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La tormenta, il non luogo senza tempo di Vladimir Sorokin

La tormenta, il non luogo senza tempo di Vladimir Sorokin

Vladimir SorokinVladimir Sorokin, nato a Mosca nel 1955, ha vissuto dentro a quattro epoche storiche: la stagnazione di Breznev, la perestroika di Gorbaciov, i tentativi capitalistici di Eltsin, la trasformazione in dittatura di Putin, e si può affermare a ragion veduta che la sua stessa vita gli ha fornito un’ottica disincantata verso ogni possibile sviluppo della storia reale e delle storie scritte. A ciò si aggiunga la sua frequentazione di cinema (è un affermato sceneggiatore), teatro (suo è un celebre testo, Dostoevskij trip) e grafica, tutte competenze che conferiscono ai suoi libri una forte dimensione cinematografica, rendendoli fortemente visivi, compreso proprio La tormenta.

Conosciuto e amato in patria, in Europa e negli States, Vladimir Sorokin scrive nel 2011 quello che viene considerato il suo capolavoro, che oggi ci appare incredibilmente profetico.

Mentre infuria una terribile tormenta, il dottor Garin deve raggiungere il villaggio di Dolgoe per portare un vaccino che salverà la popolazione, stremata da una misteriosa epidemia, giunta chissà come dal Sud America. Cerca il modo di proseguire dopo aver perso i suoi cavalli, e trova aiuto nell’umile Raspino, che in cambio di un po’ di denaro si mette a disposizione con la sua slitta trainata da cinquanta cavallini, talmente minuscoli da stare tutti dentro al cofano della stessa slitta, piccoli sì, ma dotati di grande forza. A questo punto la storia diventa un susseguirsi di ostacoli, difficoltà, incertezze, tentativi di fendere neve, vento e oscurità verso una meta che anziché avvicinarsi sembra diventare sempre più lontana. Il dottor Garin non sente ragioni e vuole proseguire, la sua è una missione troppo alta persino di fronte a una tormenta di epiche dimensioni, in una novella Odissea i cui personaggi, come in Omero, rappresentano molto di più della loro immagine letteraria: la gigantesca moglie di un minuscolo mugnaio, un oggetto a forma di piramide che si rivela essere una potentissima droga, i lupi famelici, un enorme gigante morto ubriaco e seppellito dalla neve, i pattini della slitta che si rompono e i minuscoli cavallini che si dibattono tra buche e fossati, un pupazzo di neve gigante con un incredibile fallo eretto, l’arrivo della morte, il viaggio all’interno di se stessi, e un gruppo di misteriosi cinesi.

Al lettore, a cui si lascia il giusto spazio per scoprire la fine della storia, risulta ben presto evidente che la vicenda è un pretesto per mettere in discussione la Russia nella sua totalità, attingendo a piene mani al suo valore letterario, passando per la sua storia, e rivedendo la sua attualità.

La tormenta

Sorokin costruisce in ogni pagina particolari e vicende che richiamano alla memoria i grandi, da Puskin e Tolstoj (autori di novelle con lo stesso titolo del nostro libro), per passare a Leskov, Bulgakov, Dostoevskij, Gogol’, con una prosa e un ritmo del tutto personali. La sua raffinatezza stilistica si serve della classicità per farne un uso tutto suo, e lo stesso accade con la grande storia: c’è il gigante sovietico che incombe, e il tempo prima di lui, talmente importante e assoluto da farci pensare alla Russia come terra dal passato (!) imprevedibile, che ancora pesa sul presente. Il quale, a sua volta, è pieno di paradossi: il molto grande e il molto piccolo, il clima incontrollabile, i cavalli che sostituiscono i motori, il mondo interconnesso eppure isolato, la tossicodipendenza come eterna fuga dentro e fuori da sé, tanto da farci sentire più in una favola che in un contesto reale. Sono tutti stereotipi rivisitati: lo stile classico, la fiaba, l’eterno rapporto di odio/amore fra le classi dotte (Garin) e il popolo minuto (Raspino), gli imperativi categorici tipici dei più nobili ideali (spesso il dottor Garin ripete concetti derivati dalla retorica sovietica), tutto è rivoltato come un calzino.

Non per nulla, per Sorokin e per la sua Tormenta è stato coniato il termine “retrofuturistico”, utilizzato anche per tentare una definizione del tempo: non c’è linearità, le vicende si susseguono fra oscillazioni di passato, presente e possibile futuro, e molto abilmente lo scrittore ci porta per sentieri spariti sotto la neve, in un freddo assoluto, in un avanti che si rivela indietro, tra boschi tutti uguali, finché ci si rende conto che i personaggi si muovono sì, ma per non andare da nessuna parte, il tempo/spazio è fermo, o al massimo spiraliforme, ci si affanna, ma non si progredisce. Non serve la tecnologia, non basta l’amore, la chimica non aiuta, la volontà non sostiene: è la Russia di oggi, ancora e sempre tipicamente “russa”, e proprio per questo incapace di uscire da se stessa, condannata dalla sua storia a ripercorrere stereotipi, affollata dai “piccoli uomini” (come Raspino) celebrati da Puskin in poi, afflitta da ferite che sanguinano ancora.

Ma attenzione: ogni possibile considerazione si regge su una profondissima poeticità della narrazione sorokiniana: l’autore ci prende per mano con una forte impronta poetica, incanta e trascina, rende accettabili violenze e miserie, fa stare male, ma è lo stesso male che contamina gli innamorati. Perché Sorokin, come tutti gli scrittori russi, è profondamente innamorato della sua Russia, la viviseziona, la sconvolge, l’accusa, mentre continua ad abbracciarla.

Il finale, geniale e aperto, ci lascia sospesi come davanti a un vuoto, ci nega la completezza dell’epilogo. Restano vive l’angoscia delle strade ostili, la frustrazione di sforzi inappagati, e risuona, alle ultime righe, quell’esergo che ci aveva messo in guardia, con i versi di Aleksandr Blok: Sul bianco giaciglio/il morto si addormenta,/al vetro turbina/placida la tormenta… E si resta sospesi, fra la classicità annunciata dal grande poeta dei Dodici e la scrittura di Sorokin, riemersa dal realismo socialista e capace di riprendere, a suo modo, l’immensa prosa russa. Attendiamo a piè fermo il seguito della Tormenta, ovvero Doktror Garin, già editato in Russia e in Europa, ma non ancora tradotto in Italia.

Vladimir Sorokin

Il gruppo di lettura dice che…

Continua con il libro di Sorokin il percorso sulla letteratura russa contemporanea del PEN Lettori di Trieste. Stavolta la discussione è stata coordinata dalla prof. Margherita De Michiel, docente di lingua e letteratura russa all’ateneo di Trieste, e traduttrice dal russo. All’incontro hanno partecipato anche diversi studenti dal corso di laurea magistrale in traduzione dal russo.

Una studentessa ha riassunto i contenuti del testo teatrale Dostoevskij trip. Si è poi avviato un fitto dialogo fra gli approfondimenti della docente e il gruppo di lettura, a partire dalla riflessione condivisa sul difficile coinvolgimento emotivo durante la lettura della storia, così ricca e complessa da tralasciare, spesso, l’emergere di emozioni per sollecitare, invece, una ricerca di rimandi letterari e di episodi storici. A tutte è parso importante il ritmo narrativo, in un andamento tipico sia della letteratura classica, sia delle fiabe, a riprova delle radici stilistiche dell’autore, sapientemente da lui rivisitate.

Molte sono state le citazioni a sottolineare l’unicum di un andamento temporale-non-temporale, e interessante è stata la ricerca dei significati metaforici da attribuire ai cavallini, alle figure di neve comparse nella seconda parte del testo, alla piramide-droga, carica di suggestioni contemporanee e significati legati a una forma geometrica particolare in più civiltà e filosofie.

C’è chi ha fatto notare quanto la poetica del testo renda accettabile e plausibile anche un certo uso del turpiloquio, qui di certo edulcorato rispetto ad altri testi dell’autore.

È risultato evidente il profondo scarto fra i due protagonisti: Garin, colto, determinato e comunque animato da un importante impegno nel portare cure a chi soffre, e Raspino, totalmente indifferente a qualsiasi emozione tranne la cura e l’affetto per i suoi cavallini. Questo fino al precipitare degli eventi verso la fine, quando il freddo e il pericolo riavvicinano i due, anche fisicamente, accoccolati in un’unica forma con i cavallini all’interno della slitta. È l’eterna distanza fra una Russia povera e sofferente e una Russia colta e più consapevole, ma incapace di ascoltare e comprendere la realtà faticosa di chi ha meno.

A tutte è risultato chiaro quanto il girovagare nella tormenta, il rincorrere una meta irraggiungibile, il resistere a tutti i costi, il cedere a momentanee debolezze siano rappresentativi della condizione umana, oltre che metafore della Russia di ieri e di oggi.

Né è mancata una riflessione critica sulla traduzione, che secondo la prof. De Michiel lascia dubbi in più punti. Vero è che molti termini sono intraducibili in italiano, se non utilizzando articolati modi espressivi, ma la famosissima parola “propulsoslitta” è talmente particolare e astrusa da farne una vera e propria protagonista, un personaggio che spadroneggia nella storia, quando invece nella versione originale russa quell’oggetto è da intendersi con il semplice termine “slitta”, poiché Sorokin non intendeva darle il rilievo che invece ha assunto grazie alla traduzione in italiano.

Il finale aperto e spiazzante è stato letto da molte come ulteriore dimostrazione di un passato che si fonde col futuro, e di un presente che non lascia spazio a speranze immediate di cambiamenti positivi.

Titolo: La tormenta
Autore:
Vladimir Sorokin
Traduttrice:
Denise Silvestri
Editore:
Bompiani
Pagine:
200
ISBN: 9788845281990
Prezzo: 17,00€

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