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Cinema

I migliori festival della mia vita

Il festival triestino è un evento che ha segnato in maniera radicale la mia vita, dando il via a una sorta di reazione a catena che mi ha gradualmente portato a fare della fantascienza una professione che pratico ormai da più di trent’anni. Lettore di “Urania” sin dalla prima infanzia, e poi divoratore di tutto ciò che il mercato editoriale italiano proponesse, nel luglio del 1965, studente ginnasiale sedicenne, parto tutto solo per Trieste e per il suo rutilante festival, quell’anno alla terza edizione. Sono sempre stato anche un accanito appassionato di cinema, sicché è abbastanza ovvio intuire che quella manifestazione esercitava su me un fascino diabolicamente ipnotico.

Batman di L. Martinson

Poche volte in vita mia ho provato un’emozione altrettanto intensa: entrare in contatto diretto con personaggi che conoscevo soltanto di nome (anche se con alcuni di loro già intrattenevo un’imberbe corrispondenza), autori che magari leggevo da anni, fan che non sapevo nemmeno esistessero ma assunsero immediatamente ai miei occhi lo status di esseri superiori, saggissimi, e degni della massima venerazione. Come per un mistico processo d’aggregazione alchemica, quell’anno a Trieste si radunarono una ventina di appassionati e qualche professionista (Sandro Sandrelli, Luigi Naviglio, Luigi Cozzi). Non fu una convention a livello ufficiale, ma lo fu nella realtà. E da quel festival del 1965 nacque, in effetti, il primo fandom italiano. Da quell’incontro globale presero vita, nell’autunno dello stesso anno, i raduni qua e là per l’Italia, e il diluvio apocalittico di fanzines che cominciarono a piovere per ogni dove. Che festival fecondo!

Eravamo quasi tutti giovanissimi, tra i sedici e i vent’anni o qualcosa del genere, pieni di entusiasmo e di sacro furore fantascientifico. In un modo o nell’altro, riuscimmo a farci accreditare come “giornalisti” e a ricevere l’agognato tesserino che concedeva l’accesso gratuito alle proiezioni. Nel tempo libero tra un film e l’altro, chiacchierate interminabili, grandi discorsi, immani progetti.

Nel 1966 tornai. Quelli dell’ufficio stampa ci vedevano come il fumo negli occhi, senza dubbio ci odiavano di tutto cuore, ma non riuscirono a tenerci testa. Si riformò la stessa banda, ormai forte del suo status di rappresentante ufficiale del fandom italiano, un’entità che ai fini pratici non contava nulla, ma per noi, per me, era una grossa fetta di mondo.

La decima vittima di E. Petri

Il festival triestino è stato una delle parti migliori della mia vita. Dai primi anni Settanta in poi l’ho spesso frequentato come rispettabile rappresentante e corrispondente di vere riviste, non semplici fanzines. Sicché nessuno ebbe più da ridire sulla mia presenza: se ero lì per “Galassia”, o “Robot”, o “La rivista di Isaac Asimov”, andava bene. L’apice della mia carriera festivaliera si ebbe nel 1980, quando fui ospite d’onore della “FantastiCon 2” in compagnia di David Compton e Riccardo Valla. Wow! Da timido ragazzino di provincia a guest of honor. Son queste le cose che danno succo all’esistenza.

Trieste era, ogni anno, un luogo di ritrovo tra vecchi amici, una zona franca dove liberarsi dagli affanni del vivere quotidiano. A volere essere onesti, la qualità media dei film non era esattamente trascendentale: c’era spesso un’esuberante abbondanza di mediocri film horror, uno straripare di produzioni dell’est europeo (quasi mai distribuite in Italia) carine ma poco più, e i film davvero importanti a livello di mercato internazionale, quelli che hanno fatto la storia recente della cinematografia fantascientifica (per intenderci, opere come 2001 o Incontri ravvicinati del terzo tipo o Guerre stellari ecc.), non sono mai passate di lì. Non che le cose buone siano mancate, da La jetée di Chris Marker a Hallucination di Joseph Losey, da Alphaville di Jean-Luc Godard a La morte in diretta di Bertrand Tavernier, per citare solo i primi titoli che ricordo, ma costituivano, più che la regola, l’eccezione.

Poco importava. L’essenza vera del festival, per me e per gli amici che di anno in anno reincontravo lì (compresa la foltissima truppa di appassionati triestini), era lo stare assieme per una settimana abbondante immersi in una rigogliosa atmosfera fantascientifica. Anzi, ho sempre pensato che si sarebbe potuto fare di più in questo senso: trasformare il festival in una vera e propria convention nazionale della science fiction, non alternativa a quelle che già esistono, ma parallela, col vantaggio di potersi appoggiare a una solida struttura organizzativa. È un’idea che rilancio qui agli organizzatori della prevista, ardentemente sperata resurrezione del festival: perché non dare una dimensione in più alla manifestazione? Perché non farne un periodico fulcro della vita sociale di noialtri fantascientisti? Con mostre, dibattiti, tavole rotonde, tutto quanto l’armamentario. Ho già pronto anche il nome, facile facile: FestivalCon. Se qualcuno desidera utilizzarlo, prego, è tutto suo.

Terrore nello spazio di M. BavaTrieste è stato anche il luogo nel quale, a rate, ho incontrato diverse personalità della fantascienza internazionale. In maniera più o meno calorosa. Ciò dipende. Comunque, tutte esperienze notevoli. Il mio rosario di nomi di maggiore spicco comprende: incredibile ma vero, Arthur Clarke! (Molto inglese, molto compassato, ma tutto sommato cordiale.) Harry Harrison! (Simpaticissimo.) Donald Wollheim! (Un po’ freddino, a dire il vero.) Forrest J. Ackerman! (Forrest, che è il maggiore collezionista di memorabilia fantascientifici del mondo intero, sembrava un pupazzo da ventriloquo nelle mani della moglie. Almeno, questa è l’impressione che ho avuto io.) Walter Ernsting! (Uno degli autori di “Perry Rhodan”. Grande tedesco. Un po’ reazionario in quanto a idee, ma di una comunicatività rara.) David Guy Compton! (Dolcissimo, modestissimo, calorosissimo, da quel grande autore che è. E per di più balbuziente, il che mi ha permesso splendidi livelli di comunicazione nella sua lingua, l’inglese.) E poi tutta una sfilza di registi, attori, attrici, sceneggiatori dei quali oggi non ho il più vago ricordo, nell’implacabile deteriorarsi neuronale di un cervello che ha ormai superato la cinquantina…

Che dire, in conclusione? Sono emozionato all’idea di tornare a Trieste in dicembre a raccontare le traversie del mercato italiano della fantascienza nell’ambito delle giornate organizzate come prologo al festival prossimo venturo del 2001 (e si poteva scegliere anno migliore per questa rinascita? No che non si poteva!). Sono eccitato alla prospettiva di essere di nuovo ospite (spero) delle proiezioni al castello di San Giusto, un luogo che è scolpito nella mia memoria con la nettezza di un ologramma. Dopo tutto, se nel 1965 non fossi andato là, non avrei conosciuto tanta gente; non avrei cominciato a scrivere e fare fanzines; magari non sarei mai diventato curatore di “Galassia”; magari non avrei pubblicato i libri che ho pubblicato, curato le riviste e collane di libri che ho curato, tradotto le decine di migliaia di pagine che ho tradotto; magari farei il professore di lettere in qualche scuola, com’era mio prevedibile destino, e onestamente non so se sarei più felice o più infelice, migliore o peggiore, ma di certo sarei diverso, e al momento mi piace essere ciò che sono…

Poi dicono che i film non possono cambiarti la vita? Ragazzi, ma te la costruiscono!

Il presente testo proviene dal quaderno, edito da La Cappella Underground, a cura di Massimiliano Spanu, pubblicato in occasione della manifestazione “Science+Fiction. Festival della Fantascienza di Trieste” grazie al contributo della Cineteca Regionale Friuli Venezia Giulia.

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