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Palcoscenico

Paolo Poli

Aldino mi cali un filino?

Immagine articolo Fucine MuteRiccardo Visintin (RV): Allora, siamo in compagnia, piacevolissima, di Paolo Poli….

Paolo Poli (PP): Buongiorno, o buonanotte, a seconda di quando va in onda, vero… spazio e tempo sono delle cose presunte nel cervello, nella realtà non si sa…

RV: …che è un attore che non ha bisogno di alcuna presentazione, torna a Trieste credo dopo due anni di assenza, con uno spettacolo bellissimo che si chiama “Aldino mi cali un filino?”, che è tutto un programma…

Allora la prima domanda velocissima, scontatissima: quali caratteristiche bisogna avere per apprezzare in pieno il teatro di Paolo Poli, così…

PP: Ah, nessuna… si viene a teatro, si paga il biglietto, perché è una cosa sacrosanta, noi siamo qui per lavorare.

Siccome nessuno chiede all’idraulico il perché del suo lavoro, ma il come lo fa: bene…

E così all’artista, all’artista si chiede il “come”, e il pubblico basta che venga.

C’è chi comprende le allusioni più profonde c’è sempre un substrato filosofico ad ogni frase che si dice — ma i miei spettacoli sono anche facili.

Qui a Trieste ci sono anche tante vecchie signore simpaticissime che vedono i vestiti, per esempio… e una mi ha detto: “ah, se fossi come lei così veloce a cambiarmi di vestito, me ne farei fare ancora il triplo da mio marito, per poterne avere di più…”

Ecco, lei apprezzava i vestiti… un’altra invece mi ha detto: “ah, tutti quei colori delle scenografie di Luzzati, che è un grande artista…”.

Ecco, in uno spettacolo c’è da vedere tante cose, c’è il parlato, c’è il cantato e ci sono dei balletti molto belli, i miei collaboratori sono bravissimi, tutti.

Tutti chiedono solo a me, ma io ho la fortuna di avere dei collaboratori veloci, geniali, intelligenti, e per adesso tutti anche in buona armonia, il che non è poco, eh…

Perché quando mi dicono: “guardi, noi siamo come una famiglia”… mi si rizzano quei pochi capelli rimasti, perché non sempre la famiglia è buona, eh… bisogna leggere la Bibbia e scoprire che i fratelli hanno venduto Giuseppe agli egiziani…, è vero o no… per non parlare di Cenerentola!!”

RV: Per non parlare di Andrè Gide, Poli… era lui che diceva mi sembra “Famiglie, io vi odio…”

PP: Sì, ma questi sono autori troppo moderni, bisogna andare sull’antico…

RV: Io la ringrazio, e volevo puntualizzare questo, cioè volevo mettere il “puntolino” su questo: il teatro di Paolo Poli è un teatro che… come si può dire… si muove in un territorio eccentrico, nel senso migliore del termine… ci sono senz’altro dei testi, dei sottotesti, delle sottotracce, c’è il recupero anche, in questo caso specifico di Palazzeschi, di un’Italia, Italietta possiamo chiamarla?

Con tutte le sue manie, le sue piccole tradizioni, i suoi luoghi comuni…

PP: L’Italia è sempre stata grande solo nella letteratura, Dante per primo inventò questa lingua, una lingua curiale, aulica, meravigliosa, adatta alla poesia e non al teatro.

Di teatro in Italia non abbiamo granché, abbiamo tante poesie, e allora stavolta mi sono rivolto ad un poeta, ho preso delle figurine, così, dai suoi piccoli racconti, o dalle sue fortunate poesie inizio secolo, e le ho alternate alle canzonacce che, peraltro, in quelle epoche lontane, avevano ancora dei parolieri che sapevano versificare, molto bene.

E quindi si è fatto un ragù, una specie di zuppa, così, polimorfa, tanto per stare su questi giochi di parole.

RV: E appunto, in qualche modo, facendo un salto nel tempo, partendo cioè da Palazzeschi e tornando indietro, io ovviamente mi sono un po’ documentato per questo incontro, e ho scoperto che nella carriera di Paolo Poli, per un certo periodo anche felicemente affiancato da Lucia Poli, che noi abbiamo già incontrato, sua sorella… ci sono state devo dire tante operazioni ovvio tutte divertentissime, tutte coloratissime, e tutte nel segno di questo “enfant terrible” come leggevo stamattina nella critica di un collega, che è Paolo Poli, però anche con l’attenzione al recupero di autori che non sono proprio conosciutissimi dal grande pubblico.

“Il coturno e la ciabatta”, “La leggenda di San Gregorio”, “L’Asino d’oro”, sono tutti spettacoli che vanno in qualche modo a cogliere dei periodi storici determinati.

Allora, è una scelta di Paolo Poli, Paolo Poli si è scelto una sua nicchia… “

PP: Ma per forza di cose… io mi dovevo delineare un mio angoletto, una mia fisionomia, nell’epoca in cui nascevano i Teatri Stabili, che avevano come appannaggio il grande Shakespeare o il grande Brecht… e io non potevo fare quelle cose, dovevo fare una cosa diversa, per avere una distinzione ed una fisionomia personale, e ora pian piano quella gente mi riconosce.

E sono stato molto lusingato quando un ammiratore per strada mi ha detto: “Complimenti, signor Massimini!”, perché Massimini qui era amatissimo, era un eroe dell’operetta, e così ho capito che ero stato anche io adottato, come cittadino onorario.

RV: Allora, c’è una domanda che io ho nel cuore da un po’ di anni, da quando cioè speravo di incontrare Paolo Poli, ed è questa: ovvio che quando si ha una carriera completa, luminescente come quella di Paolo Poli, vengono fuori anche un po’ non di figli d’arte ma di nipotini d’arte, di personaggi anche benintenzionati che in qualche modo ricalcano le orme di un precursore.

Possiamo fare due nomi così, che mi vengono in mente “damblè”: Arturo Brachetti per quello che riguarda un certo tipo di trasformismo a teatro, ma anche un musicista come Ivan Cattaneo, che qualche tempo fa mi diceva: “devo tutto a Paolo Poli”.

Lei come si sente, di fronte a queste attestazioni d’affetto?

PP: Ma sai, io li vedo poco perché io lavoro tutte le sere, io poi giro la provincia, a me piace il pubblico della provincia, che stufo delle televisioni orrende che voi fate, allora viene a teatro, e vuole godere lì, hic et nunc, quindi non vado, li vedo “in corpore vili”, vedo qualche registrazione ma questi ragazzi nuovi io non vedo, ho visto i vecchi, ma son morti tutti…

Quelli della mia generazione c’è rimasto Glauco Mauri e la Moriconi, basta… eh, si contano sulle dita, ogni giorno ne va via uno, in questi giorni è partito Danilo Donati, un grande scenografo e costumista, sicché… è tutto una moria… ma non ci pensiamo.

FM: Io ho letto, lei mi ha fatto venire in mente, Poli, parlando di Danilo Donati, questa leggenda metropolitana, o è la verità, di questi suoi natali con Fellini.

Fellini arrivava a casa sua con dei panettoni giganteschi, e si faceva una gran festa, con la Masina, con altri personaggi… questa è un’invenzione giornalistica oppure corrisponde alla realtà?

PP: No, è vero, è vero, io sono molto amico di Milena Vukotic, che ha lavorato con la Masina e con Fellini, e Fellini veniva sempre a teatro a trovarci, e poi ci invitava a casa, e allora una volta durante la guerra del Golfo Persico dice: “mi raccomando, preparatemi il pesce persico!”. Che disperate, tutte a cercare, invece non c’è, il pesce persico è di fiume, invece andare al Lago di Bracciano, andare a Fiumicino, no… allora poi si finì per mangiare le tagliatelle con le zucchine, ma benissimo…

FM: Senta, Poli, ci avviamo alla conclusione di questo incontro, inutile dire che sarebbe bello stare….

PP: Tutta la notte…

RV: Tutta la notte a raccontarci aneddoti di ogni tipo.

Noi generalmente cerchiamo di ricostruire il quadro biografico di un attore, di un personaggio, di un artista, come in questo caso Poli, sarebbe lunghissimo…

PP: No, è brevissimo: nato pochi anni orsono, alla metà del secolo scorso, figlio di un carabiniere e di una maestra, con tanti fratelli (eravamo sei, tre maschi e tre femmine ) quindi c’è scelta, e l’ultima è quella che io ho adottato come figliuola, è la mia sorella Lucia, che ha seguito le mie peste, e che gira anche lei l’Italia adesso con un suo spettacolo fortunato e…. basta, finita.

RV: Però c’è anche una moltitudine di letture di Paolo Poli ragazzino, che andava a riscoprire già da ragazzino…

PP: Ma figurati… Questo si dice di Marconi: “Smettila con questi fili”, diceva la mamma, “mi hai riempito la casa …”, e lui: “no mamma, quando sarò grande lo farò senza fili…”

RV: Senta, un’ultimissima cosa: ho visto venerdì sera lo spettacolo appunto, e sentivo i commenti come ogni buon giornalista deve saper fare…

PP: … delle babe…

FM: delle “babe” triestine che esclamavano: “ma come fa a cambiarsi così in fretta?”.

In effetti — non togliamo la sorpresa a chi non ha visto lo spettacolo — ma c’è davvero un florilegio di vestiti, di cambi di scena, di colori…

PP: Ho dei collaboratori straordinari, mentre uno mi infila le scarpe l’altro mi infila un cappello, insomma ho mille mani come il Topo Gigio, hai visto il Topo Gigio?… c’è uno che fa le gambette, uno che gli fa le orecchie… eh, mi aiutano perché io sono ormai la mummia di me stesso, mi levano dal sarcofago, mi spingono in là e poi mi richiudono…

FM: Io la ringrazio…

PP: Baci in famiglia…

RV: L’ultimissima cosa, così in qualche modo ritorniamo anche da dove siamo partiti: lei prima lo ha detto, la televisione di oggi non ci piace, non le piace, almeno la maggior parte di quello che passa….

PP: Ma io vivo negli alberghi, allora ogni tanto così come adopero il frigorifero, anche “quella macchina lì”… ma insomma di notte, verso le tre del mattino, a volte passano dei vecchi film importanti, e allora…. Le macchine aiutano l’uomo, ma anche lo impigriscono.

RV: Io ho visto -volevo ricollegarmi a questo per chiudere- degli estratti da una “Canzonissima” di non so quale anno…

PP: Del 1961…

FM: Del 1961, in cui Paolo Poli era impegnato a fare lo scolaro, con Sandra Mondaini… ed è diventato “storico”, questo per arrivare a dire che il pubblico nei confronti di Paolo Poli, ma anche nei confronti di un certo mondo artistico e televisivo che non c’è più, ha un senso di nostalgia e di affetto, secondo lei…

PP: Ti dirò che erano degli sketch molto facili, improvvisati lì per lì, e quindi quando si va nell’estrema semplicità, la famiglia la digerisce meglio, è come l’omogeneizzato già masticato, predigerito e precotto, che glielo infili in bocca al bambino e lo butta giù, pero è bene invece anche mordere la mucca mentre cammina, non aspettare che diventi scatoletta, io son dell’opinione che mi piace più la ciccia, per quello mi garbi te, perché c’è n’è tanta, è un formato famiglia, c’è tanto da mangiare! Se ti trova la Cianciulli, altro che sapone!

RV: Grazie a Paolo Poli, ed invitiamo tutti a venire a vedere “Aldino, mi cali un filino?”…

PP: C’è pochi posti, c’è pochi posti perché le “babe” sono numerose…

RV: Lo possiamo anche consigliare come spettacolo di prenatale, è molto natalizio….

PP: Come no, come no…

RV: C’è qualcosa in cantiere, dopo Palazzeschi?

PP: Eh, no, con questo giro tutta l’Italia, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanare al Reno….

Palazzeschi è una delle voci più limpide del nostro Novecento poetico, apparentemente semplice, tanto da dispiacere ai tromboni scolastici degli anni trenta che privilegiarono personaggi minori, più consoni alla gretta fantasia del regime.
Ma da buon figlio di commercianti il nostro serpentello sapeva aggirare gli ostacoli e dopo il suo uomo di fumo (originalissimo romanzo ad apertura del secolo), ha dato alle stampe una vasta produzione di novelle e romanzi per tutti i gusti fino agli anni sessanta.

Questo senza mai smettere la creazione poetica in cui, da vero saltimbanco (come lui stesso si definì), è riuscito a toccare tutte le mode letterarie senza esserne mai fagocitato, sempre serbando la sua fisionomia inconfondibile.

Marinetti futurista e i suoi bombardamenti aerei, D’Annunzio decadente con le sue basilisse morte nei giardini abbandonati, Pascoli agreste col gre gre delle raganelle e i clop clop delle cavalline storne… tutti vengono passati al setaccio dalla sua sottile ironia per ambientarsi in un mondo poetico novecentesco e insieme squisitamente personale.

Lo spettacolo raduna figure e figurine di diversi periodi accomunate dalla curiosità con cui le guarda l’autore e dall’estro con cui le racconta: la gigantessa, la nana, lo scorreggione, il gobbo, il ladro, la morfinomane, le porcellone… sembrano scoperte dalla lente dell’entomologo quasi a far da antenati al festoso mondo felliniano.

(fonte: www.contrada.it)

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