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Scrittura

La donna della domenica e le sue trasposizioni filmiche

La donna della domenicaLa donna della domenica, scritto tra fine anni Sessanta-primi anni Settanta da Fruttero&Lucentini, è uno di quei romanzi comunemente definiti gialli in cui, però, a differenza dei classici del genere, l’ambientazione finisce per ricoprire un ruolo talmente dominante da far passare la storia gialla in secondo piano riducendola a mero contorno. La trama e i personaggi seguono infatti le “orme” della pianta a scacchiera della città di Torino, per cui nell’arco di cinquecento pagine il lettore viene catapultato nelle vite di un numero imprecisato di persone i cui pensieri emergono con eccezionale simmetria risultando fin da subito ben distinguibili senza dare adito ad alcuna confusione.

Ogni personaggio esiste solo in funzione del contesto in cui è collocato – al di fuori non sarebbe in grado di sopravvivere – e agisce sotto l’impulso di una propria personale ossessione: Anna Carla Dosio vuole dimostrare di non essere la classica alto borghese che tutti danno per scontata; Massimo Campi teme di restare intrappolato in un rapporto affettivo che lo distoglierebbe dalla sua naturale indolenza; Lamberto Garrone, parassita sociale, mira ad arricchirsi sulle spalle degli altri; la signora Tabusso desidera veder riconosciuti i propri diritti; l’americanista Bonetto auspica di avere la meglio sull’acerrimo rivale Marpioli; il Commissario Santamaria anela ad andare a trovare la Jole ma con scarsi risultati e forza di volontà ancora più scarsa.

Come se non bastasse, questa variegata umanità popola una città che non è testimone silenzioso degli avvenimenti (l’omicidio del Garrone) ma che vi partecipa attivamente e li mette in risalto diventando lo specchio dei sentimenti dei personaggi: il lungofiume sommerso dai rifiuti dove passeggia Anna Carla; il vallone battuto dalle prostitute a un passo dalla casa della signora Tabusso; lo squallido appartamento del Garrone; i labirintici uffici del Comune in cui Riviera si improvvisa investigatore; la galleria d’arte del Vollero; le cianfrusaglie del Balùn e i locali che fungono da luogo d’incontro clandestino tra amanti. Fruttero&Lucentini sono riusciti a mettere su carta una realtà tenendo conto dei pregi e dei difetti letterari di entrambi e quasi invitando il lettore a scoprire quali elementi sono caratteristici dell’una e dell’altra mano (ad esempio, l’uso dei titoli-incipit per ogni capitolo è più facilmente attribuibile a Franco Lucentini in quanto traduttore delle opere di Alain Robbe-Grillet che si contraddistinguono proprio per questa peculiarità).

La donna della domenica di Luigi Comencini (1975)

Portare sullo schermo un’opera così ben strutturata e allo stesso tempo così complessa comporta delle scelte che inevitabilmente finiscono per privilegiare determinati elementi a scapito di altri. Nel 1975, Luigi Comencini trae dal romanzo un primo film che condensa il testo in un’ora e quarantacinque e che vede tra gli interpreti attori di primo piano del panorama cinematografico italiano e francese: Marcello Mastroianni, Aldo Reggiani, Lina Volonghi, Jacqueline Bisset, Jean-Louis Trintignant. La decisione di realizzare una pellicola di durata standard induce il regista a privilegiare l’interazione tra i personaggi anziché il loro rapporto con la città, e lo spinge a eliminare tutto quello che non considera funzionale alla trama: la scena in cui il commissario nota lo sguardo di Massimo Campi nei confronti degli operai stradali e da cui ne deduce la sua omosessualità; il dialogo con Monsignor Passalacqua che spiega dal punto di vista storico l’origine dell’itifallo; l’incontro fortuito fuori dal parrucchiere tra la signora Dosio e la signora Tabusso, che porta all’attenzione del lettore il carattere impositivo della seconda e solleva la questione delle multe che si rivelerà determinante in seguito; il dialogo tra le sorelle Tabusso e la domestica Palmira, che non viene omesso ma trasferito nel salone del parrucchiere in assenza della domestica.

Il carattere dei personaggi viene a volte messo in risalto avvalendosi anche di battute colorite, che vanno a sostituire le parti descrittive rendendo più immediata la ricezione del pubblico e la presa di coscienza riguardo al tipo rappresentato sullo schermo: l’architetto Garrone che apostrofa la cassiera del bar con un “io ho il vento in poppa, lei le poppe al vento”; il Commissario Santamaria che reagisce al probabile coinvolgimento di Anna Carla Dosio e Massimo Campi con un “Dosio, Dosio, Campi, Campi, cazzo, cazzo” che anticipa quell’atteggiamento finto servile atto a estorcere informazioni ai due senza recar loro offesa; la Signora Tabusso che parla del marito defunto definendolo “cicci” e sottolinea di essere “contessa un paio di balle”. L’americanista Bonetto, in compenso, perde quella parlata che lo contraddistingue quando va nel panico e che prevede l’alternarsi di un numero di anglicismi e dialettismi tale da rendere assolutamente incomprensibili i suoi discorsi per gli interlocutori.

La donna della domenicaIl rapporto tra i protagonisti perde un po’ quell’intensità legata al non detto che si percepisce nel libro. O meglio si cerca di riprodurre quell’intensità spingendo il personaggio di Anna Carla Dosio ad acquistare un macinapepe al Balùn nella prospettiva di una cena con il commissario, ma poiché nel romanzo acquista un Manuale pratico di polizia giudiziaria si finisce per trasformare una donna colta – alto borghese, bionda, facile alla noia, terrore dei domestici che licenzia con una frequenza a dir poco esasperante, ma colta – in una donna ordinaria subito pronta a diventare la casalinga perfetta per un uomo per cui nutre un sentimento. Ed è questo il punto, l’Anna Carla Dosio del romanzo è tutto fuorché ordinaria. È consapevole dei tradimenti del marito ma non se ne fa problema, e questa scelta non è dovuta al desiderio di mantenere unita la famiglia, di garantire un padre alla bambina, di non suscitare scandalo sociale o di non perdere la propria posizione, ma semplicemente al fatto che così va il mondo e basta. Lui tradisce lei, e lei, se trova un uomo con cui ne valga la pena, tradisce lui, senza che ci sia altro da dire. La Dosio portata sullo schermo da Comencini, con una Jacqueline Bisset castana e non bionda, trasmette in parte quest’idea solo nel finale quando dopo aver consumato il tradimento con il commissario se ne va tranquilla, quasi senza salutare, per riprendere i suoi “giochi di società” in compagnia di Massimo Campi. Tuttavia, le scene centrali, in particolare quella con i fratelli Zavattaro in cui il commissario arriva al punto di mettere le mani addosso a uno di loro, tradiscono l’idea della classica donna che ha bisogno di essere salvata e protetta, cosa che nella versione testuale avviene solo a un livello molto superficiale.

Il rapporto di amicizia tra Anna Carla Dosio e Massimo Campi nella pellicola si rivela a tratti meno solido che nel romanzo. Nella scena dell’interrogatorio collettivo, immediatamente dopo l’uccisione di Lello Riviera, Massimo arriva al punto di accusare Anna Carla, mentre nel volume la protagonista è oggetto di un interrogatorio privato, da parte del commissario, durante il quale il sentimento tra i due si fa più evidente. Questo cambiare le modalità dell’interrogatorio permette al regista di radunare tutti i sospettati in un corridoio, come nel più classico dei polizieschi, e di generare contrasti tra i personaggi che vengono spinti ad accusarsi reciprocamente.

La donna della domenica, miniserie in due puntate di Giulio Base (2011)

Nel 2011, La donna della domenica viene riportata all’attenzione del pubblico attraverso una miniserie trasmessa in prima serata dalla Rai. Le due puntate non sono solo un omaggio a Fruttero&Lucentini ma anche a Luigi Comencini, visto che in parte viene ripresa la sceneggiatura del film del 1975 (in particolare con la battuta di Franco Castellano (Garrone) che parla di “poppe al vento” e con il macinapepe che Andrea Osvárt (Anna Carla Dosio) acquista al Balùn, anche se le citazioni sono molto più numerose). Trattandosi di miniserie, il regista opera una scelta radicalmente diversa da quella di Comencini e anziché sfoltire il romanzo arricchisce la trama inserendo personaggi non presenti nell’originale – la prostituta frequentata dal Bonetto e oggetto di aggressione – e facendo assumere il ruolo di macchietta a quelli di contorno – Nicosia che scopre l’omosessualità del Campi con un pedinamento al limite del ridicolo – . Anche gli avvenimenti vengono in parte stravolti o integrati con nuove situazioni: la storia della cappella funebre dei Dosio; i maneggi fiscali del marito di Anna Carla; il sentimento di inadeguatezza che lei manifesta nei confronti dei tradimenti di lui; il bisogno di sentirsi protetta tra le braccia del Commissario Santamaria neanche fosse un eroe da fotoromanzo (peraltro, ambito nel quale si cimentarono anche Fruttero&Lucentini).

Fruttero&LucentiniRispetto alla trasposizione di Comencini, qui la voglia di far divertire il pubblico ha la meglio sia sull’ambientazione che sulla trama poliziesca. La scena di apertura con Anna Carla Dosio, in versione femme fatale, che sembra architettare con il Campi il delitto perfetto, determina il tono dell’intera serie. La complicità che progressivamente si crea tra Andrea Osvárt e Giampaolo Morelli (il Commissario Santamaria) viene sottolineata attraverso giochi di inquadrature che si soffermano sui dettagli del corpo di lei durante le loro conversazioni private, mentre il rapporto professionale e di amicizia tra Santamaria e De Palma viene sfruttato per contrapporre la solitudine del primo alla vita famigliare del secondo (cosa di cui nel libro non si parla ma che trova riscontro nel romanzo successivo A che punto è la notte). In certe occasioni, alcuni personaggi finiscono al centro di veri e propri siparietti comici che alleggeriscono la tensione: i fratelli Zavattaro (qui, Mauro Serio e Fulvio Falzarano) inscenano in commissariato un battibecco degno dei più noti film di Totò e Peppino, mentre alcuni aspetti più “conturbanti” – il Regis voyeurista e pornofilo che si rende volentieri complice dei comportamenti abietti del Garrone – vengono eliminati. Il regista Giulio Base si riserva un cameo, in perfetto stile hitchcockiano, al mercatino del Balùn, quando rifila l’ennesima crosta al gallerista Vollero, il che evidenzia ulteriormente l’intenzione giocosa della miniserie.

Se nel 1975 Luigi Comencini si focalizza soprattutto sulla trama poliziesca e porta sullo schermo un’Italia ancora attuale, nel 2011 Giulio Base preserva l’ambientazione anni Settanta, conferendo all’opera un sapore da “ricordo dei tempi che furono”, e pone l’attenzione sul lato divertente del romanzo ricavandone quindi non tanto un poliziesco quanto una parodia.

Per approfondire, vedesi anche il documentario che Rai5 ha dedicato l’anno scorso a Fruttero&Lucentini, visibile a questo link:

https://www.raiplay.it/video/2019/11/laltro-novecento-S3E1-fruttero-e-lucentini-6acadeeb-dfaf-4215-99fa-8d32102859be.html

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