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Percorsi

A caccia di fossili nella città eterna di Byblos (Libano)

Un viaggio di 40 milioni di anni indietro nel tempo!

Non ero mai salito su un’automobile Chrysler. E non pensavo nemmeno che a Beirut (Libano) circolasse una Chrysler 300 SRT8 nera, rinforzata con vetri antiproiettile e portiere antisfondamento. Invece, quel pomeriggio di luglio, quarantacinque gradi e un tasso indecifrato di umidità, “Bob” – così si faceva chiamare l’autista che mi era stato riservato – si presenta alla reception dell’hotel e in perfetta tenuta da turista yankee mi prende sottobraccio e avvisa: “la strada per Byblos oggi sarà trafficata. Però, Prof. Milanese, lei viaggerà comodo e rilassato”. Da Beirut a Byblos sono non più di trentacinque chilometri che, alla velocità di trenta chilometri orari più qualche posto di blocco, un paio di pause caffè e sigaretta, si percorrono in quasi due ore. “Non si preoccupi, Professore, una volta arrivato a Byblos, vedrà che tutto il tempo speso in macchina se lo sarà scordato”.

byblos city

Partendo da Beirut, costeggiando il mare Mediterraneo da una prospettiva insolita per un italiano, in un’ininterrotta sequenza di piccoli centri, capannoni e fabbriche più o meno abbandonate, con la dovuta calma tipica dei libanesi, si arriva a Byblos, città apparentemente anonima di 50.000 abitanti, terribilmente affacciata sul mare.

Poco prima di arrivare a Byblos, Bob – musulmano che in pieno Ramadan sgranocchia Mars e beve caffè – fa un’altra sosta, questa volta davanti al Casinò du Liban: struttura immensa e lussuosissima aperta nel 1959 e chiusa durante la guerra civile: “Così capisce che la nostra Costituzione riconosce 18 religioni sia sulla carta sia nei fatti”, spiega l’autista poco incline alle rinunce prescritte dal Corano. Infatti, il gioco d’azzardo è pratica vietata nel mondo musulmano, ma non in Libano.

Ad ogni modo, finalmente si arriva a Byblos, passando per un porto che vagamente ricorda Camogli e la Liguria. Una decina di barche ormeggiate, un paio di ragazzotti pronti a catturare turisti per un quarto d’ora di giro in barca è tutto quello che offre il porto di Byblos. Non ti immagini proprio che questo piccolo anfratto, quasi abbandonato al suo lento destino, per diversi secoli sia stato uno degli approdi più importanti di tutto il Mediterraneo! Turisti, oggi, nel luglio del 2013, non se ne vedono in giro, e presto capisco che deve essere la faccia bianca sotto il sole cocente a definire la mia diversità dalla popolazione autoctona. Bob si ferma davanti a un cancello e fa cenno di scendere. Siamo arrivati all’entrata di una delle meraviglie dell’umanità: l’antica città di Byblos, ininterrottamente vissuta dall’uomo da almeno dieci millenni. L’odore di quei millenni lo senti subito; nello sguardo dei curiosi che si fermano ad osservarti, nei profili asimmetrici degli ulivi e nell’immanenza delle pietre lisciate dal vento. Dovrei pagare il prezzo della Storia per entrare in questo posto, invece, me la cavo con pochi dollari e come benvenuto ricevo lo splendido sorriso di una ragazza: “Buon giorno, lei è il primo visitatore da ormai diversi giorni, è il benvenuto”.

byblos port

Il castello Crociato di Byblos, conquistato e poi perso da Saladino, perfettamente conservato e in fase di restauro (con gentile contributo teutonico), mostra i segni eclatanti di quella storia, non proprio nobile, della Chiesa di Roma. Un millennio or sono, dal 1104 al 1302, questa era terra della Signoria di Gibelletto, governata dal genovese Guglielmo Embrìaco, quello che nel 1099 conquistò Gerusalemme. In quel periodo, Embrìaco costruì una fittissima rete commerciale che congiungeva Byblos a Genova. Ma la storia di Byblos al tempo dei “genovesi” era già stata preceduta da altri e più duraturi domini. Infatti, come in un viaggio a ritroso nella preistoria della civiltà umana, le rovine di Byblos mostrano chiaramente i segni della dominazione ottomana (1516-1918), del periodo mamelucco (dal 1266), dell’interregno di Saladino, dell’influenza greco-romana fino ad arrivare all’età di Alessandro il Grande (332 a.c.), del vassallato persiano (538–332 a.c.), della conquista assira (732 a.c.), della colonizzazione fenicia (1200 a.c.) e di quella millenaria egiziana, fino al ritrovamento di manufatti o opere murarie delle epoche neolitiche che portano il visitatore indietro nella preistoria, fino all’8000 a.C.

Uscito a tardo pomeriggio dalla città eterna, attraverso le strette vie del mercato di Byblos, popolato da gatti e jeki e da un gruppo di ragazzini che mi segue a distanza. In un bar che potrebbe essere l’ambientazione perfetta di un film su Hemingway, per soli tre dollari mi servono una limonata, ma di quelle vere, antiche, di limoni spremuti e schiacciati col ghiaccio direttamente nel bicchiere.

PierrePotrebbe essere sufficiente, invece Byblos non finisce lì, e questa giornata deve proseguire al museo dei fossili marini del simpaticissimo paleontologo Pierre Abi Saad. La storia del suo museo, dove è sempre possibile acquistare e portare a casa un reperto fossile, magari un pesce estinto da milioni di anni, è già entrata nella leggenda. Figlio di un agricoltore, Pierre è da ormai due decenni un cacciatore di fossili, ovvero, da quando, con lungimiranza visionaria, la sua famiglia acquistò una vasta area montuosa nei pressi di Byblos. 100 milioni di anni fa, quella zona era completamente sommersa dal lago Thety, mentre ora è il terreno di “caccia” di Pierre, famoso in tutti i musei del mondo, che contribuisce ad arricchire con specie marine fossili non ancora classificate. Il suo museo sembra un acquario cristallizzato nel tempo, con pesci dalle forme indescrivibili stampati su lastre di arenaria e sospesi alle pareti. È tutto talmente incredibile, nel museo di Saad, che a tratti si ha l’impressione sia un trucco per ingannare il turista, smanioso di portare a casa un pezzo della preistoria a buon prezzo. Invece, Pierre mostra orgogliosamente le innumerevoli copertine di riviste, gli articoli scritti e le pubblicazioni dedicategli dalla stampa internazionale. In un certo senso, quei fossili, quei pesciolini così magnificamente immortalati nella roccia, per Pierre sono una specie di passaporto che lo ha tenuto in contatto con il mondo: anche nei difficili anni della guerra civile ,quando, nonostante le bombe e i missili, il mondo accademico non si è dimenticato di Pierre, il “cacciatore di fossili” libanese.

Il ritorno a Beirut, quando ormai la luce del tramonto colora Byblos e i suoi millenni di storia si allontanano dal finestrino della Chrysler, è meno problematico del previsto. Enormi gabbiani sembrano lambire divertiti quella linea immaginaria dove l’azzurro dell’acqua si confonde con il rosso del cielo e, nell’immensità di quel passato lontano, vivo il mio personale naufragar dolce in questo mar.  

Commenti

Un commento a “A caccia di fossili nella città eterna di Byblos (Libano)”

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