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Scrittura

Emmanuel Carrère e l’Avversario celato in ognuno di noi

Per i credenti l’ora della morte è l’ora in cui si vede Dio, non più in modo oscuro, come dentro uno specchio, ma faccia a faccia. Perfino i non credenti credono in qualcosa di simile: che nel momento del trapasso si veda scorrere in un lampo la pellicola della propria vita, finalmente intelligibile. Per i vecchi Romand, questa visione, anziché rappresentare il pieno coronamento, aveva segnato il trionfo della menzogna e del male. Avrebbero dovuto vedere Dio e al suo posto avevano visto, sotto le sembianze dell’amato figlio, colui che la Bibbia chiama Satana: l’Avversario.

(Emmanuel Carrère)

L'AvversarioIl caso Romand è molto noto in Francia, non tanto per l’episodio in sé, una strage familiare come, purtroppo, se ne vedono tante nell’arco di un anno, quanto, piuttosto, per l’ambigua personalità dell’uomo che la perpetrò. Jean-Claude Romand era un ricercatore medico pluripremiato, aveva una moglie e due bambini piccoli, e viveva in una zona residenziale dove tutti si conoscevano e dove il tasso di violenza era ridotto a zero. Le uniche cose vere della sua vita, però, erano la famiglia e la casa, perché Romand non si era mai laureato in medicina, non esercitava alcuna professione e non percepiva nemmeno uno stipendio. Jean-Claude Romand non era niente, salvo un bugiardo seriale che sopravviveva convincendo gli amici ad investire i loro soldi in affari fasulli.

Per quasi vent’anni, almeno un centinaio di persone (tra amici e parenti) si erano lasciate ingannare dalla sua apparente umiltà, ritenendolo un uomo rispettabile, degno di fiducia e incapace di fare del male a una mosca, mentre le sue presunte giornate lavorative trascorrevano passeggiando nei boschi o leggendo il giornale nelle aree di sosta dell’autostrada.

Il 9 gennaio 1993, Romand, resosi conto che la realtà dei fatti stava per venire alla luce, uccise l’intera famiglia, dando fuoco alla casa ed eliminando anche il cane, temendo che il suo abbaiare potesse attirare l’attenzione di qualcuno. Da quel giorno, la vita di tutti coloro che erano entrati in contatto con lui fu stravolta dalla consapevolezza di aver condiviso per anni gioie e dolori con un emerito sconosciuto, che recitava una parte e che li aveva ingannati persino sulle malattie da cui era affetto (andava raccontando da tempo che gli era stato diagnosticato un cancro, ma il medico che doveva averlo in cura non lo conosceva neanche). Il suo migliore amico, Luc Ladmiral, si ritrovò a dover spiegare alla sua bambina il perché era meglio che Romand non le facesse più da padrino e le ragioni per cui non avrebbero più avuto alcun contatto con lui. La comunità di cui faceva parte, in compenso, iniziò ad interrogarsi su quanto poco, ognuno di loro, conoscesse davvero la personalità di un uomo per cui essi stessi, se necessario, si sarebbero sacrificati. A questa comunità apparteneva anche lo scrittore Emmanuel Carrère, il cui figlio di cinque anni frequentava lo stesso asilo del bambino assassinato.

Carrère, che all’epoca, per uno strano scherzo del destino, stava ultimando Io sono vivo, voi siete morti: un viaggio nella mente di Philip K. Dick, sentì l’esigenza di mettere sulla carta il malessere generato dalla vicenda e di entrare in contatto con quell’uomo, non per giustificarne il terribile gesto, ma per confrontarsi con lui e trovare una risposta, almeno per se stesso. Il risultato è il libro-inchiesta L’Avversario, edito per la prima volta nel 2000 e ora ripubblicato per i tipi di Adelphi, in cui l’autore traccia il ritratto di un uomo educato alla verità estrema ma impossibilitato a sfuggire al fascino della menzogna.

Emmanuel Carrère

In poco più di centosessanta pagine, Carrère analizza nei dettagli il suo rapporto epistolare con l’accusato, il lungo iter processuale (all’epoca, l’uomo fu sottoposto a tre perizie psichiatriche e a duecentocinquanta ore di interrogatorio), i contatti con i giornalisti che seguirono il caso e le dichiarazioni di Romand in merito alla sua infanzia e alla sua vita passata. Il quadro che ne emerge è a dir poco paradossale: in oltre un decennio di finta attività di ricercatore medico, nessuno gli telefonò mai all’OMS, dove sosteneva di lavorare, per chiedergli qualche informazione o per comunicargli eventuali emergenze (il che sarebbe bastato a svelare tutte le bugie); il giorno dell’esame di medicina, che egli non sostenne mai, nessuno dei suoi compagni di corso si accorse della sua assenza e, quando uscirono i risultati, che rimasero esposti per tre settimane di fila, nessuno, nemmeno i genitori, fece caso al fatto che il suo nome non compariva sulla lista; l’università di Lione-Nord, in compenso, gli permise di iscriversi al secondo anno di medicina per ben dodici anni di seguito prima che un’impiegata solerte, accortasi del problema, gli vietasse tassativamente di proseguire con questo suo atteggiamento, visto che non sosteneva esami.

La conseguenza di tutto ciò fu un uomo che viveva a metà strada tra realtà e finzione, senza dubbio psicopatico e megalomane, ma anche il risultato del comportamento di una società che considerava la sua introversione un pregio ma non lo trovava abbastanza interessante da indagare più a fondo. Il tentativo di andare oltre le apparenze, operato da Carrère, generò, a suo tempo, delle reazioni ben poco entusiastiche da parte dei giornalisti che non esitarono a dirgli cosa pensavano del suo lavoro:

Ho cenato con un gruppo di giornalisti, tra i quali una veterana di Libération, Catherine Erhel, che la testimonianza di Marie-France aveva mandato in bestia. Secondo lei, il suo buonismo, oltre che ridicolo, era irresponsabile e addirittura criminale. Romand era una carogna della peggior specie: molle e sentimentale come la sua poesia. Comunque, visto che la pena di morte non esisteva più, sarebbe rimasto per venti o trent’anni in galera, e quindi era necessario interrogarsi sull’evoluzione del suo quadro psichico. L’unica cosa positiva che potesse capitargli da quel punto di vista era di prendere sul serio coscienza dei suoi crimini e, anziché piagnucolare, precipitare sul serio nella grave depressione che aveva fatto in modo di evitare per tutta la vita. Solo a quel prezzo, forse, sarebbe riuscito un giorno ad accedere a qualcosa che non fosse una menzogna, o l’ennesima fuga dalla realtà. Viceversa, la cosa peggiore che potesse capitargli era che una baciapile come Marie-France gli servisse su un piatto d’argento un nuovo personaggio da interpretare, quello del grande peccatore che espia recitando il rosario. Per degli imbecilli del genere Catherine sarebbe stata favorevole a ristabilire la pena capitale, e mi ha detto senza mezzi termini che tra gli imbecilli includeva anche me. (pp. 152-153)

Daniel Auteuil nel film L'Avversario

Malgrado le conclusioni che se ne possono trarre, a seconda che si creda o meno alle dichiarazioni di Romand, il libro resta un’interessante testimonianza della società in cui viviamo, dell’ambiente processuale, dei rapporti tra esseri umani e di come le apparenze, a volte tragicamente, possano ingannare.

Titolo: L’Avversario

Autore: Emmanuel Carrère

Traduzione: E. Vicari Fabris

Data di pubblicazione: maggio 2013

Editore: Adelphi

Collana: Fabula

Pagine: 169

Prezzo: € 17,00

ISBN: 8845927865

ISBN 13: 9788845927867

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