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Fumetto

Manga, letteratura a fumetti

Immagine articolo Fucine MuteTre fattori, che riguardano la storia, la società e la cultura del Giappone, mi sembrano essenziali per parlare dei manga e di una storia del fumetto nipponico. Il magnifico isolamento in cui il paese del Sol Levante è rimasto chiuso fino al XIX secolo. I caratteri grafici e pittorici che formano gli ideogrammi. La bomba atomica, l’arma di distruzioni di massa più potente al mondo che ha cambiato in modo drammatico la storia dell’uomo.

Fino all’Ottocento, a parte qualche sporadico tentativo di contatto a fini diplomatici, economici o di proselitismo cristiano, la presenza di occidentali in Giappone è molto scarsa. Il Paese si mantiene nel suo equilibrio rivolto alle vicende interne che vedono il susseguirsi delle diverse dinastie imperiali e degli shogun, tutt’al più guarda al versante asiatico e ai suoi vicini cinesi, coreani, russi. Quando l’Europa e soprattutto gli Stati Uniti riescono a intessere un rapporto di relazioni con l’impero nipponico lo scambio culturale tra i due mondi è un momento importante di crescita civile. Il Giappone è affascinato e colpito dallo stile di vita e dai costumi occidentali: questa scoperta inciderà profondamente su vari settori della società nipponica, sulle arti figurative, sul giornalismo, e anche sui fumetti e sull’animazione.

L’alfabeto giapponese non è fatto di lettere che formano parole ma di ideogrammi che esprimono concetti. Un sistema molto più complesso di quello a cui siamo abituati in Occidente, uno spazio dei segni dove la scrittura ideografica sembra derivare dalla pittura e invece la fonda. Gli ideogrammi formano un’autentica arte grafica che, come dice Roland Barthes, “Non è più lavoro estetico della lettera solitaria ma abolizione del segno, gettato obliquamente, con grande rapidità, in tutte le direzioni del foglio”. Da questa scrittura al disegno, all’illustrazione, alla storia per immagini, il passo non è molto lungo.

La mattina del 6 agosto di sessant’anni fa, in una giornata limpida d’estate, la prima bomba atomica della storia viene sganciata dagli americani su Hiroshima. Un mondo improvvisamente cambia: la morte e la distruzione di massa arrivano come luce infuocata, un fungo enorme, il grande occhio che sbatte la palpebra, per raccontare questa catastrofe con la poesia di Akira Kurosawa nel film Rapsodia in agosto. È un evento di portata incredibile che si abbatte sul popolo giapponese e ne segna indelebilmente la società. La catastrofe, il pericolo, il senso del dramma, le armi potenti che decidono il destino degli uomini, la lotta tra bene e male, il senso dell’onore — sempre presente nella cultura nipponica — si consolidano nell’immaginario della generazione che sopravvive alla fine della guerra ma anche di quelle successive che ne conservano il trauma.

Immagine articolo Fucine MuteQuesti tre elementi — il rapporto con l’Occidente, gli ideogrammi e la bomba atomica — emergono e si sentono quando si scorre la storia del fumetto giapponese, ad esempio visitando la mostra “Mangashi”, coprodotta dall’Udine Far East Film Festival e dal Comicon di Napoli e visitabile al Visionario di Udine durante la settima edizione del festival di cinema dell’Estremo Oriente.

La parola manga è stata coniata nel 1814 da Katsushisa Hokusai, noto artista ukiyo-e e celebre in tutto il mondo per le stampe dedicate alle diverse vedute del monte Fuji, oggi riprodotte su poster e calendari. Manga si ottiene unendo due ideogrammi cinesi, man (immagine) e ga (satireggiante, vagante) e appare per la prima volta nel titolo della raccolta di disegni di Hokusai che comprende caricature e schizzi. È una forma d’arte che affonda le origini già nel XII secolo ma la nascita di vere e proprie vignette e strisce si ha nel periodo Meiji (1868-1912) quando il Giappone si trasforma in un paese industrializzato e la frequentazione con gli occidentali porta alla conoscenza dei disegnatori stranieri e all’influenza del giornalismo di stampo europeo e statunitense.

Si sviluppano l’editoria, le pubblicazioni, nasce un mercato ricco di narrativa illustrata, e le vignette satiriche seguono l’evoluzione dei giornali e dell’informazione. Un fermento culturale vivissimo tiene a battesimo anche la nascita del fumetto per ragazzi in cui spiccano due disegnatori, Katsuichi Kabashima e Yutaka Aso, abili nel trovare un equilibrio tra linguaggio scritto e immagini che spesso sfocia in storie ispirate alla vita domestica e familiare (kaitei manga).

Con gli anni Trenta del Novecento il potere militare assume una posizione predominante in Giappone: il manga diventa strumento di propaganda imperialistica ma non perde la qualità di disegni e storie. Gajo Sakamoto inventa in quegli anni “Tanku Tankuro”, da molti considerato il primo robot della storia del fumetto giapponese. Poi la guerra travolge ogni cosa e la produzione di manga riprende solo nella seconda metà degli anni Quaranta (sengo manga, fumetti del dopoguerra).

Nei manga del dopoguerra il tema principale è la realtà quotidiana, il bilancio di una guerra catastrofica per il paese: con toni polemici o con toni sarcastici alcuni autori raccontano la situazione dei giapponesi. Altri invece realizzano storie dagli slanci positivi sulla ricostruzione del paese come Machiko Hasegawa, prima donna del manga. Il terreno è già pronto perché si affacci sulla scena, negli anni Cinquanta, colui che rinnova davvero il fumetto per ragazzi e lascia un segno indelebile nella cultura nipponica, Osamu Tezuka. È lui a iniziare una nuova tipologia di manga, il sutori manga, autentico racconto per immagini ricco di azione e di intrecci narrativi completi. Il papà di “Astroboy” crea anche un nuovo genere di storia sentimentale dove protagoniste sono le donne (shojo manga), genere che diventerà popolarissimo, con il fumetto “La principessa Zaffiro”. Il ruolo di Osamu Tezuka è fondamentale per il processo di trasformazione del fumetto giapponese che a metà degli anni Cinquanta si arricchisce di un altro prodotto chiamato gekiga, disegno drammatico e incentrato su violenza e azione. Tra gli esponenti di questa corrente, a volte fortemente ideologica, bisogna citare Sanpei Shirato, ideatore dell’epopea di “Kamui”.

Negli anni Sessanta il manga cambia un po’ il suo destinatario: al bambino si sostituisce l’adulto. È il periodo del boom economico del Giappone, che corrisponde all’enorme diffondersi di fumetti, di generi diversi, che soddisfano le esigenze di ogni fascia sociale e di età. Nasce in patria il fenomeno manga, gli eroi delle strisce diventano beniamini che influenzano il costume e la società, le storie si alimentano grazie alle suggestioni che arrivano dallo scambio con cinema e televisione.

Immagine articolo Fucine MuteCon gli anni Settanta i fumetti giapponesi cominciano ad essere conosciuti anche al di fuori dei confini nazionali ma il periodo corrisponde, stando all’intervento di Gianluca Di Fratta “Mangashi: appunti per una storia del fumetto in Giappone” uscito nel catalogo 2005 di Comicon, a un appiattimento di temi, linguaggi e disegni, troppo commerciali e caratterizzati da erotismo e violenza a volte eccessivi. Ma in quegli anni sorgono anche gli astri di Go Nagai, inventore di “Mazinger Z” e “Devilman”, e di Leiji Matsumoto (“Capitan Harlock” e “Galaxy Express 999”), artisti che riescono a personalizzare il genere fantascientifico e d’avventura dando vita a capolavori ancora oggi riconosciuti. Tra i manga per ragazze appaiono numerose disegnatrici tra cui Riyoko Ikeda, famosa per aver creato “Lady Oscar”: comincia il riscatto del ruolo della donna nella società giapponese e di riflesso anche nei fumetti.

Gli anni Ottanta vedono invece affermarsi un movimento di autori di fumetti amatoriali a bassa tiratura che diventano artisti di professione: Rumiko Takahashi, che nei suoi lavori “Lamù”, “Maison Ikkoku” e “Ranma ½” riesce a fondere insieme sentimenti, umorismo e avventura, e Akira Toriyama, a cui si deve “Dragonball”, sono tra i più popolari. Ma anche la letteratura cyberpunk, con la sua visione critica della scienza, influenza il manga ed ecco prodotti come “Akira” di Katsuhiro Otomo e “Ghost in the Shell” di Masamune Shirow.

Protagonista degli anni Novanta, per quanto riguarda i fumetti giapponesi, è ancora la figura femminile. L’emancipazione fa passi da gigante e il ruolo della donna comincia a cambiare profondamente nel paese del Sol Levante. Tra i manga spopola, non a caso, “Sailormoon” di Naoko Takeuchi, in cui viene delineata una nuova immagine femminile, un misto di seduzione e potere a metà strada fra la bambola e l’eroe spaziale. Con una buona dose di ironia.

Cosa notiamo nei primi anni del XXI secolo? I nuovi canali per produrre e distribuire i manga creano processi impensabili fino a qualche tempo fa, come ad esempio serie televisive di animazione (anime) che danno vita a strisce e albi di fumetti (una volta avveniva esattamente, e solamente, l’inverso). Quel che non sembra cambiare è il reciproco influenzarsi tra manga e altri media e arti: la computer graphic e la realtà virtuale sono attualmente l’ultima frontiera di una serie di produzioni che vedono il fumetto giapponese ancora protagonista, magari recuperato dal passato e reinserito nelle creazioni più ardite delle nuove tecnologie. E in campo narrativo si consolida una corrente di scrittori e letterati che vanno sotto il nome di “Generazione manga ”, autori della parola scritta che sono nati e cresciuti in mezzo a fumetti e cartoni animati, ne hanno assunto caratteri, tempi e immagini e ne sono influenzati nel loro scrivere. Banana Yoshimoto può essere considerata il capostipite di questo genere letterario.

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