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Musica

L’Anastasis dei Dead Can Dance: dal silenzio ad un composto fragore.

Copertina AnastasisDa una foto a volte si riescono a scoprire particolari di una persona che nemmeno ore di osservazione diretta consentirebbero di farlo. Talvolta da una immagine può emergere la storia di una persona, oppure i suoi interessi o alcuni lati del suo carattere. Può sembrare strano, eppure è così. In fondo una fotografia altro non non è se non la cristallizzazione di un attimo, di una frazione infinitesimale di secondo. Ora, pur in un lasso di tempo così breve, i pensieri e i condizionamenti esterni non hanno tempo di scalfire l’immagine della nostra vera essenza, che si manifesta attraverso smorfie, espressioni, pose del corpo.

Questo è ciò che ho pensato non appena mi è capitata fra le mani l’ultima foto promozionale di Brendan Perry e Lisa Gerrard, ovvero i Dead Can Dance, sigla che imperversò negli anni Ottanta divenendo in breve punto di riferimento per tutta la scena darkwave a seguire. Muovendosi fra new wave, neoclassica, folk medioevale, partiture ambientali e contaminazioni etniche, il duo anglo-australiano ha influenzato generazioni di musicisti goth, venendo citato come principale fonte di ispirazione di un intero movimento.
Adesso, all’atto della reunion, sono ovviamente cominciate a circolare le foto promozionali che accompagnano sempre l’uscita di un disco. L’ultima in ordine di tempo, li ritrae insieme, davanti ad un anonimo sfondo nero. L’abbigliamento di lei, nero come lo sfondo, mette in risalto il chiarore del volto. Nell’espressione si nota un lieve ed enigmatico sorriso, come se fosse stata dipinta da un Leonardo in stato di grazia. Il viso emana una sensazione di composta serenità, specchio di una pace interiore raggiunta attraverso le esperienze della vita. Brendan Perry invece si presenta austero e intellettuale con la sua barba bianca, il volto duro e gli occhi profondi e indagatori, accesi dalla luce della curiosità e della voglia di conoscere.

Bene, le sensazioni colte dall’immagine sono la vera essenza dei due. Lisa Gerrard è sempre stata profonda e spirituale, ma anche leggiadra e sinuosa. Con il passare degli anni la componente meditativa ha preso il sopravvento conducendola ad uno stadio di pace interiore visibile ad occhio nudo. Brendan al contrario, è sempre stato uno spirito più inquieto, sperimentatore e forse anche più interessato alle vicende sociali e politiche. L’unione di queste due anime ha prodotto nel tempo capolavori che andavano dalle atmosfere neoclassiche (Within The Realm Of A Dying Sun) ai suoni medioevali (Aion) fino alle sperimentazioni etniche (Into The Labyrinth).
Poi le loro strade si sono divise. La Gerrard ha veleggiato verso la notorietà datagli dalla partecipazione alla colonna sonora de Il Gladiatore mentre Perry ha intrapreso una carriera musicale di stampo cantautoriale, ritirandosi a lavorare nella chiesa sconsacrata Quivvy Church. Dopo sedici anni di silenzio, interrotto nel 2003 dall’uscita della raccolta Wake, la signora Gerrard ha caricato armi e bagagli ed è partita alla volta dell’Irlanda, richiamata dal vecchio amico Brendan per tornare a lavorare insieme e far ripartire una storia che, alla luce di quanto si sente, ha ancora qualche cosa da dire.

Dead Can Dance 2012

Certo, sedici anni sono tanti e anche se i due hanno continuato a lavorare nel mondo della musica, c’era il timore che il tempo avesse macchiato le capacità canore dei due. Invece, Children Of The Sun, il pezzo iniziale, fuga subito ogni dubbio. Esso si apre con una austera tastiera ambientale che introduce un ritmo sinuoso, vagamente sudamericano. Poi all’improvviso, sui giochi di tastiere stratificati, irrompe caldo come sempre il baritono di Brendan Perry. Ed ecco che, come per magia, una magia posseduta solo dalla musica e dall’arte in generale, il tempo si ferma e torna indietro, riportando alla memoria i loro capolavori come Within The Realm Of A Dying Sun o The Serpent’s Egg. Nel refrain ci sono eco etniche tessute dall’abile ugola della Gerrard, spalla d’eccezione in questo brano che va avanti ammaliando con le sue semplici ma fascinose trame sonore. Poi, corni e trombe evocano la visioni di immani muraglie appartenute a perdute civiltà, e introducono uno stacco plumbeo, dove un Perry in versione morrisoniana, declamando versi sulla venuta di una nuova umanità, ci accompagna nell’esplosione finale di fiati, apoteosi che si chiude con i cori mistici della Gerrard e criptici colpi di percussione.

Children Of The Sun merita di essere inserita nella galleria delle cose migliori del gruppo anche dal punto di vista lirico. I bambini del sole cantati in questo pezzo, sono una razza antica in procinto di tornare sulla terra, ma potrebbero essere membri di una utopistica comune hippy che “porta girasoli nei capelli” e le cui canzoni riempiranno l’aria. La volontà di un cambiamento positivo, il voler tornare ad una purezza perduta sono i temi che animano il pezzo, anche se alla fine vi è un oscuro ammonimento, un lunga notte in cui questi bambini torneranno e nessun esercito riuscirà a respingerli. Una nota questa che potrebbe venir letta anche in chiave politica, alla luce dei recenti accadimenti sociali che si stanno verificando a livello globale.
Il brano seguente, Anabasis, dopo una lunga introduzione, si apre ad evocazioni orientali che rimandano all’atmosfera incantata di un hammam, dove i volti delle persone vengono nascosti dalle volute di vapore e l’aria pesante concilia l’immobilità e la perdita dei sensi. Il finale più animato, nasconde una componente di inquietudine che aleggiava già nel resto del pezzo senza che però venisse palesata. Il brano è dominato dalla voce della Gerrard, sempre magica, che qui riprende in mano la tecnica della glossolalia, ovvero l’uso di fonemi inintelligibili per modulare la voce e suggerire all’ascoltatore atmosfere e sensazioni.

Dead Can Dance at the Bell Centre; Aug. 24, 2012

Una tecnica che ha radici profonde e antiche, usata dagli Sciamani come dai primi Cristiani per rendere ancora più magnetica l’esperienza del rito e che la stessa Gerrard, insieme a Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, ebbe la geniale idea di utilizzare nel proprio cantato. Le atmosfere orientali, che hanno caratterizzato la seconda parte della loro precedente produzione, si ritrovano anche in Agape, ma qui lo scenario cambia: non più le atmosfere rarefatte di un hammam quanto piuttosto la visione di una carovana che avanza nel deserto. Il carillon iniziale sottolinea le atmosfere calde ma drammatiche di cui si tinge il pezzo, sempre sostenuto dalla ammaliante vocalità della Gerrard che si libra stavolta su note più alte rispetto ad Anabasis. La componente percussiva è marcata, e riprende alcune cose già sentite nel live Toward The Within.

In questo disco però non c’è solo Oriente. E in particolare non c’è solo Lisa Gerrard. Anzi, la presenza di Perry è più che mai forte. D’altra parte il dualismo in musica ha sempre prodotte cose buone e questa regola vale anche per i Dead Can Dance. I due si sono sempre divisi i compiti in maniera molto equilibrata, senza creare pericolosi sbilanciamenti a favore dell’una o dell’altro. Quando questo equilibrio si è in qualche modo incrinato, i due hanno preferito prendersi una giusta, seppur lunga pausa. Anche in Anastasis quindi, il lavoro di composizione è stato diviso e Perry, oltre che nell’iniziale Children Of The Sun, canta e firma altri tre brani. Amnesia ad esempio riprende le atmosfere new wave degli esordi ma con un tocco di malinconica eleganza che ben sottolinea il tema del pezzo, ovvero la perdita della memoria collettiva, le lezioni del passato che si perdono progredendo di generazione in generazione, arrivando alla conclusione che non si può programmare ciò che sarà se non si conosce ciò che è stato.
È questo il Brendan Perry che amiamo: profondo ed elegante esploratore del lato oscuro della propria anima, lucidamente pessimista ma pronto ad accogliere anche i più flebili sprazzi di luce. È bello sentirlo cantare in Opium il proprio desiderio di evadere i confini delle metropoli per rifugiarsi altrove, lui che lo ha già fatto andando a vivere e lavorare in una chiesa sconsacrata. E anche nella conclusiva All In A Good Time, che riprende i temi lirici di Opium, è la sua voce che ci porta lontano, in un mondo senza tempo, ricco di ricami ambientali magici e affascinanti. C’è un solo pezzo condiviso da entrambi: Return Of The She-King in cui i due protagonisti si dividono la scena in un pezzo pregno di umori celtici, a ricordare la natia terra d’Irlanda in una sorta di bellissima e commovente Scarborough Fair del nuovo millennio.

Dead Can Dance live

Credo che non sia un caso che il titolo dell’album sia derivato da Anastasi, parola greca che significa sia ‘resurrezione’ ma anche più estesamente ‘alzarsi, stare in alto, non cadere’. Molti hanno forse frettolosamente legato questo album al primo significato del termine greco, cioè la resurrezione. Personalmente ritengo che i Dead Can Dance non dovessero risorgere in quanto mai morti. La loro influenza, come detto all’inizio, è rimasta viva fino ai giorni nostri e condiziona, in senso positivo, centinaia di progetti darkwave. Ma anche la loro arte è rimasta sveglia, trovando sviluppo nei progetti solisti di Perry e della Gerrard. Credo invece che sia più pregnante considerare il significato del titolo come stare in alto e non cadere. Un dichiarazione di intenti ma anche un invito a non abbattersi di fronte agli eventi avversi.
Anastasis è un album che non aggiunge ma nemmeno toglie nulla a ciò che i Dead Can Dance hanno fatto nella loro storia. Ma era un album necessario per poter ripartire. In tal senso, con questo nuovo lavoro dopo sedici anni, i Dead Can Dance si sono presi la soddisfazione di incassare un importante atto d’amore dei loro fan, visto che il tour mondiale attualmente in corso, e che ha visitato l’Italia in una data a Milano al Teatro Arcimboldi, ha fatto registrare il sold out fin da subito. Un bel messaggio di fiducia e amore verso il duo anglo-australiano e anche un piccolo schiaffo a chi pensa che per piacere a tanta gente si debba per forza passare attraverso la televisione, magari in qualche insulso salotto condotto da scosciate signore, incastrati fra un triste caso umano e la pubblicità dell’ultimo modello di cellulare.

Adesso per favore, cari Brendan e Lisa, non fateci aspettare altri sedici anni.

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