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Scrittura

Massimiliano Nuzzolo

Pictures of you: i Cure alla Nuzzolo

Immagine articolo Fucine MutePeriferia di Mestre. Pietro compie trent’anni ed è costretto ad abbandonare gli abiti di Peter Pan per iniziare la faticosa ricerca della propria identità. Intanto, nel suo sfavillante ufficio di Milano, Alice rievoca nostalgicamente il mondo delle meraviglie che si è dissolto assieme alle favole della sua infanzia. Il filo zeppo di spleen che unisce Pietro e Alice è la musica dark dei Cure, dei Joy Division e dei My Bllody Valentine, una foto scattata sull’assolata spiaggia di Rimini, e la brillante penna di Massimiliano Nuzzolo, esordiente romanziere ma già noto come manager del gruppo rock mestrino dei Soluzione.
Presentando L’ultimo disco dei Cure, primo romanzo pubblicato a marzo dai tipi di Sironi, Massimiliano Nuzzolo risponde alle curiosità di Fucine Mute in un dibattito con alcuni dei suoi sostenitori più accaniti: gli amici Michele Benetello (giornalista della rivista musicale Mucchio Selvaggio), Bibi Bozzato (regista della serie tv Vita da Eroi e dei video dei Soluzione) e Lorenzo Soccoli (attore).

Michele Benetello (MB): All’interno del libro mi sembra ci sia tutta una serie di riferimenti riconducibili ad un genere musicale abbastanza particolare. Secondo me uno dei passi che fanno da spartiacque, proprio per questa tematica, è il momento in cui uno dei protagonisti, durante un viaggio in macchina, fa una sorta di scrematura molto selvaggia dei cd contenuti nel cruscotto prendendo un album di Mariah Carey e gettandolo dal finestrino per scegliere qualcos’altro. C’è un significato nella distinzione tra il genere di musica che viene eliminato e quello che i personaggi ascoltano?

Massimiliano Nuzzolo (MN): Sicuramente. Innanzitutto il libro gira, e questo è un termine caro alla discografia, prevalentemente su un unico genere. Paradossalmente, però è il confronto tra i diversi tipi di musica che produce il movimento. I dischi che non mi piacciono volano fuori dai finestrini. Questa comunque non è una forma di disprezzo, se li cito vuol dire che li immortalo per sempre. Il filo conduttore è sicuramente la musica, questo libro contiene una quantità industriale di riferimenti, di versi di canzoni, citazioni cinematografiche e letterarie. È una storia molto semplice e ho pensato di svilupparla lungo la passione attorno a cui ruota la mia vita.

Immagine articolo Fucine MuteMB: Sempre riguardo alla scelta di determinati gruppi che nomini all’interno del libro o dei passaggi addirittura di certi testi, credo sia voluta la predilezione per un filo conduttore di suoni che ami che sono molto implodenti, implosivi, dai connotati non negativi ma abbastanza interni, intimi. Con questa selezione volevi rispecchiare il tuo stato d’animo o volevi accentuare tutta una serie di relazioni del libro?

MN: Innanzi tutto viene rispecchiato il mio stato d’animo ma soprattutto quello del protagonista, lo stato di crisi in cui versano lui e la coprotagonista. Comunque è un tipo di sonorità che io ho sempre ascoltato fin da bambino. In ogni caso mi piace e l’ho inserito come colonna sonora. Però, come dicevamo prima, c’è anche ciò che non amo, quindi è un po’ un tributo alla musica. Mariah Carey mi piace molto, ma non musicalmente.

MB: Ti voglio fare una domanda a bruciapelo, a cui hai già risposto, ma te la ripropongo ugualmente: è un libro negativo questo?

MN: Molto negativo! No, senza scherzi, è un libro con un finale aperto, ognuno può vedere quello che vuole. Porta avanti delle tematiche nichiliste, neoesistenzialiste, però il finale aperto consente varie visioni, compresa quella che può essere definita salvezza e che nel cinema è il lieto fine. Comunque, in generale non esiste un happy end, non solo nel libro ma anche nella vita.

Bibi Bozzato (BB): Vorrei intervenire presentando il punto di vista del lettore, peraltro esigente, quale credo di essere e spiegare perché consiglierei questo libro. Quando il romanzo è uscito sono rimasto colpito dal fatto che fosse stato proprio un mio amico a scriverlo, e soprattutto che avesse scelto un titolo che facesse riferimento all’ultimo disco dei Cure. Devo ammettere che i Cure non sono un gruppo che io abbia ascoltato con particolare attenzione e interesse. Negli anni ottanta, quando è esplosa questa band, per me erano troppo commerciali, poi quando si è giovani riconoscersi in un tipo di musica equivale ad appartenere a determinati “schieramenti”. Come accade a molti, mi è capitato, in seguito, di pensare a quale sia stata la colonna sonora della mia vita. Avvicinarmi a qualcuno che afferma in modo così marcato che la sua sia la musica dei Cure, mettendolo proprio nel titolo, mi fa pensare a quale “gruppo” appartenga questa persona, a cosa può dirmi. Poi, mentre leggevo la storia di questo ragazzo, arrivato alla soglia dei trent’anni che si domanda cosa ha costruito nella sua vita, pensavo che il vero soggetto del romanzo è “il trentenne in crisi” che si mette on the road alla ricerca di una ragazza che appartiene alla sua infanzia. In realtà, io ho scoperto delle cose sui Cure, anche se questo non è un saggio di musica. Volevo chiedere a Massimiliano, sei d’accordo con me sul fatto che il tuo libro poteva intitolarsi anche L’ultimo disco di Tom Waits?

MN: Assolutamente no, io non amo Tom Waits. Se l’avesse scritto qualcun altro sarebbe potuto essere l’ultimo disco di Tom Waits. Ci sono state delle condizioni oggettive che hanno spinto a chiamarlo così, a parte la passione personale, anche perché la scelta del titolo è strumentale ad un discorso etico sul personaggio.

Immagine articolo Fucine MuteBB: Ti riferisci al fatto che non esiste un ultimo disco dei Cure, perché loro lo annunciano spesso ma poi continuano a sfornare nuovi cd.

Lorenzo Soccoli: Secondo me in questo libro la musica è come un album di fotografie che il protagonista, Pietro, sfoglia. Le canzoni sono come foto. Penso, poi, che, così come esistono i road movie, questo sia un book movie, si parla di Rosolina, di Chioggia, che sono i luoghi che anch’io conosco. Soprattutto è un libro sul bilancio. All’inizio l’idea che un trentenne facesse un bilancio della sua vita mi sembrava stridente, poi ho pensato che io a diciotto anni facevo delle analisi sulla mi esistenza ed ero già depresso, quindi perché non consentire anche a lui di rifletterci.

Michela Cristofoli (MC): Il fatto di attribuire alla musica un ruolo così importante non impedisce forse ai “non addetti ai lavori” di comprendere in profondità la storia?

MN: È vero che ho analizzato un mondo particolare, ma è stato così perché l’ambientazione costituisce di per sé un contesto, non è importante il nome del gruppo citato ma le cose che vengono dette. Vengono nominati più complessi, ma questi non sono fondamentali, più importante è quando sono trascritti interi brani di alcune canzoni, forse difficili da riconoscere se non le si ha ascoltate, ma la spiegazione è lì, tra le righe. Magari può sembrare fazioso ma non lo è assolutamente.

MC: Il protagonista ad un certo punto confessa di essersi appassionato alla lettura di un libro che non nomina ma si intuisce essere Alta Fedeltà di Nick Hornby, di cui però rifiuta la mania di classificare, di schedare ogni cosa. Dato che tu stesso, in qualche modo, lo fai, ci dici la top ten dei tuoi gruppi preferiti, a parte i Cure.

MN: Sì, Pietro non ama fare le cinquine fondamentali di ogni cosa, come Rob (protagonista del libro di Nick Hornby, nda). Adesso faccio un po’ di promozione, in questo momento il mio gruppo preferito sono i Soluzione, qui ho il cd (intitolato “Ciliegia”, nda), ha una bellissima copertina, ci abbiamo lavorato per mesi e mesi, è esaurito per cui non si trova più in commercio, ma aspettando un po’ usciranno un po’di cose nuove. Nell’elenco ci sono sicuramente i Cure, io amo in modo particolare i Joy Division, l’elettronica, i Mirway. Sotto questo aspetto non sono come Pietro, non mi sono fissato su un gruppo solo, amo la musica in modo particolare.

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MC: Si è parlato prima di bilanci, di revisione del passato. Ritieni davvero che Pietro, compiuti trent’anni, abbia imboccato il “tunnel della catastrofe”?

MN: Fondamentalmente i due protagonisti, Pietro e Alice, non si trovano in crisi perché quella è la loro vita, ma perché stanno attraversando un momento particolare che li pone in crisi, di conseguenza da lì si genera la vicenda. La crisi è una situazione in cui ognuno di noi può capitare, quindi ci pone a contatto, per usare un’espressione cara a Giulio Mozzi, che voglio citare perché oggi esce il suo libro Sotto i cieli d’Italia in cui è contenuto anche un mio pezzo, con delle regole nuove, o meglio fa saltare le regole. Ti trovi a vivere per la prima volta delle situazioni a cui prima non avevi nemmeno pensato che ti fanno notare alcune cose che avevi sotto al naso e non avevi mai visto. Penso che appunto per questo ci sia un finale aperto, in quanto si può indicare quella che pare la strada, ma ognuno deve trarre le sue conclusioni e maturare una propria idea. Questo è un romanzo, non è un trattato di filosofia e nemmeno un articolo sociologico. In molti lo hanno attaccato per questo, anche se poi, ci tengo a dirlo, è stato esaltato da Filippo La Porta che è uno dei grandi critici italiani, e ne sono onorato.

MC: Ma come si spiega l’omaggio che fai alla città di Rimini?

MN: La scelta è legata a motivazioni personali. Questo è un romanzo di movimento e supermovimento, supereccitazione, tante azioni che si consumano senza spiegazione, perché è una specie di favola, infatti, il libro inizia con la frase “c’era una volta”. È ambientato in tre luoghi diversi: Mestre che è la città del protagonista, Milano che è la città dove lavora la copronagonista, e Rimini che è la città della vacanza per eccellenza, è un omaggio a Tondelli, che è lo scrittore simbolo per tutti coloro che sono venuti dopo ed in particolare per me, in quanto collaborava con la rivista Rockstar, è un grande conoscitore di musica, e inoltre ha scritto dei grandissimi capolavori letterari.

MC: I personaggi vincenti, nel tuo romanzo paiono essere le donne, sembrerebbero l’antitesi di Pietro per forza e determinazione, credi che anche nella vita sia così?

Immagine articolo Fucine MuteMN: Alice all’inizio sembra quasi perfetta, all’esterno è perfetta, in ogni caso è la contrapposizione del protagonista. Per rispondere alla seconda domanda, penso che le donne siano più perfette in quanto maturano prima determinati sensi, compreso quello della carriera, quindi la speculazione, il pensiero, sono più profondi e lungimiranti.
Sotto questo aspetto sono la macchina vincente del duemila, sotto altri, hanno una variabile oscura, che è il cuore.

MC: Dalle tue parole sembra apparire sempre più chiaramente il legame tra la tua biografia e quella del protagonista del romanzo. Hai trent’anni, ti interessi di musica e sei il manager dei Soluzione, quanto lo senti tuo Pietro?

MN: Pietro è parte di me, ma il libro non è completamente autobiografico. Ho avuto un riscontro diretto sui giornalisti musicali di trenta o quarant’anni che ho conosciuto grazie ai Soluzione: tutti si sono riconosciuti in questo personaggio. Dico che è una descrizione semi autobiografica perché io non mi sento perennemente in crisi, comunque in parte si, tutta la vita musicale che permea il romanzo è la mia.

MC: hai iniziato scrivendo i racconti Le strane cose del sabato, La mia piccola ragazza cinese, Il maestro e l’allievo e Kuskusu. Come ti rapporti alla brevità del racconto contrapposta alla dimensione d’ampio respiro propria del romanzo o all’essenzialità delle recensioni musicali?

MN: La natura dei racconti ti rimanda subito all’origine: io amo Carver, quindi la forma del racconto breve è essenziale. Penso a lui e a Cecov che mi piace moltissimo. Non so dirti quale sia la forma migliore. Edgar Allan Poe affermava che fosse il racconto, però scrivere un romanzo è più impegnativo, ti consente di sviluppare una narrazione lungo duecento pagine. Hai modo di raccontare una storia nel dettaglio, mentre possiamo dire che il racconto ne tratteggia solo un po’ l’inizio. Comunque ho scritto moltissimi racconti. Per quanto riguarda le recensioni, vedo parecchi concerti in un anno e alla fine il genere delle mie critiche musicali è emozionale, questa è la mia scrittura. Lo si sente anche nel racconto La mia piccola ragazza cinese che era stato scritto per un convegno sulla letteratura come verità. Vorrei cercare di trasmettere non gli elementi tecnici della musica ma ciò che provo durante l’ascolto, l’istantanea. Nel mio libro accade la stessa cosa: si parte con una fotografia, la musica è il tessuto. Se vuoi la dimensione del romanzo è più completa e complessa allo stesso tempo.

MC: Nella parte finale del libro ringrazi amici, maestri come Bergman, oppure artisti con i quali sei stato a contatto. Chi senti come vicino e importante?

Immagine articolo Fucine MuteMN: Per una questione generazionale direi Tiziano Scarpa, per una questione di lavoro e di amicizia, Giulio Mozzi che mi ha lanciato (Mozzi è talent scout per Sironi Editore e curatore della collana Indicativopresente, nda), per quanto riguarda la cinematografia, Bergman l’ho amato e adorato, per quanto riguarda il resto, ho citato tutte persone con le quali sono in contatto direttamente o via mail. Devo dire che non ho mai avuto la dimensione del fan sottomesso, a me piace incontrare l’autore, quindi mi sono presentato a tantissima gente, anche artisti stranieri, e la cosa stupefacente è che spesso si sono trovati sprovvisti della solita arma della protezione, di conseguenza erano spontanei, quindi siamo diventati amici.

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