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Cinema

Margherita Buy

Non chiamatemi nevrotica

Margherita BuyScarpe da ginnastica, jeans e una mimica facciale che esprime ben più delle parole. Questa una della ragioni per cui Margherita Buy è diventata una delle attrici italiane più amate dal pubblico, dai registi e dalla critica. Lo dimostrano sei Ciak d’oro, quattro nastri d’argento e tre David di Donatello come attrice protagonista. A lei, il festival del cinema europeo di Lecce edizione 2009 ha dedicato una retrospettiva e anche un libro: Margherita Buy, immagine di donna, scritto da Massimo Causo e edito da Besa.
Nella vita è un po’ timida, ma dice anche di essere allegra. Nel panorama cinematografico, invece, è considerata un’attrice versatile, anche se spesso le viene attribuita l’etichetta di nevrotica: aggettivo che accetta ma la fa un po’ arrabbiare.

“All’inizio — spiega — venire definita nevrotica mi ha fatto soffrire parecchio. Anzi, mi ha dato proprio fastidio sia essere etichettata di per sé, che essere etichettata come nevrotica, nello specifico. Ma va bene così. Credo di avere una sensibilità particolare, da qui a dire che sono nevrotica, però, ce ne passa. In realtà, tutto è nato da Maledetto il giorno che t’ho incontrato, film che ho fatto con Carlo Verdone, in cui abbiamo raccontato la vita di tutti i giorni con le sue inevitabili nevrosi. Ma parlare della vita in questo modo non è altro che un omaggio alla vita stessa. E poi, c’è da dire che ho interpretato anche tanti altri personaggi nient’affatto nevrotici, come la protagonista di La stazione di Sergio Rubini (Il suo primo marito, nda)”.
Nei prossimi mesi la vedremo ancora sul grande schermo. Sono da poco terminate, infatti, le riprese di Lo spazio bianco, film tratto dall’omonimo romanzo di Valeria Parrella e diretto da Francesca Comencini, sorella di Cristina.

Valeria Blanco (VB): Quello con i Comencini è un rapporto consolidato…

Margherita Buy (MB): Ormai sento davvero di far parte della famiglia. Sono contenta che Francesca mi abbia chiamato per questo film particolare, molto doloroso. Sul set ho trascorso due mesi molto intensi: mi sono calata in un ruolo che è molto diverso da quelli che mi capita di interpretare solitamente.

VB: Nel film interpreta la parte di una madre, quarantenne e single, che rischia di perdere una bambina nata prematura. È stato un ruolo difficile?

MB: Direi piuttosto che mi ha dato molta emozione. La maternità è un tema che ogni attrice affronta come un appuntamento. Qui, però, la maternità è trattata in modo diverso, perché la protagonista è una donna che partorisce al sesto mese. Quello con la bambina, che potrebbe morire da un momento all’altro, è un rapporto spezzato che si completa in modo strano, con il figlio fuori dal grembo materno. È stato un ruolo complicato che sto metabolizzando pian piano. E sono ancora confusa, non so cos’ho combinato.

VB: Si sente più a suo agio recitando in una commedia o in un ruolo più serio?

MB: In realtà mi piace alternare ruoli comici a ruoli più seri e magari impegnativi. Questa alternanza emotiva mi serve per lavorare meglio. La commedia mi serve per respirare, per smaltire i fantasmi che i ruoli più seri ti lasciano dentro. Sono stata molto contenta che Nina Di Maio, una giovanissima regista emergente, mi abbia offerto un ruolo nel suo film. Recitare in una commedia, al fianco di due personaggi divertentissimi come Luciana Littizzetto e Fabio Volo, mi ha dato una bella carica.

VB: La stazione è stato per lei un film importante, sia per la vita professionale che per quella privata…

MB: All’inizio della mia carriera mi è capitato di unire vita professionale e vita privata. Avere accanto un regista, cioè una persona che ne sapeva più di me, mi faceva sentire più capita, ma allo stesso tempo anche più giudicata. Adesso ho a fianco una persona che è estranea al mondo del cinema e la mia vita professionale appartiene solo a me. Sto bene così.

Margherita Buy assieme a Sergio Rubini

VB: Nella sua vita ha incontrato diversi personaggi importanti: da Federico Fellini ad Andrea Camilleri passando per Nanni Moretti. Ci racconta qualcosa di più di loro?

MB: Ho conosciuto Federico Fellini quando Sergio ha lavorato con lui: tra loro si era creato un legame speciale. È stato un privilegio, anche se io e Fellini abbiamo avuto un rapporto piccolo e lieve. Ricordo che una sera lo abbiamo invitato a cena insieme con sua moglie ed ero terrorizzata dal fatto che qualcosa andasse storto o che non gli piacesse il menu. Qualche volta l’ho accompagnato in macchina: diceva sempre che guidavo bene.

VB: Camilleri, invece, è stato il suo insegnante all’Accademia d’arte drammatica.

MB: Sì, ma lo avevo conosciuto prima. Da ragazza andavo male a scuola e, a un certo punto, iniziai a prendere lezioni di latino da sua moglie mentre lui, Andrea Camilleri, mi era completamente sconosciuto. Quello era un periodo buio, non avevo le idee chiare sul mio futuro, non sapevo nemmeno dell’esistenza dell’Accademia. L’idea di provare ad entrarci mi è venuta l’estate dopo la maturità: è stata un’idea illuminante. Poi ho passato le selezioni e mi sono ritrovata Camilleri come insegnante.

VB: Infine, Nanni Moretti…

MB: Con lui ho fatto Il caimano, un film complesso perché affrontava tante cose e anche un po’ profetico, guardato col senno di poi. Io l’ho capito soltanto quando l’ho visto. Spero che Moretti si sblocchi e faccia presto un altro film.

VB: Nonostante sia una delle più acclamate attrici del panorama italiano, non si sente spesso parlare di lei per motivi che vanno al di là del suo lavoro. Come mai è così riservata?

MB: Ognuno fa quello che si sente. Ci sono persone, che non giudico per questo, che hanno il bisogno di sovraesporsi. A me piace fino a un certo punto: vado a qualche festa, partecipo alla promozione dei film, ma poi finisce lì. Mi piace anche avere una vita al riparo dai riflettori. Sono discreta e anche un po’ timida.

VB: Alcune sue colleghe, da Stefania Sandrelli a Laura Morante, hanno annunciato l’imminente esordio dietro la macchina da presa. E lei, ha mai pensato alla regia?

MB: Non credo che ne sarei in grado. Mi piacerebbe, invece, fare la sceneggiatrice: scrivere un film, magari insieme ad altri.

VB: Nella sua carriera c’è stato anche tanto teatro. Come mai lo ha abbandonato?

MB: Mi sono tirata indietro presto perché ho capito di non essere fatta per la vita itinerante, che lascia tanti spazi vuoti. Io sono una persona stanziale, mi piacerebbe fare solo delle piccole tournée: mi sono resa conto che la vita dell’attore di teatro non la reggo psicologicamente. Certo, non escludo categoricamente di fare ancora qualcosa in teatro, ma mentre prima avevo meno responsabilità, oggi se faccio qualcosa è perché mi piace davvero.

Margherita Buy

VB: C’è un personaggio, tra quelli che ha interpretato, in cui si è davvero riconosciuta?

MB: A me piacciono molto le storie di donne dure e spigolose. Certo, poi in ogni personaggio ci metto qualcosa di mio. Alcune fragilità che porto in scena mi appartengono, ma non mi sono mai rispecchiata totalmente in nessuno dei personaggi che ho interpretato.

VB: Secondo lei, attori si diventa o si nasce?

MB: Credo ci sia una certa predisposizione che non sempre si è in grado di riconoscere. Io mi ritengo fortunata perché una serie di circostanze casuali mi ha portato a scoprire alcune mie predisposizioni e oggi faccio il lavoro che sognavo di fare. Ecco, forse in questo senso attori si nasce: ci sono persone che non sanno comunicare in questo modo, così come ci sono persone che non hanno i requisiti per fare il chirurgo.

VB: C’è un regista o un attore con cui avrebbe il desiderio di lavorare?

MB: Mi piacerebbe fare un film con Michele Placido. In realtà, mi era stato proposto il ruolo di un’insegnante dell’Accademia d’arte drammatica un po’ alcolista per Il grande sogno. Poi ci sono stati dei problemi e la parte è andata a Laura Morante. Spero ci sia in futuro una nuova occasione.

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