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Cinema

Trieste Science + Fiction Festival 2023: cortometraggi

Trieste Science + Fiction Festival 2023: cortometraggi

Trieste Science + Fiction 2023Si è appena conclusa con grande successo la ventitreesima edizione del Trieste Science + Fiction Festival, il più importante evento italiano dedicato alla fantascienza che quest’anno festeggiava anche i primi sessant’anni dello storico Festival Internazionale del Film di Fantascienza, svoltosi a Trieste dal 1963 al 1982 e di cui l’attuale manifestazione ha raccolto l’eredità. Nell’ambito dell’evento, oltre a importanti film nazionali e internazionali presentati in anteprima, è stata proiettata come ogni anno una ricca serie di cortometraggi suddivisi nelle sezioni European Fantastic Shorts, riservata ai corti europei, Spazio Corto, riservata ai corti italiani, e Fantastic Shorts, riservata ai corti extraeuropei.

Le tematiche affrontate, pur restando tutte all’interno della fantascienza o del fantasy, hanno rivolto spesso l’attenzione alle nuove tecnologie e alla loro influenza sulla vita dei singoli individui e sull’evoluzione della società. Influenza che in generale è stata rappresentata dai singoli registi come negativa, nella consapevolezza che in ogni innovazione tecnologica c’è sempre un rovescio della medaglia destinato, purtroppo, a sfuggire al controllo. Chi non si è cimentato con l’ambito tecnologico ha optato per figure più classiche, come zombie o vampiri, spesso reinterpretate in chiave moderna come simbolo di stati di solitudine estremi ed emarginazione sociale.

A Positive Contribution, diretto dal lussemburghese residente a Londra Nuri Moseinco, immagina una realtà in cui ai criminali, come alternativa alla carcerazione, viene offerta la cancellazione della memoria con creazione di nuovi ricordi fittizi in modo che possano dare un contributo positivo alla comunità. I criminali, però, sono piuttosto degli oppositori al regime dominante di cui liberarsi annullandone la volontà di ribellione. La dottoressa incaricata di compiere questa procedura su un’altra donna si troverà a fronteggiare il suo passato ormai dimenticato e una realtà di cui non aveva preso coscienza. Pur non scavando a fondo nella psicologia dei personaggi, il regista riesce a tracciare in pochi minuti il ritratto di una donna incapace di opporsi a quanto ha subìto e quindi costretta ad accettare una vita fittizia, che le è stata imposta, al posto di quella vera da lei scelta.

A Positive Contribution

There’s Only One, diretto dallo spagnolo Mik J. López, si focalizza su un’apocalisse zombie dalla quale sembra essere uscita un’unica sopravvissuta, Noelia. La donna si muove all’interno di una città devastata, ormai invasa dai mostruosi esseri, e cerca di cavarsela con le poche risorse a disposizione. L’incontro con un altro essere umano sano sembra aprire uno spiraglio di speranza – o almeno, lo spettatore è indotto a crederlo illudendosi che in due potranno sicuramente garantirsi una sopravvivenza migliore – ma il regista disattende le aspettative introducendo un elemento inaspettato: un figlio meno che decenne ridotto anch’egli allo stato di zombie a cui Noelia è totalmente dedita. Insolito nel suo genere, purtroppo il corto non riesce a convincere fino in fondo nonostante il tentativo di mettere in risalto l’amore di una madre che supera qualsiasi limite.

What-If-I, diretto dall’italiana Lavinia Tommasoli, vincitore del Premio Méliès d’argent, ci immerge nel mondo delle moderne App che ormai possono tutto, persino distruggerci psicologicamente costringendoci a chiederci “e se”.
In un contesto in cui la tecnologia è sempre più invasiva, e anche la pizza si può ritirare in due minuti presso un distributore senza avere contatti con nessuno, un uomo single qualunque accetta di scaricare una nuova App, creata da un suo amico, che, sfruttando i dati memorizzati sullo smartphone, permette di vedere come sarebbe stata la propria vita se si fosse fatta una scelta diversa. Inizialmente scettico, l’uomo finisce per chiedere all’App come sarebbe andata se avesse avuto il coraggio di confessare i suoi sentimenti alla ragazza amata quando ancora era studente. Il risultato è una proiezione di lui sposato con la suddetta ragazza e con una bambina in braccio. Questo lo spingerà a chiudersi in casa e vivere quasi esclusivamente per guardare quella proiezione.
La regista parla di rimpianti – quelli di cui vivono tutti – in modo molto realistico riuscendo a portare sullo schermo personaggi credibili incapaci di vivere le loro vite se non pensando a “quello che sarebbe potuto essere”. Interessante il fatto che, in una scena, il protagonista chiede all’App la proiezione di quello che sarebbe diventato se avesse studiato filosofia e l’App gli mostra un video di lui ridotto come un barbone facendolo ridere di gusto. Fintanto che ci illudiamo che i nostri sogni non realizzati ci avrebbero portato solo guai, va tutto bene, ma quando si insinua in noi l’idea che facendo una scelta diversa avremmo potuto essere molto più felici, per noi è la rovina.

What If I

Il nome, diretto dagli italiani Renato Paone e Francesco Eramo Puoti, si basa sul racconto di fantascienza I nove miliardi di nomi di Dio (1953) di Arthur C. Clarke.
In un’abbazia in stile Il nome della rosa viene richiesto, per ragioni ignote, l’invio di un computer in grado di risolvere complessi algoritmi. I due incaricati a consegnare il macchinario – lui con l’aria di uno che non si pone tante domande, lei un po’ più dubbiosa e alle prese con una gravidanza inaspettata – entrano in contatto con un mondo che riunisce uomini di fede di ogni religione e che cela un mistero legato appunto al nome di Dio.
Benché il materiale di partenza sia più che valido, e le interpretazioni buone, la storia non riesce a coinvolgere lo spettatore quanto dovrebbe e anche il mistero, alla fin fine, perde completamente di interesse.

Starr, diretto dall’italiano Riccardo Grippo, premio Spazio Corto Italia, è uno di quegli splatter in grado di far piegare in due dalle risate gli appassionati del genere pur comunicando un messaggio di forte attualità.
Un giovane si presenta presso un’agenzia che garantisce a chiunque la fama facendolo diventare un influencer di primo livello. Dopo aver firmato il contratto, si ritrova rinchiuso in una cella costretto a uccidere gente mai vista prima sotto l’incitamento, via computer, dei suoi follower. Se all’inizio il tono è drammatico, con il procedere della storia le uccisioni diventano quasi comiche, con tanto di scenette con i due inservienti che portano continuamente via i cadaveri e offrono al personaggio cibo sempre più decente in proporzione alla sua disponibilità a uccidere. A funzionare è proprio il fatto che un cortometraggio horror ricorra a una comicità tipica del cinema muto, eliminando completamente i dialoghi e lasciando solo i suoni a corredo delle reazioni dei personaggi. La violenza è portata ai massimi estremi perché è quanto richiesto dalla società rappresentata, in cui perfino la morte fa spettacolo.

Starr

Liver, diretto dall’italiano Alessio Cuboni, narra l’orrore incentrato sulle antiche credenze. C’è uno studente di medicina, cresciuto con una madre esperta in rituali raccapriccianti, che s’innamora di una giovane destinata ad ammalarsi gravemente al fegato. Pur di salvarla, poiché la scienza si rivelerà inefficace, ricorrerà a uno di quei riti estremi. Il colpo di scena finale non è così inaspettato ma è ben calcolato. La storia risulta credibile senza cedimenti anche se non conquista completamente perché forse ci sarebbe voluto il coraggio di osare ancora di più.

Selfie, diretto dall’italiano Giulio Manicardi, parla di bullismo, solitudine e, soprattutto, accettazione di sé.
Un’adolescente, il cui fisico non rispecchia quello delle tante ragazze che invadono la rete con i loro selfie, è bullizzata dalle compagne e sogna di ricevere tanti like per la sua bellezza come le altre. Un guasto al telefono dopo un’aggressione realizzerà il suo sogno portandola, contemporaneamente, alla distruzione fisica e mentale.
Il regista sceglie di rappresentare una ragazza il cui stato di solitudine è totale – non si vedono genitori, quando rientra a casa, e l’unico amico sembra essere il canarino a cui lei dà un pezzo di mela – e che quindi non ha nessuna “guida” che l’aiuti a capire quel mondo che lei tanto ammira ma che è pura finzione nonché una falsa rappresentazione del sé. Le sue convinzioni non vengono quindi smentite in alcun modo, non potendosi lei confrontare con nessuno, e questo, purtroppo, non le lascia via di scampo.

Selfie

Transylvanie, diretto dal francese Rodrigue Huart, racconta un’altra storia di solitudine ma lasciando da parte i social e attingendo ai vampiri. Siamo di fronte a un’altra ragazzina bullizzata, Ewa di undici anni, ma lei reagisce a modo suo: convincendosi di essere un vampiro.
Il regista ritrae questa bambina con dolcezza, benché il cortometraggio contenga anche scene forti, e riesce a far sì che lo spettatore la comprenda, pur nella sua immaginazione che travalica la sanità mentale, e ne condivida anche il desiderio di trovare un suo posto nel mondo, anche se in un modo assolutamente fuori dalla norma.

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