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Omnia

Don Matteo: siate banali, siate buonisti

Don Matteo (Terence Hill)È ormai da vent’anni che la fiction Don Matteo tiene compagnia agli italiani. In dodici stagioni sono molti gli avvenimenti di cui si sono resi protagonisti i diversi personaggi avvicendatisi all’interno della storia, e il pubblico ha imparato a non affezionarsi troppo agli attori secondari ben sapendo che c’è sempre il rischio di qualche sparizione improvvisa. Terence Hill, nel ruolo del prete in bicicletta, è diventato una sorta di amico degli spettatori, un personaggio di cui non si può fare a meno, alla pari di Salvo Montalbano, ma per il quale gli italiani meriterebbero storie migliori di quelle concepite dai soggettisti.

Analizzando anche solo gli ultimi cinque episodi andati in onda, su un totale di duecentocinquanta finora trasmessi, si acquisisce la consapevolezza che la trama è sempre la stessa, ripetuta all’infinito con leggere varianti: storie d’amore a rischio, ma con lieta fine garantita, all’interno della caserma dei Carabinieri; il maresciallo Cecchini che si impiccia bonariamente degli affari di tutti perché si ritiene una sorta di angelo custode; Natalina e Pippo che bisticciano e a volte cercano di dare sfogo alle loro ambizioni destinate sempre a fallire; bambini orfani, estroversi fino all’egocentrismo e rigorosamente dotati di un cuore d’oro, che arrivano in canonica a ogni spron battuto sconvolgendo la vita dei presenti e causandogli problemi a non finire; adolescenti dal passato tormentato di cui seguiamo le pene d’amore; ladri, assassini e delinquenti che alla fine saranno perdonati perché Dio perdona sempre; bestie di ogni tipo che fanno la loro comparsa così a caso giusto per soddisfare gli amanti degli animali e Don Matteo che scorazza in bicicletta per i campi e intanto risolve il caso di puntata.

Alla base di questo concept c’è un’unica parola: rassicurazione. Si parte dal principio che lo spettatore ha bisogno di sentirsi rassicurato. Quando torna a casa la sera dal lavoro, stanco per i problemi che lo tormentano nella quotidianità, e accendendo la tv ritrova qualcosa di cui è già a conoscenza e che non richiede grande sforzo di attenzione, si sente bene, si tranquillizza, si rassicura e trova la forza di andare avanti. Eccola là la sua zona di confort, pronta a dirgli che anche se c’è un’altra rata del mutuo da pagare e i soldi mancano, la vita merita lo stesso di essere vissuta. Il problema sta nel fatto che gli italiani si meriterebbero appunto storie migliori e più rispetto, perché dopo vent’anni la cosa suona come una presa in giro nei confronti della loro intelligenza. È vero che ci si affeziona ai personaggi e che le loro avventure sono motivo di coinvolgimento, ma all’ennesimo orfano che arriva in canonica uno avrebbe anche il diritto di dire: “No! Lasciate in strada la bambina e adottate il maiale!”.

Don Matteo (Francesco Scali)

A parte gli scherzi e le battute, sarebbe veramente ora di cambiare direzione, visto che sono passati vent’anni dalla prima puntata e che il mondo, e anche il modo di fare serie tv, si evolve. Non è accettabile che nel 2020, per sensibilizzare i giovani al sempre attuale problema della droga, si mostri una ragazzina che suggerisce al proprio ragazzo di gettare una pastiglia in un bicchiere a caso per poi caricarla di sensi di colpa nel momento in cui si scopre che quel gesto ha forse causato l’incidente con amputazione di un compagno. Un atteggiamento estremamente superficiale e pericoloso viene punito con una conseguenza altrettanto estrema, ma lo scopo è solo giustificare la storia d’amore che può nascere tra i due e sfruttare lo choc emotivo dell’amputazione di un arto. Allo stesso modo, introdurre la vedovanza di Cecchini, giusto per inserire un colpo di scena iniziale e scatenare una catena di equivoci in seguito al suo rapporto con Elisa (una Pamela Villoresi che dovrebbe insegnare agli altri a recitare), è una strategia narrativa talmente vecchia da far rimpiangere I racconti di Padre Brown con Renato Rascel.

Lato attori le cose non vanno meglio. Nino Frassica è un bravo professionista ma negli ultimi tempi non gli hanno fornito buon materiale su cui lavorare: battute trite e ritrite e personaggio quasi ridotto a ruolo di contorno, salvo il suo già citato intromettersi in qualsiasi faccenda. Una volta suscitava la risata, ora al massimo strappa un sorriso e nulla più. Nathalie Guetta e Francesco Scali sembrano ormai rassegnati al riciclaggio delle situazioni e all’impossibilità di assumere ruoli di primo piano che meriterebbero appieno: ogni volta che la perpetua e il sagrestano provano ad alzare la testa per dimostrare quanto valgono, o ci scappa il morto o si abbatte su di loro una qualche disgrazia che li costringe a un’altra lezione di umiltà (evidentemente il messaggio vuole essere: beati gli sventurati perché resteranno tali). Su Maria Chiara Giannetta preferirei sorvolare, ogni volta che il personaggio di Anna Olivieri è basito, pensieroso o spaventato lei spalanca gli occhioni per dimostrare di non essere un pezzo di legno e saper utilizzare le espressioni facciali, ma non serve, un bravo attore non ha bisogno di questo, lo ha capito persino Maria Sole Pollio, nel ruolo di Sofia, che non sarà una grande attrice ma almeno porta sullo schermo la sua spontaneità ed evita accuratamente di fare faccine. Terence Hill, da attore di grande umiltà e modestia, ha capito come funziona il meccanismo e a quello si attiene: accenna un sorriso, si mostra sinceramente dispiaciuto, pronuncia discorsi a cui riesce a infondere credibilità anche quando non ci crede neanche lui, ma l’importante è convincere gli altri.

Nino Cecchini (Nino Frassica)Rispetto al Commissario Montalbano, che come fiction si merita un nove sia per le storie di Andrea Camilleri che per le interpretazioni di tutti gli attori, Don Matteo arriva a malapena a un cinque, e quel cinque è tutto merito dei pochi attori che la tengono in piedi.

Siccome risulta evidente che anche quest’anno i soggettisti volevano andare sul sicuro, non serve spiegare il perché dei titoli degli episodi tratti direttamente dai dieci comandamenti. Spremersi le meningi per trovare qualcosa di meglio non ha senso, la Bibbia è là, basta aprirla ed estrarne la cosa più ovvia, quella che insegnano perfino ai bambini. Il successo è assicurato.

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