rampling in termini di unione tra carne e spirito?

AR: Non ero consapevole dell’esistenza di un collegamento tra i libri sui vampiri e la letteratura erotica, ma sì, certamente coinvolgono la stessa tematica – dominio e sottomissione – e c’è un’atmosfera erotica in tutto quello che succede.
So che nei libri si parla sempre del fatto che la verità è nella carne. Claudia dice a Louis: “Lascia che la carne istruisca la mente”, e ne sono fermamente convinta. Nella Regina dei dannati, quando Maharet trasforma Jesse in vampiro, lei dice di essere per sempre legata alla carne e, durante la trasformazione, ha una visione in cui Maharet dice: “Guardati da ciò che non ha carne”. Certamente la letteratura erotica insiste sul fatto che l’esperienza della carne non è male. Non è un’autorizzazione a mettere in pratica le nostre fantasie. Dice solamente che quello che la carne desidera non è necessariamente cattivo, ma richiede esplorazione, attenzione. A parte questo, non so. Tendo ad ascoltare le mie convinzioni. Sono molto coinvolta.

KR: Ci vede un legame tra l’erotico e i generi horror in generale?

AR: Sì, penso che ci sia un legame profondo. L’eccitazione che trasmettono le storie di fantasmi è in parte simile all’eccitazione sessuale. In queste storie la vittima è sempre costretta alla sottomissione. Le storie di vampiri in particolare implicano una forma di seduzione, un possesso della vittima.

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