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Palcoscenico

Il Tacchino di Georges Feydeau (I)

Un'analisi linguistica

Locandina de Il TacchinoLa commedia brillante Il Tacchino, rappresentata per la prima volta al Palais-Royal nel 1896, è una delle opere più complesse di Feydeau sia per quanto riguarda la struttura – sulla scena si alternano diciassette personaggi tra principali e secondari e ogni loro azione ha una specifica ragione d’essere che provoca conseguenze sul comportamento altrui – sia per quanto riguarda l’utilizzo da parte dell’autore di tutti e sei gli aspetti della comicità teatrale: la comicità dei gesti e dei movimenti, la comicità delle forme, la comicità di situazione, la comicità di linguaggio, la comicità delle idee e la comicità di carattere.

Distinzione tra i vari tipi di comicità

La comicità dei gesti e dei movimenti è una condizione essenziale per Georges Feydeau; rientrano in questa categoria le fughe, gli inseguimenti, le cadute, i gesti maldestri, la confusione creata da più personaggi che parlano contemporaneamente, le pantomime, la mimica e soprattutto le innumerevoli entrate e uscite di scena. Si tratta dunque di una comicità visiva che non richiede un particolare sforzo da parte dello spettatore per essere recepita.

La comicità delle forme riguarda invece i travestimenti, gli oggetti che assumono una funzione diversa da quella originaria (come ad esempio i campanelli elettrici infilati sotto il materasso) e i difetti fisici (la sordità di Mme Pinchard, la spossatezza sessuale di Rédillon ecc.).

La comicità di situazione permette all’autore di dare libero sfogo al suo virtuosismo; appartengono a questo ambito gli incontri inaspettati, le reazioni impreviste, i malintesi, gli inganni e i capovolgimenti (come gli avvenimenti che si ritorcono contro lo stesso personaggio che li ha determinati).

La comicità di linguaggio, punto di forza di Feydeau, viene messa in risalto in particolar modo dai nomi che l’autore attribuisce ai suoi personaggi e che di per se stessi servono a descriverli. Oltre a ciò ci sono i doppi sensi, le ripetizioni, le iperboli, il lirismo ridicolo  e le espressioni utilizzate in senso figurato che l’interlocutore interpreta in senso letterale.

La comicità delle idee necessita da parte dello spettatore il possesso di una certa cultura che ne permetta la comprensione. Tale comicità si nutre infatti di anacronismi, pastiche, parodie, allusioni storiche e letterarie, ironia e inversione dei valori.

La comicità di carattere infine è strettamente collegata alla psicologia dei personaggi e ne svela la vera mentalità; si hanno dunque i comportamenti assurdi, i contrasti tra l’essere e l’apparire e la logica paradossale[1].

Foto di scena da Il Tacchino

Trama del Tacchino

Il Tacchino è una commedia appartenente al filone della borghese velleitaria; la storia di per sé è molto semplice ma la quantità di peripezie che l’autore inserisce per complicare la vita ai personaggi genera un intrigo talmente complesso che riassumere in poche righe tutti gli avvenimenti diventa impossibile. I personaggi principali sono quattro: Pontagnac, Lucienne, Vatelin e Rédillon. Pontagnac è il personaggio che dà il titolo alla commedia, ovvero l’individuo superbo e sicuro di sé che finisce per restare vittima della sua macchinazione; è un uomo cinico, che vive di rendita e che pensa che la fedeltà coniugale e l’amicizia contino meno del piacere procuratogli dal tentativo di sedurre la moglie del suo migliore amico. Il personaggio, tuttavia, risulta ridicolo poiché il suo atteggiamento è solo di facciata e basta il minimo imprevisto a fargli perdere il sangue freddo e a metterlo nei guai. Lucienne è la moglie dell’amico di Pontagnac ed è la classica borghese fedele ai principi che le sono stati inculcati: quello che conta è la rispettabilità e, se il marito la tradisce,  ritiene di avere il diritto di vendicarsi. È bella, capricciosa, superficiale e coinvolge gli uomini che se ne invaghiscono nel suo tentativo di vendetta, salvo poi fare marcia indietro prima che l’adulterio venga consumato. Vatelin è il marito di Lucienne: arricchito, legato alle apparenze e terrorizzato dagli scandali; colleziona opere d’arte per una semplice necessità di status sociale ed è di una ingenuità e di una mediocrità incalcolabili, tuttavia è un uomo buono che in un momento di debolezza ha tradito la moglie senza pensare alle conseguenze. Rédillon è un viveur amico dei Vatelin che spera di approfittare del desiderio di vendetta di Lucienne per poterla fare sua; intellettualmente vacuo, non possiede neanche in minima parte la moralità dimostrata dal suo domestico che cerca in tutti i modi di proteggerlo rischiando di mettersi nei guai a sua volta.

Manifesto de Il TacchinoAccanto ai personaggi principali si muovono quelli di Narcisse Soldignac e Maggy Soldignac, Mme e M. Pinchard e Armandine. Maggy Soldignac è l’amante londinese di Vatelin; astuta, calcolatrice e passionale, cerca in tutti i modi di ricattarlo per convincerlo a essere nuovamente il suo amante. Rappresenta la tipica inglese caricaturale che storpia la lingua e beve quantità industriali di tè. Narcisse Soldignac, suo marito, è l’affarista che va sempre di fretta e che pur considerando la moglie un fastidio, perché lo “distrae dagli affari”, non sopporta l’idea di essere stato tradito. Parla un misto di inglese, francese e provenzale e si integra perfettamente con la figura caricaturale di Maggy. Mme e M. Pinchard sono i due anziani coniugi la cui presenza nella camera d’albergo del secondo atto darà origine a non pochi malintesi; Mme Pinchard è sorda e il suo fraintendere in continuazione quello che le viene detto è alla base della sua comicità, il marito, in cambio, è un anziano ufficiale medico di cavalleria che malgrado l’età non disdegna di fare il cascamorto con la bella cameriera dell’albergo e che si ritiene in dovere di occuparsi della moglie solo perché questo è ciò che esige la società. Armandine, infine, rappresenta la cocotte libera, spontanea e senza preoccupazioni, che non ha obblighi sociali da rispettare e che accetta volentieri di essere per gli uomini uno strumento di piacere. Manca di cultura e di intelligenza ma è proprio questo che gli uomini trovano affascinante in lei.

La struttura della pièce segue quella di tutte le altre commedie in tre atti di Feydeau: nel primo atto l’autore introduce i personaggi principali e spiega il rapporto che intercorre tra di loro e gli obiettivi che vogliono raggiungere; nel secondo, grazie a una serie di malintesi e di imprevisti, li fa incontrare assieme ai personaggi secondari nel luogo in cui la comicità prenderà il sopravvento, in questo caso la camera d’albergo; nel terzo atto tutti i malintesi vengono chiariti e la situazione si risolve felicemente.

Dal punto di vista linguistico Feydeau dimostra di conoscere tutte le tecniche atte a far scaturire la comicità, la pièce infatti contiene numerosi giochi di parole, metafore e doppi sensi.

Foto di scena de Il Tacchino

I giochi di parole presenti nell’opera

Per quanto riguarda i giochi di parole, possiamo suddividerli in tre gruppi. Al primo gruppo appartengono le ripetizioni che determinano fenomeni di cacofonia e che in italiano possono essere tradotte letteralmente:

Lucienne C’est qu’aussi il faut, messieurs, que vous ayez une bien piteuse opinion de nous, à voir la façon dont certains de vous nous traitent! Encore ceux qui nous courtisent, dans courtiser il y a courtisan! Cela témoigne au moins d’une certaine déférence! Mais ceux qui espèrent nous prendre d’assaut en nous suivant dans la rue, par exemple! (Acte I, scène II)

Lucienne Certo che la vostra opinione nei nostri confronti dev’essere ben scarsa, a giudicare da come certi uomini ci trattano! Passi ancora per quelli che ci corteggiano, nel corteggiamento c’è pur sempre il cortigiano! Se non altro è un segno di deferenza! Ma quelli che sperano di prenderci d’assalto seguendoci per strada, ah! questo poi no! (Atto I, scena II)

Il gioco è tra il verbo courtiser e il sostantivo corrispondente courtisan. In questo modo l’autore evidenzia come la mentalità della donna borghese dell’epoca sia estremamente legata alle apparenze: poiché sia courtiser che courtisan hanno come radice la parola cour, è ovvio che un uomo che fa la corte ad una donna deve essere un uomo di corte e quindi nobile.

Vatelin […] Un monsieur suit ma femme, je me dis : «  Il peut savoir qui elle est »; il me rencontre, il pense : « Tiens, voilà le mari de la dame que j’ai suivie », j’ai l’air d’un serin, mais vous, n’est-ce pas, vous savez que je sais; je sais que vous savez que je sais; nous savons que nous savons que nous savons! alors, ça m’est bien égal, j’ai pas l’air d’un imbécile! (Acte I, scène II)

Vatelin Un signore segue mia moglie e io mi chiedo: «Forse sa chi lei sia»; mi incontra e pensa: «Toh, ecco il marito della signora che ho seguito», e io ci faccio la figura dell’allocco; ma voi, no, voi sapete chi sono io; io so che voi sapete chi sono io; noi sappiamo che noi sappiamo che noi sappiamo! allora, la cosa mi è indifferente e io non ci faccio la figura dell’imbecille! (Atto I, scena II)

In questo caso, la ripetizione quasi ossessiva del verbo savoir ha lo scopo di far capire allo spettatore la logica paradossale sulla quale si basa il ragionamento del personaggio e quindi la sua vacuità intellettuale: Vatelin è incapace di ammettere che il suo amico Pontagnac sta cercando di portargli via la moglie e tenta di dimostrare di possedere un certo acume girando il discorso a suo favore.

Lucienne (se levant)  Excusez-moi, madame, de vous parler ainsi brutalement. Mais vous en avez appelé à ma franchise, je vous ai éclairée franchement! (Acte I, scène X)

Lucienne (alzandosi) Scusatemi, signora, se vi parlo in modo così brutale. Ma voi avete fatto appello alla mia franchezza, e io vi ho francamente chiarito la situazione! (Atto I, scena X)

Il passaggio dal sostantivo franchise all’avverbio franchement trasmette un’idea di falsità determinata proprio dal fatto che il personaggio senta l’esigenza di ribadire la sua schiettezza. Lucienne ritiene che sia suo dovere di donna borghese mettere in guardia la moglie di Pontagnac sul comportamento poco lusinghiero del marito, ma in realtà si tratta di un atteggiamento ipocrita motivato dalla necessità di trovare un’alleata per un’eventuale vendetta.

Il Tacchino foto del 1975

Omofonia totale, parziale e assonanze

Il secondo gruppo è costituito dai fraintendimenti dovuti all’omofonia totale o parziale tra due parole, alla loro assonanza o all’inversione del significato. In questo caso, in italiano, la traduzione letterale non è possibile poiché si rischia di perdere l’effetto originario:

Pontagnac Elle ne sort jamais, ou, quand ça lui arrive, c’est dans une petite voiture. Il y a un homme qui la traîne…
Vatelin Un âne qui la traîne…
Pontagnac Non, un homme.
Vatelin C’est encore pis! Ah! mais je ne savais pas! (Acte I, scène II)

Pontagnac Mia moglie non esce mai oppure, quando succede, lo fa in una carrozzella spinta da un valletto…
Vatelin Spinta da un galletto…
Pontagnac No, da un valletto.
Vatelin È anche peggio! Ah! Non ne avevo idea! (Atto I, scena II)

L’omofonia parziale esistente in francese tra âne (asino) e homme (uomo), motivata dalla presenza in entrambe le parole di due consonanti occlusive nasali, è alla base del fraintendimento di Vatelin che confonde l’animale con l’essere umano.

Pontagnac (pose sa canne et son chapeau et se lève) Oh! madame, ne me parlez plus de cela. Si vous saviez combien je suis marri.
Lucienne Avec deux r! prononcez bien.
Pontagnac Avec deux r, oui! Oh! je sais bien qu’avec un r…
Lucienne Vous l’êtes bien peu. (Acte I, scène IV)

Pontagnac (posa bastone e cappello e si alza) Oh! signora, non parlatemene più. Se solo sapeste quanto sono spossato.
Lucienne Con due esse! Pronunciatelo bene.
Pontagnac Con due esse, certo! Oh! So benissimo che con una esse sola…
Lucienne Lo siete ben poco. (Atto I, scena IV)

L’omofonia totale tra marri (amareggiato) e mari (marito) diventa qui oggetto di ironia. Poiché l’infedeltà di Pontagnac è risaputa, il fatto che l’espressione combien je suis marri possa essere scambiata per combien je suis mari determina la reazione provocatoria di Lucienne.

Clara (à Mme Pinchard) Voulez-vous faire taire Monsieur votre mari!
Mme Pinchard À Paris? Oui, jusqu’à demain! (Acte II, scène VI)

Clara (a Mme Pinchard) Ma insomma, volete dire a vostro marito di tacere!
Mme Pinchard L’artificiere? No, mio marito era ufficiale medico! (Atto II, scena VI)

L’assonanza tra il francese mari (marito) e Paris (Parigi) induce Mme Pinchard, che soffre di sordità, a equivocare la natura della domanda della cameriera e a rispondere in modo completamente incoerente determinando una mancanza di cooperazione nel dialogo.

Soldignac Mais no!… Je disais « ma femme »…
Vatelin Ah! oui, votre femme!…qui est là!
Soldignac Comment?
Vatelin Qui est là-bas… rue Roquépine!…
Soldignac Yes!… il la fait filer!
Vatelin (de plus en plus troublé) Elle est partie!… Elle a filé!… (Acte II, scène XII)

Soldignac Ma no!… Dicevo «mia moglie»…
Vatelin Ah! certo, vostra moglie!…che è là!
Soldignac Cosa?
Vatelin Che è là in fondo… in rue Roquépine!…
Soldignac Yes!… la stanno pedinando!
Vatelin (sempre più turbato) Sta penando!… È in ansia!… (Atto II, scena XII)

In questo caso specifico si assiste ad un fenomeno di disturbo, il panico di Vatelin in presenza del marito dell’amante, che finisce per mandare in confusione il personaggio e lo porta a commettere un’inversione del significato: mentre Soldignac parla di faire filer (far pedinare), Vatelin capisce avoir filé (essersene andata) e di conseguenza lo associa al fatto che Soldignac si riferisca a un’eventuale partenza della moglie.

Il Tacchino foto di scena del 1975

Fraintendimenti

Il terzo gruppo è formato dai fraintendimenti causati dalla storpiatura della lingua ed è in particolar modo associato al personaggio di Maggy:

Maggy Aoh! à London, vous diséi vous étiez bœuf.
Vatelin Comment bœuf? veuf!
Maggy Aoh! bœuf, veuf, c’est la même chose!
Vatelin Mais non, ce n’est pas la même chose! Merci! le veuf, il peut recommencer, tandis que le bœuf…(Acte I, scène XIII)

Maggy Aoh! A Londra tu m’aveva detto di essere castrato.
Vatelin Come «castrato»? illibato!
Maggy Aoh! castrato, illibato, è lo stesso!
Vatelin Ma no, non è affatto lo stesso! L’illibato può ancora darsi da fare, mentre il castrato…(Atto I, scena XIII)

La confusione tra le due consonanti sonore [b] e [v] è all’origine del quiproquo tra bœuf (manzo, in questo caso inteso come castrato) e veuf (vedovo), da qui la reazione offesa di Vatelin che naturalmente spiega che veuf e bœuf non sono la stessa cosa poiché uno può ricominciare e l’altro no.

Maggy (se faisant douce aussitôt et lui passant les bras autour du cou) No! no! Je ne attrape pas! C’est pour le rire! Tu me l’aime, je te l’aime!
Vatelin Nous nous l’aimons! (Acte II, scène XI)

Maggy (facendosi subito dolce, e passandogli le braccia attorno al collo) No! no! Io no prendo a te! È per ridere! Tu mi l’ami, io ti l’amo!
Vatelin Noi ci l’amiamo! (Atto II, scena XI)

Qui il gioco è sia sulla storpiatura della lingua sia sulla ripetizione. Maggy inserisce il pronome personale le dove non andrebbe utilizzato, trasformando la frase tu m’aime, je t’aime (tu mi ami, io ti amo) in tu me l’aime, je te l’aime. Vatelin, stanco di correggerla, finisce per continuare la coniugazione errata del verbo aimer con nous nous l’aimons.

Foto di scena di una rappresentazione francese

Metafore

Le metafore sono un altro punto di forza di Feydeau. La maggior parte di esse è riferita all’amore, al rapporto di coppia, al ruolo del marito e dell’amante, ma denotano un’originalità che ci permette di inserirle a giusto titolo tra i tratti caratteristici del suo teatro:

Pontagnac Mais permettez, le capital, je n’y touche pas! le voilà! il est intact! Vous me permettez bien de toucher un peu aux rentes. Notez que, par contrat, j’ai la gestion des biens! Eh bien! pourvu que j’aie la plus grande partie en fonds d’État, vous ne pouvez pas trouver mauvais que je fasse quelques placements en valeurs étrangères. (Acte I, scène II)

Pontagnac Permettete, ma il capitale, io lo lascio inalterato! eccolo! è intatto! Ma mi consentirete almeno di attingere un po’ alle rendite. Vi faccio notare che, per contratto, la gestione dei beni spetta a me! Ebbene! se la maggior parte del capitale è in titoli di stato, non potete biasimare che faccia qualche investimento all’estero. (Atto I, scena II)

Apparentemente Pontagnac sta parlando di investimenti in fondi esteri, ma in realtà cerca di giustificare la sua infedeltà. Avendo la possibilità di mantenere senza problemi la moglie, non vede perché non dovrebbe concedersi qualche avventura extraconiugale, considerato che questo non danneggia il tenore di vita della sua consorte.

Pontagnac Qu’est-ce que ça prouve, le mari! Tout le monde peut être mari! Il suffit d’être agréé par la famille… et d’avoir été admis au conseil de révision! On ne demande que des aptitudes comme pour être employé de ministère, chef de contentieux. (Se rasseyant sur le pouf) Tandis que pour l’amant, il faut l’au-delà. Il faut la flamme! C’est l’artiste de l’amour. Le mari n’en est que le rond-de-cuir. (Acte I, scène IV)

Pontagnac Ma essere marito, in fondo, cosa dimostra! Chiunque può essere marito! Basta farsi accettare dalla famiglia… ed entrare nella commissione di leva! Si richiedono le stesse abilità dell’impiegato ministeriale, a capo dell’ufficio contenziosi. (Risedendosi sul pouf) Per fare l’amante, invece, ci vuole qualcosa di più. Ci vuole la fiamma della passione! L’amante è l’artista dell’amore. Il marito è solo lo scribacchino. (Atto I, scena IV)

Palais RoyalIn questo contesto la metafora viene utilizzata per fare un paragone tra marito e amante. Mentre il primo viene considerato alla stregua di un semplice impiegato, il peggiorativo rond-de-cuir significa appunto questo e la sua diffusione all’epoca di Feydeau era dovuta al romanzo Messieurs Les Ronds-de-cuir di Courteline, l’amante viene identificato come un uomo passionale, un vero artista dell’amore. L’evidente contrasto tra le due rappresentazioni ha lo scopo di convincere Lucienne a prendere Pontagnac come amante.

Rédillon (avec un soupir) Ah! oui, que votre mari vous trompât! Oh! alors! (À part) Mais qu’est-ce qu’il attend donc cet homme-là! Il n’a donc pas de tempérament, quelle moule! (Haut) Mais vous ne sentez donc pas la cruauté du supplice que vous m’imposez? Celui d’un homme à qui l’on servirait tout le temps l’apéritif et qui ne dînerait jamais! (Acte I, scène VII)

Rédillon (sospirando) Ah! certo, che vostro marito vi tradisse! Oh! allora! (A parte) Ma cosa aspetta insomma quel benedetto uomo! Non ha un briciolo di carattere, che razza di pappa molle! (Ad alta voce) Ma non vi accorgete, dunque, del supplizio crudele che mi infliggete? Quello di un uomo a cui offrono sempre l’aperitivo, ma che non cena mai! (Atto I, scena VII)

Ci troviamo nuovamente di fronte a una metafora sul ruolo dell’amante, ma in questo caso viene sottolineato il fatto che si tratta di un amante respinto. Rédillon aspetta che Lucienne scopra un eventuale tradimento del marito per poterne diventare l’amante, ma nel frattempo si sente relegato in secondo piano come un uomo a cui viene offerto continuamente l’aperitivo ma mai la cena.

Rédillon Mais absolument! Est-ce que ça empêche, ça? C’est pas ma faute si, à côté de l’amour, il y a… il y a… l’animal!
Lucienne Ah, oui! tiens, c’est vrai! ça m’étonnait aussi que l’on n’en parlât pas, de celui-là! Eh bien! vous ne pouvez donc pas prendre sur vous de le tuer…l’animal?
Rédillon J’ai jamais pu faire de mal aux bêtes. (Acte I, scène VII)

Rédillon Assolutamente! Ma questa è forse una buona ragione? Non è colpa mia se, accanto all’amore, c’è… c’è l’animale!
Lucienne Ah, certo! è vero! Mi pareva strano di non parlare… di quello là! Ebbene! Non potreste cercare di ucciderlo…l’animale?
Rédillon Non mi è mai piaciuto fare del male alle bestie. (Atto I, scena VII)

Qui si passa dal ruolo dell’amante all’uomo inteso come animale e quindi incapace di trattenere i propri istinti. Rédillon cerca di giustificare il fatto che in attesa di Lucienne si conceda altre “distrazioni”, dunque ricorre alla storia del lato “animalesco” dell’uomo ammettendo però di non poterlo uccidere, dato che lui ama gli animali.

Dindon

Doppi sensi

I doppi sensi di cui si avvale Feydeau sono costruiti soprattutto sui cognomi dei personaggi o sull’omonimia tra due parole:

Pontagnac Non, il a dit ça? (À Rédillon) Ah! Monsieur! (À part) Oh! et moi qui… (Haut) Ma chère amie…Monsieur Durillon.
Rédillon Red!… Red!…
Pontagnac Oh! pardon!… Rédillon!… Oh! Red, Dur… c’est la même chose, M. Rédillon, Mme Pontagnac. (Acte I, scène XI)

Pontagnac No, lui ha detto questo? (A Rédillon) Ah! Signore! (A parte) Oh! E io che… (Ad alta voce) Mia cara…Ti presento il signor Durillon.
Rédillon Red!… Red!…
Pontagnac Oh! scusate!… Rédillon!… Oh! Red, Dur… è la stessa cosa, il signor Rédillon, la signora Pontagnac. (Atto I, scena XI)

Il gioco è tra Rédillon e Durillon: Rédillon richiama foneticamente “raidillon”, che indica una strada in salita, ma anche “raide” (rigido) da cui il gioco di parole con Durillon, che richiama “dur” (duro), ma che significa anche “callosità”. Pontagnac sta cercando quindi di ironizzare sul cognome del suo rivale in amore per sminuirlo agli occhi di Lucienne. Il cognome Rédillon non è il solo a presentare questa caratteristica, anche i cognomi di altri personaggi sono costituiti da giochi di parole che ne indicano il carattere, il mestiere o le caratteristiche fisiche: Pinchard, ad esempio, indica un cavallo dal mantello ubero e il mestiere del personaggio è appunto ufficiale medico di cavalleria. Soldignac, invece, contiene la radice “sold”, che ricorda “solde” (saldo di un conto corrente bancario), e il personaggio è un affarista che pensa solo a incrementare i propri guadagni.

Rédillon (lui prenant les mains) Et vous avez donné dans le panneau… Ah! vous n’êtes guère tacticien!
Vatelin Je suis avoué!
Rédillon Voilà!
Vatelin Ah! que je suis content!… (Sanglotant.) que je suis con… on… tent! Ah! là! là!… Ah! là! là! (Acte III, scène X)

Rédillon (prendendogli le mani) E voi ci siete cascato in pieno… Ah! come stratega valete ben poco!
Vatelin Faccio l’avvocato!
Rédillon Appunto!
Vatelin Ah! come sono festante!… (Singhiozzando) come sono fess… tante! Ah! là! là!… Ah! là! là! (Atto III, scena X)

Frammentando l’aggettivo francese content, con la scusa del singhiozzo del personaggio, Feydeau sfrutta il significato del monosillabo con (stupido, fesso) per smascherare la stupidità di Vatelin che non si rende conto degli inganni di Pontagnac e Lucienne.

Vatelin Oh! vous auriez pu venir, allez! ah! là! là! sacrée Anglaise!… avec des pieds, non, j’aurais dû vous apporter une de ses bottines… Moi qui jamais, en dehors de cette… aventure d’outre-Manche – je sais bien que c’est idiot d’avouer ça – n’avais jamais trompé ma femme, il a fallu qu’une fois à Londres, un mois d’absence, pas de femme, – on n’est pas de bois – … Je croyais au moins que c’en était fini. Ah! bien oui, elle est venue me relancer hier, jusque chez moi. On parle des maîtres chanteurs, on ne sait pas ce que c’est qu’une maîtresse chanteuse. Elle m’a menacé d’un esclandre, j’ai eu peur de troubler le bonheur de ma femme et j’ai cédé. (Acte III, scène X)

Vatelin Oh! Potevate pure venire, andiamo! ah! là! là! Diavolo di un’inglese!… con certi piedi, poi. No! Meritava proprio che vi portassi uno dei suoi stivali… Io che non ho mai, a parte questa… avventura d’Oltremanica – oh, so bene che è da stupidi confessarlo – io che non ho mai tradito mia moglie, doveva proprio capitarmi una volta a Londra, un mese di assenza, niente moglie nei paraggi, – insomma, l’uomo non è mica fatto di legno – … Se non altro credevo che la cosa fosse finita lì. Ah! certo, come no, e ieri invece è venuta a snidarmi, fin dentro casa mia. Si parla tanto degli amanti del bel canto, non si sa che cosa sia un’amante del ricatto. Ha minacciato di far scoppiare uno scandalo, ho avuto paura di turbare la felicità della mia sposa, e così ho ceduto. (Atto III, scena X)

La locuzione sostantivale maîtres chanteurs, che nell’ambito musicale significa maestri cantori ma che in senso figurato designa i ricattatori, viene accostata a maîtresse chanteuse, che nel caso specifico potrebbe essere tradotta semplicemente come ricattatrice ma anche come amante ricattatrice dato il doppio significato di maîtresse.

Note

[1] Cfr. Jacques Lorcey, Du mariage au divorce, Georges Feydeau, son oeuvre, Atlantica-Séguier, Parigi 2004, pp. 8-10.

Commenti

5 commenti a “Il Tacchino di Georges Feydeau (I)”

  1. commedia molto intrigante divertentissima.Devo studiarla a fondo grazie x averla potuta leggere.

    Di maria | 16 Maggio 2013, 09:48

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