Il Trieste Film Festival 2024, svoltosi dal 19 al 27 gennaio e arrivato quest’anno alla sua trentacinquesima edizione, ha presentato al pubblico triestino, e internazionale, un’ampia scelta di pellicole tra lungometraggi, cortometraggi e documentari – molti dei quali proiettati per la prima volta in Italia – le cui tematiche, sempre di grande attualità, hanno permesso di approfondire il mondo della cinematografia dell’Europa centro-orientale e scoprire interessanti nuovi registi del panorama italiano. Solitudini, complicate relazioni interpersonali, società che annientano gli individui, adolescenze difficili in un mondo che sembra ignorare le loro esigenze, esseri umani che si sentono non accettati per il loro essere fuori dagli schemi e faticano a trovare un luogo di appartenenza, comunità che si sostengono o si dividono, tradizioni che si perdono o vengono preservate fino all’accesso e nuovi amori e amicizie che nascono; nel corso della sua settimana di programmazione il Trieste Film Festival è riuscito a evocare tutto questo.
Elfogy a levegő (Without Air), della rumena Katalin Moldovai – che si porta a casa il premio del pubblico come miglior lungometraggio, il Premio Cineuropa, il Premio Central European Initiative e la Menzione speciale all’attrice protagonista – racconta, ispirandosi a un fatto realmente accaduto, del progressivo isolamento e messa al bando di un’insegnante di letteratura che ha come unica colpa quella di essersi permessa di suggerire ai suoi studenti la visione del film Poeti dall’inferno (1995), di Agnieszka Holland, come approfondimento per conoscere meglio il poeta Arthur Rimbaud. La stesura della sceneggiatura è iniziata nel 2019 ma la pellicola si rivela di maggiore attualità proprio adesso, dopo la legge ungherese del 2021 contro la promozione dell’omosessualità ai minori, sui media e nelle scuole. L’oppressione di cui finisce per essere vittima l’insegnante protagonista, non solo da parte di genitori e colleghi, ma addirittura degli amici, è anche una rappresentazione della paura che pervade la società e gli individui quando si trovano a confronto con una persona che osa esprimere un’opinione personale esercitando il suo libero arbitrio.
Il Premio Alpe Adria Cinema è stato conferito al documentario 1489 dell’esordiente armena Shoghakat Vardanyan, proiettato anch’esso in anteprima italiana e già vincitore, all’International Documentary Film Festival 2023, del Premio come miglior film e del premio della giuria FIPRESCI. La pellicola segue la vita della famiglia della regista dopo la scomparsa del fratello minore di lei finito suo malgrado coinvolto, nel 2020, nella guerra del Nagorno-Karabakh mentre stava concludendo il servizio militare obbligatorio. Pur non avendo studiato cinema, la giovane regista si rivela capace di convogliare nella sua opera tutte le emozioni che travolgono una famiglia quando si trova a vivere la tragedia di non conoscere la sorte di un proprio caro entrando in una specie di limbo di durata imprecisata. 1489, ovvero “disperso durante un’azione militare” è il numero che è stato assegnato ai resti del fratello quando nel 2021 è stata data comunicazione ufficiale della sua morte.
Ancella d’amore, dell’italiana Emanuela Muzzupappa, Menzione speciale nella Sezione cortometraggi, si distingue invece per la sensibilità con cui riesce a narrare la storia di una bambina che si salva dalla morte grazie a un voto della madre a Santa Rita e da quel giorno è obbligata a indossare l’abito della santa. Convinta lei stessa della grazia ricevuta, la bambina, che si muove in un contesto meridionale fatto di ferme credenze perennemente in bilico tra sacro e profano che finiscono per influenzarla nel profondo, cerca di compiere i miracoli che la comunità le richiede scoprendo, pian piano, di essere più umana che santa. L’attenzione che la regista dimostra per la cura dei dettagli fa sì che il cortometraggio risulti molto credibile nel descrivere un certo tipo di realtà preservando sempre il candore dello sguardo della bambina.
Stepne, dell’ucraina Maryna Vroda, già presentato al Festival di Locarno 2023 dove ha vinto il Premio per la miglior regia, ha conquistato la giuria ottenendo il Premio Trieste. Non è il classico film sul conflitto che sta devastando l’Ucraina, ma la storia di una realtà che sta progressivamente scomparendo raccontata attraverso la figura di un uomo di mezza età che torna nell’ambiente rurale natio per occuparsi della madre morente ed è costretto a fare i conti con le sue scelte di vita e il suo passato. I riti che seguono alla morte della donna, e i discorsi degli anziani su usanze ormai estinte, contribuiscono ad aumentare la consapevolezza di un mondo che di fatto non ha più futuro.
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